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PRIVACY - HuffPost, "Come ti spio il pargolo con il GPS, ma è legale?".

Publié par Avv. Salvatore Frattallone. Publié dans Privacy

www.huffingtonpost.it, 19.04.2016, di Johann Rossi Mason

da www.huffingtonpost.it, 19.04.2016, di Johann Rossi Mason*   

Come ti spio il pargolo con il GPS, ma è legale?

I genitori 2.0 hanno imparato a monitorare i figli. Controllano dove sono guardando il GPS del loro telefonino, sbirciano la loro pagina Facebook, ricevono copia di tutti i messaggi WhatsApp che si scambiano con gli amici e sanno a memoria la cronologia delle ricerche che effettuano su Google. Basta installare sullo smartphone del pargolo un invisibile software spia e il gioco è fatto, ce ne sono decine in rete. Sanno quindi in tempo reale se i figli bevono, si drogano o hanno rapporti sessuali, se non vanno a scuola o se stanno preparando un attentato terroristico (meno frequente ma non si sa mai). I software spia tolgono loro il disturbo di fare domande scomode e il fastidio di sentirsi mentire. Questo li rende tranquilli? Tutt'altro, sono genitori ansiosi e insicuri e i dispositivi di monitoraggio aumentano il loro livello di allerta che diventa cronico. Ma questo sarebbe un problema secondario, la realtà è che queste forme di controllo, anche se interessano i minori sono ai limiti della legalità. Lo spiega l'Avvocato Salvatore Frattallone, penalista ed esperto in questioni che attengono la privacy, al quale abbiamo chiesto fin dove possa arrivare il controllo.
"I genitori hanno l'obbligo di contemperare l'esercizio della responsabilità genitoriale con il rispetto della personalità e delle libertà costituzionali riconosciute al minore, anche a livello internazionale: l'
art. 16 della Convenzione di New York del 1989, ratificata in Italia con legge n° 176/1991, tutela della sua riservatezza e ha escluso la possibilità d'interferenze arbitrarie o illecite nella sua vita privata e nella sua corrispondenza.
La sfera privata dei figli rappresenta allora un limite al potere-dovere dei genitori di educarli, ma fino ad un certo punto. Se il genitore prende cognizione delle telefonate effettuate o ricevute dal figlio in assenza di una necessità effettiva di controllo, allora commette il delitto - quello di cognizione, interruzione o impedimento illeciti di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche - punito dall'art. 617 del codice penale, che non è giustificato dall'adempimento di un dovere (art. 316 c.c.).
Per la Suprema Corte di Cassazione, infatti (
Sent. n° 41192/2014), l'art. 51 c.p. rende plausibile l'interferenza del genitore nella sfera di riservatezza del fanciullo solo nel caso in cui si fosse un'oggettiva situazione di necessità di dar corso al controllo, a fini educativi o di protezione.
Ma il genitore deve poi essere in grado di fornire in giudizio la prova rigorosa delle ragioni di fatto che lo hanno indotto a tale stringente vigilanza, il che non è sempre facile. Per lo stesso motivo - laddove non sia ravvisabile una concreta esigenza di controllo, che pur sempre riconosciuta al genitore quale diritto/dovere scaturente dalla responsabilità legislativamente affidatagli - in Italia è punibile ai sensi dell'art. 617-bis c.p. colui che installi delle "microspie" (o un software o altri gadget tecnologici equivalenti) sullo smartphone dell'adolescente, per carpire, anche sui social, i dati delle sue conversazioni, per conoscere la sua localizzazione in tempo reale o per eseguire in modo occulto l'ascolto ambientale, trasformando il cellulare in un guardiano da remoto.
La stessa installazione di apparecchiature atte a intercettare o impedire comunicazioni telegrafiche o telefoniche è dunque perseguita e punita penalmente, come accade se all'interno di apparati radiomobili si apportino modifiche che consentano di ascoltare, anche da distanza illimitata, comunicazioni o conversazioni tra altre persone".
Sul punto l'avvocato Salvatore Frattallone non usa mezzi termini: "È falso quanto scrive qualcuno sul web in ordine al fatto che sia lecito l'uso di apparecchi tipo 'spyphone' per monitorare distanza il proprio figlio minorenne. Anche un figlio minore ha diritto alla sua privacy, poiché non è affatto "proprietà" del genitore. La soglia di liceità di questi comportamenti risiede nel preminente interesse del minore. E se tanto vale per il figlio minore, tanto più varrà per il maggiorenne che sia ancora convivente con i genitori. Il diritto alla riservatezza non è infatti una questione d'età".
La questione è ancora più delicata e supera i limiti della legalità se pensiamo agli aspetti psicologici e pedagogici. Spiare i figli significa tradire la fiducia che hanno in noi, monitorarli passo passo è come stargli col fiato sul collo e non rendergli possibile né sbagliare, né nascondere l'errore. A pensarci è devastante, è l'occhio inquisitore che azzera la libertà e la spinta fisiologica sia all'autonomia che ad un po' di trasgressione, diventa un guinzaglio lungo, ma non è vera libertà. Quindi la privacy è la possibilità di avere spazi fisici e mentali inaccessibili a noi genitori e a ben guardare è un bisogno fondamentale degli esseri umani che si affianca al concetto di libertà. Quando un genitore spia il figlio (anche a fin di bene) gli sta dando un messaggio di disistima, forse un prezzo troppo alto per placare la propria ansia. I comportamenti intrusivi infatti portano ad alzare le difese e a chiudersi ancora di più. I figli controllati non si sentono protetti ma traditi, non si apriranno e non si confideranno con noi.
Inoltre in questo modo rischiamo di crescere individui insicuri: l'adolescenza è infatti il momento perfetto per sbagliare e imparare dai propri errori. E si è visto in alcune ricerche che i ragazzi che fanno esperienze negative sporadiche (che anche non condivideremmo come fumare uno spinello o guidare senza patente) saranno adulti psicologicamente più sani di quelli che sono stati messi sotto una campana di vetro, lo afferma Judith Smetana, Professore di Psicologia all'Università di Rochester.
Ma anche quando i genitori riconoscono l'importanza della privacy è difficile stabilirne i confini, si tratta di un criterio molto soggettivo per cui non esistono norme. Diciamo allora che possiamo effettuare un controllo discreto quando sospettiamo che ci sia un problema, un disagio, e che l'approccio migliore è quello di parlarne col diretto interessato, senza giudicarlo e mettendosi a disposizione in una posizione di ascolto e di aiuto. Quello che dobbiamo ottenere è che in caso di problemi i ragazzi sappiano che noi siamo lì per loro e siamo disposti a mettere in campo tutte le risorse per aiutarli ad uscirne, lavorando in squadra.

* * *

(Johann Rossi Mason*, di madre italiana e padre americano, ha radici che affondano ai 4 angoli del mondo. Curiosa, e irrequieta è giornalista medico scientifico, ex conduttrice tv e autrice di libri di divulgazione. Specializzata in neuroscienze, psichiatria e psicologia sociale ha iniziato nel 1990 la carriera giornalistica e ha collaborato per 18 anni con La Repubblica e il Gruppo L’Espresso. Ama i cavalli, le peonie e la cancelleria. Vive a Roma con la figlia, un cane e due gatti. Il suo hashtag è #masonimpossible). 

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