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PENALE - Reati fiscali, truffa e "ne bis in idem" europeo.

Written by Avv. Salvatore Frattallone. Posted in Penale

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La condotte di frode al fisco non prevista dalle norme speciali dettate in materia fiscale, qualora sia astrattamente riconducibile a una qualche fattispecie incriminatrice di diritto comune, è punibile in forza di disposizioni generali, quale reato di truffa?
La Cassazione, in applicazione dell'orientamento formatosi con Sentenza n° 1235/11 resa dalle Sezioni Unite Penali il 28.10.2010, ha ribadito che il sistema delle sanzioni penali tributarie costituisce un sistema autonomo ed esclusivo. Dopo la riforma di cui al D.L.vo n° 74/2000, mutando la linea seguita con la c.d. legge "manette agli evasori", il legislatore ha escluso la punibilità del tentativo, quale fatto prodromico anteriore alla dichiarazione annuale I.V.A.
Il sistema sanzionatorio dettato in materia fiscale è speciale, siccome chiuso e autosufficiente, e non è affatto integrabile con le fattispecie di diritto comune, talchè resta irrilevante penalmente quel fatto che non sia espressamente tipizzato dalle disposizioni fiscali, ancorché lo stesso possa sembrare perseguibile quale truffa aggravata ai danni dello Stato.

Corte di Cassazione, Sez. II Pen., Sentenza 29.09/15.12.2011 n° 46590

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE II

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIRENA Pietro Antonio, Presidente
Dott. DAVIGO Piercamillo, Consigliere
Dott. CHINDEMI Domenico, Consigliere
Dott. RAGO Geppino, Consigliere
Dott. D’ARRIGO Cosimo, Rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:

Sentenza

sul Ricorso proposto da: A.S. Limited, in persona del legale rappresentante pro tempore (omissis), nato a (omissis);
avverso l’Ordinanza emessa in data 09.03.2011 dal Tribunale del Riesame di Genova, n° 13584/08 R.G.N.R.;
sentita la relazione svolta in Camera di consiglio dal Consigliere Dott. Cosimo D’Arrigo;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Antonio Gialanella, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato e del Decreto di sequestro;
sentiti gli Avvocati Andrea Gemma e Fabio Lattanzi, difensori di fiducia del ricorrente, che hanno insistito per l’accoglimento del Ricorso.

Osserva
Con Ordinanza del 10.12.2010 il G.I.P. del Tribunale di Genova ha disposto il sequestro preventivo sui beni e sul denaro della A.S. Limited, finalizzato alla confisca “per equivalente” di cui agli art. 640-quater e 322-ter C.P. fino alla concorrenza di € 1.562.415,68.
Infatti, alla società era contestato - in concorso con terzi, anch’essi interessati, sebbene in diversa misura, dal sequestro conservativo - di aver posto in essere artifizi e raggiri al fine di truffare lo Stato, ottenendo l’ingiusto profitto di evadere, in misura corrispondente all’importo del sequestro, l’I.V.A. sul carburante impiegato per un’imbarcazione da diporto denominata “(omissis)”.
Avverso tale provvedimento la A.S. Limited proponeva Istanza di riesame, rigettata dal Tribunale di Genova con Ordinanza del 09.03.2011.

Contro tale ultima statuizione la società propone, per il tramite dei suoi legali, Ricorso per Cassazione, allegando cinque motivi.

- Col primo motivo la società deduce l’erronea applicazione della legge penale, in relazione all’uso dell’art. 640 C.P. come norma residuale in materia di evasione dell’imposta sul valore aggiunto.
Osserva al riguardo che il reato, invece, non sarebbe configurabile neppure in astratto, dal momento che il sistema delle sanzioni penali in materia fiscale esaurirebbe l’intera pretesa punitiva dello Stato in subiecta materia, con la conseguenza che le condotte non direttamente ascrivibili ad una delle fattispecie incriminatrici di cui al D.L.vo n° 74/2000 sarebbero penalmente irrilevanti e il loro disvalore non potrebbe essere recuperato sul piano del diritto penale “comune” ipotizzando una truffa.
Richiama a sostegno la recente sentenza delle Sezioni Unite del 28.10.2010 n° 1235/11.

- Col secondo motivo la società si duole della mancanza di motivazione in ordine al ruolo di soggetto fittiziamente interposto all’effettivo titolare - identificato in tale (omissis) - nella proprietà del bene.
Osserva, in particolare, che nella specie non esisterebbe alcuna ipotesi di interposizione fittizia, dal momento che questa presume un accordo trilaterale di cui nella specie non vi sarebbe traccia.
Aggiunge che tutte le decisioni relative alla motonave sarebbero state prese in assoluta autonomia rispetto al preteso interponente.

- Il terzo motivo attiene all’erronea applicazione della normativa fiscale.
In particolare, si osserva sul punto che l’affermazione secondo cui “l’imbarcazione è stata utilizzata sia per fini commerciali ma anche (e prevalentemente) per diporto dal soggetto che ne è il reale proprietario”, così come la conseguenza che pertanto non sussisterebbero le condizioni perché l’imbarcazione “(omissis)” potesse godere dell’esonero dal pagamento dell’I.V.A., sono errate in punto di fatto e di diritto, anche alla luce della giurisprudenza comunitaria che invece ritiene che un bene acquistato ai fini di un’attività di impresa non perde il carattere commerciale anche qualora venga parzialmente destinato all’uso personale dell’imprenditore.

- Col quarto motivo la società ricorrente deduce l’abnormità del provvedimento di sequestro nella parte in cui omette di individuare i beni da staggire, demandando al P.M. di provvedervi in fase di attuazione.
Ciò in quanto, in ossequio del principio di proporzionalità fra il credito garantito ed il patrimonio sequestrato, l’adempimento estimatorio dovrebbe effettuarsi al momento dell’applicazione della misura cautelare e non già nella fase esecutiva della stessa.

- Il quinto motivo è relativo all’omessa motivazione in ordine alla sussistenza delle condizioni per l’applicazione della normativa di cui al D.L.vo n° 231/2001.
Applicabilità che nella specie andrebbe esclusa dalla circostanza di essere la A.S. Limited società straniera non avente in Italia alcuna organizzazione di mezzi e persone e quindi senza obbligo di conformarsi alla prescrizione della legge nazionale che impone alle società di munirsi di un modello organizzativo idoneo a prevenire la commissione dei reati poi verificatisi.

Il primo motivo di Ricorso è fondato ed il suo accoglimento ha rilievo assorbente rispetto alle ulteriori doglianze.

Come correttamente posto in evidenza dal ricorrente, le Sezioni unite di questa Corte (28.10.2010 n° 1235) hanno recentemente affrontato il quesito se il sistema delle sanzioni penali in materia fiscale debba essere integrato con le fattispecie di diritto comune, talché le condotte non previste dalle norme speciali potrebbero comunque ricadere nell’ambito di applicazione di quelle generali; ovvero se esso costituisca un sistema autonomo ed esclusivo, con la conseguente irrilevanza penale dei fatti non espressamente tipizzati dalle disposizioni fiscali, sebbene astrattamente riconducibili a fattispecie incriminatrici di diritto comune.

Al riguardo la citata sentenza ha rilevato innanzitutto come il legislatore, in occasione della riforma introdotta con il D.L.vo n° 74/2000, con una scelta di radicale alternatività rispetto al pregresso modello di legislazione penale tributaria, ha inteso abbandonare il modello del c.d. “reato prodromico” (caratteristico della precedente disciplina di cui al D.L. 10.07.1982 n° 429, conv. in L. 07.08.1982 n° 516), che anticipava la linea d’intervento repressivo già sulla fase “preparatoria” dell’evasione d’imposta, in favore del focalizzazione del disvalore sul momento dell’effettiva offesa degli interessi dell’erario.
Questa strategia, come si legge nella relazione ministeriale, ha impuntato la reazione punitiva sulla dichiarazione annuale, quale atto che realizza, dal lato del contribuente, il presupposto obiettivo e definitivo dell’evasione; di contro, è stata negata autonoma rilevanza penale alle violazioni “a monte” della dichiarazione stessa, non ancora produttive di danno reale ed effettivo per l’erario (v. pure Cass. Pen., Sez. Un. 25.10.2000 n° 27; Co. Cost. 27.02.2002 n° 49).

Ai fini della questione che ci interessa, assume particolare rilievo l’art. 6, D.L.vo n° 74/2000, che esclude la punibilità a titolo di tentativo dei delitti in materia di dichiarazione di tipo commissivo (artt. 2, 3 e 4 D.L.vo cit.).
La disposizione mira ad evitare che le violazioni “preparatorie”, già autonomamente represse nel vecchio sistema, possano essere ritenute tuttora penalmente rilevanti ex se a titolo di delitto tentato, quali atti idonei preordinati in modo non equivoco ad una falsa dichiarazione.
La ratio risiede nell’intenzione di stimolare, nell’interesse dell’erario, la resipiscenza del contribuente scoperto nel corso del periodo d’imposta.

Sulla base di tale rilievo, le Sezioni unite hanno concluso che la negazione di un rapporto di specialità tra la fattispecie penale tributaria e quella comune di truffa aggravata ai danni dello Stato si porrebbe in palese contrasto con la linea di politica criminale e con la stessa ratio che ha ispirato il legislatore nel dettare le linee portanti della riforma introdotta con il Decreto Legislativo n° 74/2000.

Ciò in quanto, se il legislatore individua nella presentazione della dichiarazione annuale la condotta tipica e il momento di rilevanza penale della fattispecie di evasione, espressamente escludendo che la soglia di punibilità possa essere “anticipata”, ai sensi dell’articolo 56 C.P., anche nel caso di accertamento di irregolarità fiscali compiute nel corso del periodo d’imposta, non può recuperarsi l’illiceità penale della condotta preparatoria utilizzando un’ipotesi delittuosa comune contro il patrimonio, quale la truffa aggravata ai danni dello Stato (eventualmente anche sub specie di tentativo).
A ragionare diversamente, si finirebbe con lo stravolgere il sistema di repressione penale dell’evasione fiscale, consapevolmente disegnato dalla riforma del 2000 su basi radicalmente diverse.

In favore della esclusività del sistema penale fiscale depone anche la disciplina del “condono fiscale” di cui all’art. 8 - co. 6, lett. c), e 12 - della L. 27.12.2002 n° 289 (legge finanziaria 2003).
Il ravvedimento del contribuente comporta l’esclusione della punibilità per i reati tributari di cui al D.L.vo 10.03.2000 n° 74 e l’integrazione dei redditi e degli imponibili non determina obbligo di denunzia all’autorità giudiziaria, in quanto non costituisce notizia di reato.
Emergono quindi due elementi che attestano come il legislatore abbia inteso escludere il concorso con il delitto di truffa ai danni dello Stato.
In primo luogo, diversamente opinando, la non punibilità dei soli reati fiscali esporrebbe il contribuente alla responsabilità penale per truffa ai danni dello Stato, con l’effetto di disincentivare - anziché auspicare - il perseguimento delle finalità a cui l’intervento normativo è rivolto.
In secondo luogo, se il fatto continuasse a costituire reato (alla stregua della normativa comune), costituirebbe una grave aporia sistematica l’affermazione secondo cui l’integrazione dei redditi non integra gli estremi della notitia criminis e non deve essere trattata come tale.

Infine, un ulteriore argomento a sostegno della non applicabilità dell’articolo 640-bis C.P. alla materia fiscale si trae dall’art. 7 della Convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità Europee (oggi dell’Unione Europea) del 26.07.1995.
La norma, nel porre il principio ne bis in idem “europeo” (“la persona che sia stata giudicata con provvedimento definitivo in uno Stato membro non può essere perseguita in un altro Stato membro per gli stessi fatti, purché la pena eventualmente applicata sia stata eseguita, sia in fase di esecuzione o non possa essere più eseguita ai sensi della legislazione dello Stato che ha pronunciato la condanna”), conferma che la tutela degli interessi finanziari comunitari deve essere attuata mediante un sistema sanzionatorio che è esaustivo degli interventi repressivi, non solo all’interno dei confini nazionali, ma anche nella dimensione comunitaria.

Sulla base di tali considerazioni, le Sezioni Unite hanno quindi concluso che “in definitiva, qualsiasi condotta di frode al fisco non può che esaurirsi all’interno del quadro sanzionatorio delineato dalla apposita normativa [...]
Vi è, dunque, una generale specialità delle previsioni penali tributarie in materia di frode fiscale, le quali, in quanto disciplinano condotte tipiche e si riferiscono ad un determinato settore di intervento della repressione penale, esauriscono la connessa pretesa punitiva dello Stato (e della Unione Europea)”.

Nella specie, la A.S. Limited è indicata quale responsabile - ai sensi dell’art. 5, co. 1, lett. a) e b), e dell’art. 24, co. 1 e 2, D.P.R. n° 231/2001- del reato di cui all’art. 640 C.P., co. 1 e 2, perché i legali rappresentanti, gli amministratori e il procuratore della società, in concorso con altri, avrebbero rappresentato falsamente - anche attraverso la realizzazione di una complessa struttura societaria volta a dissimulare l’effettiva destinazione del bene - che l’imbarcazione denominata “(omissis)” versava nelle condizioni di non imponibilità I.V.A. in relazione alla fornitura del carburante.
La condotta naturalistica così descritta non rientra in alcuna delle fattispecie criminose di cui al D.L.vo n° 74/2000.
L’imputazione, infatti, è strutturata secondo un criterio di tutela “anticipata” dell’interesse dell’erario, dal momento che l’azione delittuosa è individuata non già nell’evasione dell’imposta in sé, bensì nella creazione di un’apparenza idonea a creare l’inganno circa la sussistenza dei presupposti (destinazione esclusivamente commerciale e proprietà extracomunitaria del natante) per l’esenzione dal pagamento dell’I.V.A.
Facendo applicazione dei principi di diritto testé illustrati, il fatto è quindi penalmente irrilevante, non essendo legittimo impiegare una norma incriminatrice di diritto comune per perseguire una condotta certamente lesiva degli interessi fiscali dello Stato e della Comunità europea, ma estranea alle fattispecie tipiche del sistema penale tributario.
Del resto, la lacuna che in tal modo si andrebbe a colmare è solo apparente.
Risulta, infatti, che nell’ambito del medesimo procedimento agli imputati siano stati contestati anche i reati propriamente fiscali e nell’atto impugnato la contestazione della truffa è posta a fondamento di un provvedimento cautelare di sequestro preventivo in funzione della confisca c.d. “per equivalente”.
L’art. 1, co. 143 della L. 24.12.2007 n° 244 (Legge Finanziaria 2008), dispone che “nei casi di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter, 10-quater e 11 del D.L.vo 10.03.2000 n° 74, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’articolo 322-ter C.P.”.
Conseguentemente è possibile la "confisca per equivalente", con conseguente legittimità del sequestro preventivo ex articolo 321 C.P.P., delle somme di denaro sottratte al pagamento dell’I.V.A. dovuta, che costituiscono il profitto del reato (Cass. Pen., Sez. 3, 26.05.2010, n° 25890).
Anzi, proprio questa novella legislativa dimostra ulteriormente che il sistema sanzionatorio in materia fiscale ha una spiccata specialità che lo caratterizza come un sistema chiuso e autosufficiente, all’interno del quale si esauriscono tutti i profili degli interventi repressivi, in quanto detta tutte le sanzioni penali e gli strumenti processuali necessari a reprimere le condotte lesive (o potenzialmente lesive) dell’interesse erariale alla corretta percezione delle entrate fiscali.
Per tali motivi il provvedimento impugnato deve essere annullato senza rinvio, unitamente all’originario Decreto di sequestro preventivo disposto del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Genova nell’ambito del procedimento penale n° 4501/2010 R.G. G.I.P.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’Ordinanza impugnata nonché il Decreto di sequestro del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Genova n° 4501/2010 R.G. G.I.P.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 626 C.P.P.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29.09.2011.
Depositato in Cancelleria il 15.12.2011

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