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PENALE - Frode informatica e falsificazione di carta di credito con utilizzo di skimmer.

card fraud

È sempre stata molto controversa la questione dei rapporti tra il reato codicistico di frode informatica, di cui all'art. 640-ter c.p., e la disciplina penale delle carte di credito o di pagamento, prevista originariamente dall'art. 12 del D.L. 03.05.1991 n° 143 e attualmente contemplata dall'art. 55, co. 9, del D.L.vo 21.11.2007 n° 231.
La legge distingue tre distinte ipotesi delittuose
aventi ad oggetto "carte di credito o di pagamento, ovvero qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all'acquisto di beni o alla prestazione di servizi":
1- l'utilizzazione indebita di tali carte da parte di chi non è titolare, al fine di trarne profitto;
2- la falsificazione o alterazione, da parte di chicchessia, di siffatti documenti, al fine di trarne profitto;
3- il possesso, la cessione o l'acquisizione, al fine di trarne profitto, di "tali carte o documenti di provenienza illecita o comunque falsificati o alterati, nonché di ordini di pagamento prodotti con essi".
Mentre per la terza fattispecie non si ravvisano particolari interferenze rispetto alla frode informatica, con cui v'è concorso materiale di reati, la questione dei rapporti tra le altre diverse discipline deriva dal fatto che l'art. 12 della legge speciale attiene non solo alle carte di credito o di pagamento tradizionali, ma anche alle carte di credito e di pagamento magnetiche, sui cui sono impressi "dati pertinenti ad un sistema informatico": anzi, le recenti carte a microchip costituiscono un vero e proprio e autonomo sistema informatico.

Quindi se si verifichi l'uso abusivo di una carta magnetica, con profitto ingiusto ed altrui danno, e detto uso sia fraudolento, perché avvenga senza che occorrano atti di disposizione d'una persona indotta in errore, allora il problema è quello di armonizzare la disciplina.
Laddove la condotta si sostanzi nella mera utilizzazione indebita di carte di credito o di pagamento magnetiche da parte di persona non legittimata, ma senza manipolazioni dei dati, non v'è frode informatica, per difetto della alterazione del funzionamento del sistema informatico o di un qualche intervento senza diritto su dati, informazioni o programmi.
Laddove
, viceversa, il contegno fraudolento concerna la falsificazione o l'alterazione d'una carta di credito o di pagamento (o di qualsiasi altro documento analogo abilitante al prelievo di denaro o all'acquisto di beni o alla prestazione di servizi) la manipolazione dei dati presenti nel supporto di memoria magnetica della carta e il suo successivo uso potrebbero configurare un caso di concorso di reati.
Il caso classico è quello dell'utilizzo di uno skimmer, cioè di un lettore della carta di credito
, che viene artatamente applicato sopra l'apparecchio automatico di tipo bancomat, così da non venire riconosciuto dall'ignaro utente e, al tempo stesso, progettato per captare i dati delle altrui vere carte di credito, da usare poi per falsificarne altre ai fini delle operazioni bancarie.
La dottrina sarebbe però orientata nel senso di escludere detto concorso di reati
(ritenendo che vada applicata la sola norma di cui al citato art. 12).
La giurisprudenza ha ritenuto che "integra il delitto di frode informatica, e non quello di indebita utilizzazione di carte di credito, il fatto di colui che, servendosi di una carta di credito falsificata e di un codice di accesso fraudolentemente captato in precedenza, penetri abusivamente nel sistema informatico bancario ed effettui illecite operazioni di trasferimento fondi, tra cui quella di prelievo di contanti attraverso i servizi di cassa continua" (Cass. Pen., Sez. II, 15.04.2011 n° 17748, F., rv. 250113, in fattispecie in cui venne rigettato il Ricorso avverso la Sentenza resa il 09.07.2010 dalla Corte d'App. Bologna).
Molto di recente la Suprema Corte - con la pronuncia qui di seguito riportata - ha espressamente ribadito questo principio, statuendo che "le condotte contestate […] quali delitti di truffa devono essere più esattamente qualificati ai sensi dell'art. 640-ter c.p., poiché integra il delitto di frode informatica colui che, servendosi di una carta di credito falsificata e di un codice di accesso fraudolentemente captato in precedenza, penetri abusivamente nel sistema informatico bancario ed effettui illecite operazioni di trasferimento fondi, tra cui quella di prelievo di contanti attraverso i servizi di cassa continua".

 

Cass. Pen., Sez. II, Sent. 10.01/28.03.2012 n° 11699

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Antonio, Presidente
Dott. FIANDANESE Franco, Rel. Consigliere
Dott. PRESTIPINO Antonio, Consigliere
Dott. MACCHIA Alberto, Consigliere
Dott. DAVIGO Piercamillo, Consigliere
ha pronunciato la seguente:

Sentenza

sul Ricorso proposto da: P.V., nato a (omissis);
avverso la Sentenza della Corte d'Appello di Ancona, in data 23.06.2011, di conferma della Sentenza del G.U.P. del Tribunale di Ancona, in data 20.102010;
visti gli atti, la Sentenza denunziata e il Ricorso;
udita in pubblica udienza la relazione svolta dal Consigliere Dott. Franco Fiandanese;
udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore Generale Dott. Antonio Mura, che ha concluso per l'inammissibilità del Ricorso.

Svolgimento del processo
La Corte d'Appello di Ancona, con Sentenza in data 23.06.2011, confermava la condanna pronunciata il 20.10.2010 dal G.U.P. del Tribunale di Ancona alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione nei confronti di P.V., dichiarato colpevole dei reati di cui all'art. 615-quater, co. 1 e 2, c.p., in relazione all'art. 617-quater, co. 4, n° 1, c.p. all'art. 55 del D.L.vo 21.11.2007 n° 231, all'art. 640 c.p. (due reati), agli artt. 477 e 482 c.p.
Si tratta di attività illecita consistita sia nell'acquisizione di carte di credito presso vari istituti bancari, sulla base di documenti di identificazione falsi, sia nell'illecita duplicazione dei dati delle carte di credito, tramite appositi apparecchi denominati skimmer.
Propone Ricorso per Cassazione il difensore dell'imputato, deducendo i seguenti motivi :
1) erronea applicazione dell'art. 192 c.p.p., in quanto a carico dell'imputato non sarebbero emersi indizi univoci e concordanti, né risulterebbe provata la partecipazione dello stesso alla clonazione e all'utilizzo delle carte di credito e neppure sussisterebbe l'ingiusto profitto.
2) vizio di cui all'art. 606, co. 1, lett. e), c.p.p. in quanto il riconoscimento dell'imputato svolto su foto segnalazione e non su ricognizione non avrebbe valore probante. Comunque, il P.V. sarebbe stato riconosciuto solo in una occasione fra quelle contestate e, considerato che egli non sarebbe esperto di informatica, dovrebbe considerarsi un mero esecutore di ordini impartiti da altri. Mancherebbe, inoltre, l'elemento del profitto, poiché solo in un caso sarebbero stati prelevati € 790,00.
3) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, in quanto non sussisterebbe il concorso tra il reato previsto dall'art. 12 del D.L. 03.05.1991 n° 143 e il reato di truffa. Inoltre, per quanto concerne la falsificazione di carte di identità, non esisterebbero prove che la falsificazione materiale sia stata commessa dall'imputato e mancherebbe l'elemento dell'ingiusto profitto.

Motivi della decisione
Il Ricorso è infondato e deve essere rigettato.
I primi due motivi di Ricorso, di cui alla elencazione in premessa, non sono consentiti nel giudizio di legittimità. Infatti, il ricorrente, sotto l'apparente deduzione di erronea applicazione di legge, in realtà chiede a questa Suprema Corte un'inammissibile "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30.04/02.07.1997 n° 6402, D., rv. 207944).
Premesso che le contestazioni all'imputato traggono origine da una complessa indagine che ha coinvolto molteplici soggetti compartecipi di un'attività illecita svolta su larga scala e giudicati in separati giudizi, i giudici di merito di entrambi i gradi di giudizio, le cui decisioni, in quanto conformi, si integrano a vicenda, con motivazione ampia ed esente da vizi logici e giuridici, hanno esplicitato le ragioni del loro convincimento, sottolineando, in particolare, che il P.V. è stato riconosciuto, sulla base delle riprese del sistema interno di videosorveglianza, quale uno dei soggetti che aveva provato a recuperare lo skimmer presso uno sportello bancario, ma soprattutto che l'effigie dell'imputato si trovava apposta su numerose carte di identità contraffatte utilizzate per il rilascio di carte di credito.
Risulta, pertanto, allo stesso modo inammissibile la deduzione difensiva della mancanza di prove che le falsificazioni contestate siano state commesse dall'imputato, posto che egli è concorrente in una complessa attività illecita che comprendeva necessariamente la falsificazione di carte di credito e di carte di identità.
Del tutto generica, in quanto priva di specifico supporto, è l'affermazione del ricorrente di essere un mero esecutore di ordini impartiti da altri.
Manifestamente infondata è la tesi difensiva della mancanza dell'elemento del profitto nelle fattispecie contestate, poiché le truffe di cui ai capi di imputazione sono due: una in cui il profitto ottenuto è specificamente indicato e l'altra che è rimasta nella forma del tentativo.
Infondato è il motivo di Ricorso con il quale il ricorrente afferma che non è configurabile il concorso tra il reato previsto dall'art. 12 del D.L. 03.05.1991 n° 143 e il reato di truffa.
Premesso che il reato contestato ex D.L.vo 21.11.2007 n° 231, art. 55, comma 9, sostituisce, senza soluzione di continuità, quello di cui al citato art. 12, le Sezioni Unite di questa Suprema Corte hanno affermato il principio di diritto così massimato: "L'indebita utilizzazione, a fine di profitto proprio o altrui, da parte di chi non ne sia titolare, di carte di credito o analoghi strumenti di prelievo o pagamento, integra il reato previsto dall'art. 12 del D.L. 03.05.1991 n° 143, convertito con L. 05.07.1991 n° 197, e non quello di truffa, che resta assorbito" (Cass. Pen., Sez. Un., 28.03.2001 n° 22902, T., rv. 218873).
Tale principio, però, come risulta chiaramente anche dalla motivazione della suddetta sentenza delle Sezioni Unite, riguarda la fattispecie illecita di cui alla prima parte del citato art. 12 (ora confluito nell'art. 55, cit.), che prevede la condotta di "indebita utilizzazione" di carte di credito o di pagamento, non la diversa fattispecie di cui alla seconda parte, che prevede la specifica condotta di "falsificazione o alterazione di carte di credito".
Quest'ultima condotta - e non solo quella di indebita utilizzazione - è proprio quella che è stata contestata al P.V. e che può dar luogo ad una autonoma contestazione di reato in concorso con il delitto di truffa, posto che non ogni artificio o raggiro comporta un'attività di falsificazione.
Piuttosto deve rilevarsi ex officio, senza peraltro alcuna conseguenza più favorevole sul trattamento sanzionatorio, che le condotte contestate ai capi C) e D) dell'imputazione quali delitti di truffa devono essere più esattamente qualificati ai sensi dell'art. 640-ter c.p., poiché integra il delitto di frode informatica colui che, servendosi di una carta di credito falsificata e di un codice di accesso fraudolentemente captato in precedenza, penetri abusivamente nel sistema informatico bancario ed effettui illecite operazioni di trasferimento fondi, tra cui quella di prelievo di contanti attraverso i servizi di cassa continua (Cas. Pen., Sez. 2, 15.04.2011 n° 17748, F., rv. 250113).
Al rigetto del Ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento della spese processuali.

P.Q.M.

Qualificati i reati di cui alle lett. C) e D) del capo di imputazione rispettivamente ai sensi degli artt. 640-ter, 56 e 640-ter c.p., rigetta il Ricorso e condanna il ricorrente al pagamento della spese processuali.

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