Penale

PENALE - La prova rigorosa del dolo di divulgazione in caso di file-sharing pedopornografico.

Written by Avv. Salvatore Frattallone. Posted in Penale

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La Cassazione, esaminando un delicato caso di PORNOGRAFIA MINORILE, prevista e severamente punita dall'art. 600-ter c.p., ha reputato opportuno ribadire il recente indirizzo interpretativo secondo cui l'utilizzo, ai fini dell'acquisizione via internet di materiale pedopornografico, di programmi che comportino l'automatica condivisione dello stesso con altri utenti non implica per ciò solo, in assenza di ulteriori specifici elementi, la volontà dell'imputato di effettuare la divulgazione e la diffusione di detto materiale.
Tale orientamento, che può ritenersi oramai consolidato, risale a Cass. Pen., Sez. III, Sent. 10/28.11.2011 n° 44065
(rv. 251401), alla quale pronuncia si era pervenuti nell'ambito di un processo ex art. 600-ter, comma 3, c.p. per divulgazione di materiale pornografico prodotto con protagonisti minorenni, frutto del collegamento a un servizio di file-sharing, che abilitava altri internauti connessi a scaricare quei file, trovandoli messi a disposizione nel web.

 

In tale caso, accadde che l'imputato aveva proposto Ricorso per Cassazione, tramite il difensore, chiedendone l'annullamento e lamentando - quale terzo motivo - la manifesta illogicità della motivazione in relazione al dolo, perché la Corte d'Appello, si sosteneva, aveva contraddittoriamente affermato che la diffusione di una sola immagine dal contenuto illecito avrebbe potuto essere avvenuta nella fase di semplice download, nell'ipotesi in cui il programma fosse stato così preventivamente impostato, cioè con la messa in condivisione simultanea a seguito dello scarico del file da internet e ciò poteva escludere la consapevolezza dell'avere scaricato un file a contenuto illecito e, soprattutto, della sua diffusione sulla rete.
La Corte di legittimità accolse parzialmente il gravame, ritenendo, sul punto, che: "affinché sussista il dolo del reato di cui all'art. 600-ter, comma 3, c.p. occorre che sia provato che il soggetto abbia avuto, non solo la volontà di procurarsi materiale pedopornografico, ma anche la specifica volontà di distribuirlo, divulgarlo, diffonderlo o pubblicizzarlo, desumibile da elementi specifici e ulteriori rispetto al mero uso di un programma di file sharing. Va ricordato, infatti, che l'art. 600-ter, comma 3, c.p. punisce, tra l'altro, chiunque "con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza" il materiale pedopornografico. Si tratta, nei singoli casi concreti, di questione interpretativa abbastanza delicata, perché il sistema dovrebbe essere razionalmente ricostruito giungendo a soluzioni che tengano conto delle effettive caratteristiche e delle concrete modalità di utilizzo di programmi del genere da parte della massa degli utenti e che, nello stesso tempo, soddisfino l'esigenza di contrastare efficacemente una assai grave e pericolosa attività illecita, quale la diffusione di materiale pornografico minorile, cercando però di evitare di coinvolgere soggetti che possono essere in piena buona fede o che comunque possono non avere avuto nessuna volontà o addirittura consapevolezza di diffondere materiale illecito, soltanto perché stanno utilizzando questi (e non altri) programmi di condivisione, e cercando altresì di evitare che si determini di fatto la scomparsa di programmi del genere. Del resto, le due suddette esigenze ben possono essere entrambe soddisfatte perché, con indagini adeguate, è possibile accertare chi stia davvero agendo col dolo di diffondere e non solo con quello di acquisire e con la consapevolezza del vero contenuto dei file detenuti. Una diversa interpretazione, secondo cui la semplice volontà di procurarsi un file illecito utilizzando un programma tipo Emule o simili, implicherebbe, di per se stessa e senza altri elementi di riscontro, sempre e necessariamente anche la volontà di diffonderlo (solo in considerazione delle modalità di funzionamento del programma e del fatto che questo permette l'upload anche senza alcun intervento di un soggetto che concretamente metta il file in condivisione), porterebbe a configurare una sorta di presunzione "iris et de iure" di volontà di diffusione o una sorta di responsabilità oggettiva, fondate esclusivamente sul fatto che, per procurarsi il file, il soggetto sta usando un determinato programma di condivisione e non un programma o un metodo diversi (Cass. Pen., Sez. III, 12.01.2010 n° 11082; Cass. Pen., Sez. III, 07.11.2008 n° 11169)". In siffatta fattispecie La Suprema Corte ha così ritenuto che "da quanto emerge dalla descrizione del fatto contenuta nella Sentenza censurata, l'imputato ha sicuramente commesso la condotta prevista e punita come reato dall'art. 600-quater c.p., essendosi consapevolmente procurato (scaricandone uno da altri utenti attraverso il programma Kazaa) e avendo consapevolmente detenuto file pedopornografici; la Corte d'Appello ha però qualificato il fatto ai sensi dell'art. 600-ter, comma 3, c.p. invece che ai sensi dell'art. 600-quater c.p.; e ciò, sulla base della sola circostanza che l'imputato stava utilizzando il programma di file sharing Kazaa, ossia ravvisando in sostanza nell'utilizzazione di tale programma una sorta di responsabilità oggettiva. Tale qualificazione appare, dunque, erronea, perché, come si è già osservato, la pronuncia censurata ha sostanzialmente ritenuto che la sola condotta di essersi procurato i file pedopornografici mediate la utilizzazione di un programma di condivisione integri il reato di divulgazione del materiale, a prescindere dalla sussistenza di ulteriori specifici elementi in tal senso". Talchè ne è derivata, in tal caso, la conclusione che si rendeva necessaria una rimodulazione del reato contestato, atteso che "la fattispecie per la quale è stata riconosciuta la responsabilità penale dell'imputato deve essere riqualificata come violazione dell'art. 600-quater c.p. e che la Sentenza impugnata deve, di conseguenza, essere annullata con rinvio, limitatamente alla determinazione della pena applicabile".
Per altro verso, si è ora anche statuito, con la decisione sotto riportata, che la sussistenza dell'elemento soggettivo, implica la volontà consapevole di divulgare o diffondere lo stesso e, pertanto, deve formare oggetto di puntuale accertamento: sul punto era già intervenuto un importante arresto giurisprudenziale (cfr. Cass. Pen., Sez. III, Sent. 12.01/23.03.2010 n° 11082, rv. 246596, in riferimento ad altri precedenti, tra cui Cass. Pen., Sez. III, 10.06.2009,  M.; Id., Sez. III, 07.11.2008, G.; Id., Sez. III, 16.10.2008, P.M. Catania c. C.), allorquando si stabilì che "il principio che non è ravvisabile anche il reato di divulgazione per il solo motivo (e sulla base della sola prova) che i file illeciti siano procurati attraverso un programma di condivisione (omissis). Rinviando alle decisioni citate per le questioni relative all'elemento oggettivo del reato ed alla necessità che il soggetto ponga in condivisione il file già completato in tutti i suoi elementi, ci si può qui limitare a riaffermare il principio che per ravvisare l'elemento soggettivo del reato è necessaria la prova di una volontà consapevole del soggetto diretta a divulgare o diffondere il file, come potrebbe aversi, ad esempio, quando il soggetto, dopo averlo completamente scaricato, abbia volontariamente inserito o lasciato il file in una cartella contenente i file destinati alla condivisione (salvo eventuale ignoranza del contenuto illecito del file che a lui appaia con un titolo falso). Quando manchi questa prova di una specifica volontà di divulgazione, potrà presumersi solo una volontà corrispondente al comportamento che il soggetto in concreto sta tenendo, ossia normalmente una volontà di scaricare, ossia di procurarsi il file (art. 600-quater c.p.) e non anche una volontà di diffonderlo".
Nel caso della Sentenza ambrosiana che aveva originato tale pronuncia, invero, la Corte di Cassazione stigmatizzò opportunamente che "nè sarebbero sufficienti presunzioni del tutto generiche o frasi di stile, come quelle che il soggetto conosceva il funzionamento del programma, giacché tale conoscenza non implica necessariamente anche una volontà di diffondere. Occorre invece valutare il comportamento tenuto in concreto dal soggetto (eventualmente attraverso l'esame dell'apposito file su cui vengono registrate tutte le azioni svolte o la rivelazione della percentuale del file detenuto al momento dell'accertamento della polizia), come ad esempio la circostanza che il soggetto sia solito trasferire in altra cartella o in altro supporto i file completati o invece sia solito inserirli nella cartella dei file posti in condivisione".

 

Cass. Pen., Sez. III, Sent. 04.07/31.08.2012 n° 33574

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNINO Saverio Felice, Presidente
Dott. LOMBARDI Alfredo M., Rel. Consigliere
Dott. GENTILE Mario, Consigliere
Dott. GRILLO Renato, Consigliere
Dott. ROSI Elisabetta, Consigliere
ha pronunciato la seguente:

Sentenza

sul Ricorso proposto da: P.A., nato a (omissis);
avverso la Sentenza in data 06.06.2011 della Corte d'Appello di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il Ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alfredo Maria Lombardi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. Pietro Gaeta, che ha concluso chiedendo il rigetto del Ricorso;
udito per la parte civile l'Avv. N. Veneziano, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del Ricorso;
udito per l'imputato gli Avv. G.M.P. Surace ed A. Attoinà, che hanno concluso chiedendo l'accoglimento del Ricorso.

Svolgimento del processo
1. Con la Sentenza impugnata la Corte d'Appello di Catanzaro ha confermato la Sentenza del Tribunale di Catanzaro in data 08.07.2010, con la quale P.A. era stato dichiarato colpevole dei reati:
a) di cui all'art. 81 cpv. c.p., art. 609-quater c.p., comma 1, n. 1), e u.c., in relazione all'art. 609-ter c.p., comma 2, a lui ascritto per avere reiteratamente, in tempi ed occasioni diverse, commesso atti sessuali con la figlia P.M., minore di dieci anni, consistiti nel farla spogliare, passarle il pene sulle zone genitali, farsi toccare nelle zone intime, introdurle, in più occasioni, il pene in bocca;
b) di cui all'art. 81 cpv. c.p., art. 600-ter c.p., comma 3, e art. 600-sexies c.p. per avere distribuito o comunque divulgato tramite la rete internet materiale pornografico ottenuto utilizzando minori degli anni diciotto, e condannato alla pena di anni undici di reclusione oltre alle pene accessorie ed al risarcimento dei danni in favore della parte civile.
Secondo la ricostruzione dei fatti riportata in Sentenza la madre della bambina, separata dal marito, aveva notato che la figlia aveva comportamenti inusuali che l'avevano insospettita.
La minore, sollecitata dalla madre, aveva riferito che il padre, a volte in macchina, a volte in una stanza, le aveva mostrato il membro, preteso che lei lo toccasse e compiuto gli altri atti sessuali descritti in imputazione.
La madre provvedeva anche a registrare in un'occasione il racconto della figlia.
Lo stesso narrato veniva poi riferito dalla bambina ai nonni, alla zia ed alla dott.sa T., psicologa alla quale era stata, a distanza di tempo, affidata.
Nel corso delle indagini preliminari veniva inoltre fatta espletare dal Pubblico Ministero una consulenza psicologica sulla minore e successivamente veniva espletata una perizia.
Quanto al materiale a carattere pedo-pornografico lo stesso veniva rinvenuto nel computer dell'imputato in una cartella "Incaming" che ne comportava la necessaria condivisione con altri utenti della rete.
La Corte territoriale ha rigettato i motivi di gravame con i quali l'appellante aveva chiesto la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, finalizzata all'espletamento di una nuova perizia sulla minore, e, nel merito, l'assoluzione del P.A. dai reati ascrittigli, nonché, in subordine, la concessione delle attenuanti generiche e la riduzione della pena inflitta.
In sintesi, i giudici di merito hanno valorizzato, al fini dell'affermazione della colpevolezza dell'imputato, la ritenuta attendibilità delle dichiarazioni della madre e degli altri testi che avevano appreso i fatti direttamente dalla minore e ritenuto che gli accertati errori metodologici della consulente del Pubblico Ministero, come evidenziati dalla successiva perizia, nonché le conclusioni di quest'ultima non inficiassero la attendibilità del quadro probatorio emerso dalle predette dichiarazioni.
2. Avverso la Sentenza ha proposto Ricorso l'imputato il quale, tramite il difensore, la denuncia con sei mezzi di annullamento:
2.1 Mancanza, contraddittorietà e/o illogicità della motivazione in relazione all'art. 190 c.p.p.
In sintesi, si osserva che la bambina, allorché è stata sentita correttamente con modalità protette, come avvenuto in data 30.05.2007 da parte dei personale dei Servizi Sociali della ASL di (omissis), unitamente a quello dei Commissariato di Polizia, mostrandosi serena e tranquilla, non aveva riferito nulla.
Analogamente non aveva riferito nulla e ribadito di avere detto bugie allorché era stata sentita dal dott. L., incaricato dal Tribunale per i minorenni.
Il perito d'ufficio inoltre aveva concluso per la non credibilità delle dichiarazioni rese dalla bambina.
Tali risultanze processuali dimostrano che l'affermazione di colpevolezza è fondata sul nulla.
I giudici di merito non hanno tenuto conto della alta conflittualità esistente tra i coniugi, della quale vengono indicati gli elementi di riscontro, e tale omessa valutazione ha indotto i giudici di merito a ritenere insignificanti le contraddizioni che hanno caratterizzato il comportamento della madre, quale l'avere continuato a mandare la figlia da padre anche dopo che era venuta a conoscenza degli abusi sessuali, nonché non averla fatta sottoporre a visita ginecologica, mentre hanno ritenuto provate le circostanze a carico dell'imputato in una sorta di presunzione circolare di credibilità. Non si è, poi, tenuto conto della spiccata suggestionabilità dei bambini, specie se motto piccoli, affermata anche dalla giurisprudenza di questa Corte, del già descritto clima di elevata conflittualità che avrebbe indotto la madre e gli altri parenti ad esercitare pressioni sulla bambina, delle risultanze della perizia che ne escludevano la credibilità e delle dichiarazioni del dott. L. in ordine all'esito dell'esame della minore.
2.2 Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla consulenza tecnica del C.T. del Pubblico Ministero.
La Corte Territoriale è incorsa nel denunciato vizio di motivazione perché, dopo aver riconosciuto il carattere altamente suggestivo della domande formulate dal dott. S., con palese violazione delle linee guida stabilite dalla Carta di Noto, ha inteso salvare i risultati della consulenza, affermando la utilizzabilità di elementi indiziari desunti dal comportamento della bambina, apoditticamente ricondotti all'ipotesi di abuso paterno, e le stesse valutazioni medico scientifiche del consulente sul punto.
2.3 Mancanza e manifesta illogicità della motivazione, nonché violazione degli artt. 195, 228 e 603 c.p.p.
La sentenza ha ritenuto inammissibile la richiesta di esaminare la persona offesa perché formulata intempestivamente ai sensi dell'art. 507 c.p.p.
Tale affermazione è errata in quanto la richiesta di audizione della minore è stata formulata all'udienza del 06.11.2009, prima della chiusura dell'istruzione dibattimentale, disposta solo all'udienza del 20.11.2009.
L'errato riferimento della difesa al disposto dell'art. 507 c.p.p., invece che a quello dell'art. 195 c.p.p., non rendeva inammissibile la richiesta.
In applicazione del principio "iura novit curia", con la conseguente inutilizzabilità delle deposizioni "de relato" sulle dichiarazioni della minore.
Nel caso in esame, peraltro, ricorrevano anche le condizioni perché venisse disposta detta audizione, ai sensi dell'art. 507 c.p.p.
Si fa rilevare che lo stesso P.G. aveva chiesto la riapertura dell'istruzione in appello a tal fine e che non sussistevano le condizioni per ritenere impossibile detta audizione, che si palesava, peraltro, indispensabile.
Nel prosieguo viene anche censurata l'utilizzazione della deposizione della T., stante il carattere ambiguo della posizione della teste psicoterapeuta della bambina e consulente di parte, nonché l'utilizzazione delle risultanze della deposizione dei Consulenti tecnici del Pubblico Ministero, quale mezzo di prova per la ricostruzione dei fatti.
2.4 Contraddittorietà ed illogicità della motivazione in relazione alla perizia della dott.ssa G.
In estrema sintesi, si denuncia il travisamento delle risultanze della perizia con riferimento al giudizio relativo alla capacità di resistenza della minore alla suggestione, non essendo stata affatto esclusa dalla dott.ssa G. l'ipotesi di una suggestione inconsapevole, nonché di altri punti della relazione peritale; la omessa valutazione della registrazione delle dichiarazioni della bambina da parte del padre riferibili ad una relazione intrattenuta dalla madre; l'omessa valutazione delle già evidenziate risultanze dell'esame della bambina da parte del personale della ASL, effettuato correttamente e peraltro in prossimità dei fatti, nonché da parte del dott. L.; della rilevanza, nel caso in esame, della conflittualità familiare che emerge dalla relazione del perito o la ravvisabilità di cosiddetti fattoldi nei narrato della bambina, nonché la utilizzazione a sostegno dell'ipotesi accusatoria di fatti privi di valore indiziario.
2.5 Violazione ed errata applicazione dell'art. 609 bis c.p., nonché omessa motivazione.
L'attenuante di cui all'u.c. dell'articolo citato è compatibile anche con la minore età della parte lesa.
L'applicabilità della stessa è legata alla offesa arrecata alla vittima dell'abuso sessuale che nella specie non poteva considerarsi rilevante, stante il contesto non violento delle condotte.
Parimenti errata o carente e la motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche.
2.6 Violazione ed errata applicazione dell'art. 600-ter c.p., nonché omessa motivazione.
Non esistono tracce complete dei files incriminati, peraltro in numero di due, se non alcuni settori disallocati, ossia riconducibili a download interrotti o a files cancellati, tanto che il perito non ne ha potuto prendere visione, limitandosi ad un giudizio di "probabile contenuto pedo-pornografico".
Di tale rilievo la sentenza non ha dato contezza. Sul piano soggettivo si osserva che il programma Emule prevede e consente la condivisione dei files indipendentemente dalla volontà dell'imputato, che non ha la possibilità di impedirla.
Non vi è pertanto prova della volontà del P.A. di distribuire, divulgare diffondere o pubblicizzare il materiale pedo-pornografico.
La Sentenza inoltre dà per scontata l'utilizzazione da parte dell'imputato di acronimi per la ricerca con chiari riferimenti pedo-pornografici, senza che sia stata effettuata un'indagine sulle parole chiave più frequentemente utilizzate dal P.A., che non riguardano siti aventi contenuto illegale.
La Sentenza, peraltro, ha attribuito significato sospetto a determinare parole chiave, mentre le stesse sono riferibili ad ambiti che, per quanto pornografici, non hanno contenuto illecito.

Motivi della decisione

Il terzo motivo di Ricorso, relativo alle imputazioni per abusi sessuali in danno della figlia minore, è fondato.
Osserva in primo luogo la Corte che non risulta essere stato espletato nel corso delle indagini preliminari un incidente probatorio per esaminare la persona offesa.
Nei caso di persona offesa minore, vittima di abusi sessuale, tale mezzo istruttorio, anche se non imposto espressamente dalla legge, si palesa pressoché indispensabile per assicurare la genuinità della prova dei fatti nei tempi più ravvicinati possibile al loro presunto accadimento mediante l'esame della persona offesa, che nella maggior parte dei casi ne è l'unica fonte di prova ed il cui ricordo è più facilmente deteriorabile per il decorso del tempo.
Per tale ragione, peraltro, il legislatore ha inserito il comma 5-bis nell'art. 396 c.p.p., disposto dalla L. 15.02.1996 n° 66, art. 14, comma 2, e successive modificazioni.
Dalle sentenze di merito, però, non emerge alcuna indicazione delle ragioni del mancato espletamento dell'incidente probatorio, pur risultando che il Pubblico Ministero nel corso delle indagini ha disposto e fatto espletare una consulenza tecnica sulla bambina, cui, peraltro, si è proceduto con modalità errate come affermato nelle stesse sentenze impugnate.
Passando all'esame dei citato motivo di ricorso, emerge dai verbale di udienza in data 06.11.2009 del giudizio di primo grado che detta richiesta venne espressamente formulata dalla difesa del ricorrente, anche mediante il riferimento alle modalità dell'audizione protetta e previo espletamento di una perizia, sia pure con l'errata citazione dell'art. 507 c.p.p., che peraltro poteva anche riferirsi all'indagine tecnica.
Su tale punto la Sentenza impugnata, nel rigettare le censure dell'appellante, a parte il riferimento all'erroneità del dato normativo in base al quale è stata formulata la richiesta, ha affermato l'intempestività della stessa, per non essere stata effettuata subito dopo l'audizione dei testi che avevano riferito le parole della persona offesa, e in considerazione della possibilità che dall'esame della minore potessero derivare danni alla salute della stessa.
Le esposte argomentazioni non appaiono fondate in punto di diritto.
In materia di testimonianza indiretta, la richiesta di esaminare la persona che ha fornito l'informazione al testimone "de relato" può essere avanzata dalla parte fino all'inizio della discussione, in applicazione della previsione generale contenuta nell'art. 493, comma 2, c.p.p., senza peraltro che debba essere fornita la dimostrazione di non aver potuto indicare tempestivamente tale prova, dal momento che solo dopo la escussione del testimone la parte è in grado di conoscere se le circostanze riferite siano frutto di una conoscenza diretta oppure se si tratti di circostanze apprese da altri (Cass. Pe., Sez. V, Sent. 09.05.2002 n° 43464, rv. 223542).
Nessun termine per la formulazione della richiesta di sentire i testi su fatti riferiti "de relato", infatti, è previsto dall'art. 195 c.p.p., sicché il termine finale deve farsi coincidere con la conclusione dell'istruzione probatoria ed il passaggio alla discussione.
Nel caso in esame, alla citata udienza del 06.11.2009 l'attività istruttoria era ancora in corso, avendo il Tribunale all'esito della stessa disposto l'acquisizione di documentazione ed altro.
Neppure si palesa giuridicamente corretto il riferimento della Sentenza alla possibilità di danni per la salute della minore in conseguenza dell'espletamento del mezzo istruttorio.
Sul punto rileva la Corte che il pericolo per la salute del minore, vittima di abuso sessuate, non può essere fondato su un giudizio ipotetico espresso dal giudice di merito, ma sul puntuale accertamento da parte di personale qualificato del pericolo concreto di un'infermità psichica mediante l'eventuale espletamento di apposita perizia (cfr., sostanzialmente negli stessi sensi: Cass. Pen., Sez. III, Sent. 11.06.2009 n° 30964, rv. 244939).
In detta materia, le doverose esigenze di tutela dei minori, vittime di abuso sessuale, devono essere necessariamente contemperate con quelle del diritto dell'imputato al giusto processo ex art. 111, commi 4 e 5,  Cost. che peraltro trovano attuazione nello stesso art. 195, comma 3, c.p.p.
Sicché, a parte le ipotesi di morte o irreperibilità del teste, l'infermità preclusiva della possibilità di esame diretto dello stesso alla presenza delle parti, ma con le forme necessarie dell'audizione protetta, trattandosi di minori, deve consistere in un concreto pericolo per la salute psichica del teste, che deve formare oggetto di adeguato accertamento.
Nel caso in esame l'ipotesi formulata in Sentenza non è suffragata da alcun riferimento a risultanze della espletata perizia o ad altri dati tecnici dimostrativi dell'ipotesi.
Peraltro, il timore espresso dai giudici di merito appare in contraddizione con le numerose interviste cui è stata sottoposta la minore nelle varie sedi.
Pienamente condivisibile è, infine, l'argomentazione difensiva circa la irrilevanza dell'errato riferimento normativo indicato a sostegno della richiesta di audizione diretta della persona offesa.
L'accoglimento del terzo motivo di Ricorso è assorbente rispetto alle ulteriori censure del ricorrente relativamente ai fatti di abuso sessuale.
La Corte, però, non può esimersi dal rilevare, sul piano della tenuta logica dell'impianto motivazionale su cui si fonda la sentenza, che l'utilizzazione, a fini probatori, di risultanze della consulenza tecnica fatta espletare dal Pubblico Ministero si palesa in contrasto logico con l'accertata, dai giudici di merito di entrambi i gradi dei giudizio, inosservanza delle precauzioni tecniche nell'esame della persona offesa minore da parte dello psicologo mediante la formulazione di domande suggestive ed altre violazioni delle prescrizioni della Carta di Noto.
Analogamente non si palesa fondata su un apparato argomentativo immune da vizi logici l'utilizzazione da parte dei giudici di merito dei risultati della perizia disposta dal Tribunale nella parte in cui si citano risultanze dei test relativi alla credibilità della minore, mentre sono state, poi, respinte le conclusioni del perito in ordine alla inattendibilità complessiva del narrato della stessa, senza che siano state approfondite sul plano scientifico le ragioni del giudizio conclusivo.
2. Anche il motivo di ricorso relativo al reato di cui all'art. 600-ter c.p. è fondato.
È stato di recente precisato da questa Corte, ma con indirizzo interpretativo che può ritenersi consolidato, in ordine al reato di divulgazione e diffusione di materiale pedopornografico, che l'utilizzo, ai fini dell'acquisizione via "internet" di detto materiale, di programmi che comportino l'automatica condivisione dello stesso con altri utenti non implica per ciò solo, ed in assenza di ulteriori specifici elementi, la volontà, nel soggetto agente, di divulgare detto materiale (Cass. Pen., Sez. III, Sent. 10.11.2011 n° 44065, rv. 251401).
La sussistenza dell'elemento soggettivo, implica la volontà consapevole di divulgare o diffondere lo stesso e, pertanto, deve formare oggetto di puntuale accertamento (Cass. Pen., Sez. III, Sent. 12.01.2010 n° 11082, rv. 246596).
La sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata con rinvio per un nuovo esame relativamente ai reati ascritti all'imputato, previa riapertura dell'istruzione dibattimentale, con riferimento al capo a) dell'imputazione, finalizzata all'esame della persona offesa, preceduto dall'accertamento della possibilità di disporre l'audizione della stessa.

P.Q.M.

Annulla la Sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d'Appello di Catanzaro.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati significativi a norma del D.L.vo n° 196/2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

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