Ord. forense

ORD. FORENSE - MP, La Caporetto del conservatorismo forense, nell'epoca di internet.

CaporettoLA CAPORETTO DEL CONSERVATORISMO FORENSE, NELL'EPOCA DI INTERNET. 

(da www.mondoprofessionisti.it newsletter n° 201 del 17.11.2014, rubrica "L'opinione",
 di Salvatore Frattallone, Chairman of View net Legal network)

Lo scontro con l'Antitrust ha radici lontane e questo non è che l'epilogo d'una battaglia più ampia. La pronuncia dell'AGCM e la condanna a pagare  quasi un milione di euro rappresentano la più grave disfatta nella storia ordinistica in Italia, una vera e propria Caporetto. Le cause della sconfitta, senza scomodare Senofonte, sono riassumibili nell'incapacità di saper cogliere in modo adeguato gli irreversibili cambiamenti del tempo, nell'epoca della «Società dell'informazione»: la realtà italiana è mutata radicalmente, in questi ultimi due decenni. Così è per il mercato, ed altrettanto è a dirsi per le attitudini dei consumatori ed anche di enti ed imprese, di rapportarsi con il mondo dei servizi legali, sfruttando internet, la telefonia mobile ed altri innovative maniere di comunicare (tra cui applet e socialnetwork), consentite, ed anzi favorite, dall'insorgere di nuove tecnologie dell’informazione. Ma così pure è a dirsi per il modo e per gli strumenti con cui si esercita la professione forense.

Nondimeno sono diventate insopprimibili le crescenti esigenze di una messe di professionisti abilitati all'esercizio della professione forense ma soverchiati dalla crisi economica che ha investito il vecchio e il nuovo continente, riducendo un'intera categoria a spazi troppo angusti. Qualcuno si è però ostinato, anche a costo di negare l'evidenza, a impedire che il cambiamento avesse luogo in modo controllato, dominandolo, governandolo. Si è preferito alzare barricate, mettere paletti, fare due passi in avanti e uno indietro. Forse - ma è solo una mera ipotesi di fantasia - è mancata la flessibilità, la capacità d'innovare, di modificare la rotta, di recepire il futuro e l'innovazione tecnologica. Cambiare: questa è la parola d'ordine per ogni organizzazione che intenda adattarsi alle evoluzioni del contesto e mantenere la propria capacità competitiva (Claudio Piccardo e Lara Colombo, ancora nel 2007). Ora nulla sarà più come prima. 
A parte l'aspetto delle tariffe minime, in passato considerate disciplinarmente «invalicabili», l'Antitrust si è pronunciata sul tema scottante della presenza degli Studi legali in portali ed in siti internet di società terze, nei quali l'inserimento del nominativo del legale viene effettuato (a pagamento) allo scopo di promuovere i servizi professionali forensi. L'Autorità garante ha ritenuto la violazione dell'art. 101 TFUE, che inibisce ogni restrizione della concorrenza, e ha dichiarato del tutto illegittimo restringere il diritto dell'Avvocato di poter pubblicizzare la propria attività professionale nelle piattaforme digitali reperibili sul web.
Conseguentemente è stato pesantemente censurato il Parere del CNF n.° 48/2012 con cui la massima Assise dell'Avvocatura aveva - indirettamente limitando la concorrenza sui compensi da parte dei professionisti - ristretto l’impiego di un canale di diffusione delle informazioni tramite il quale i professionisti veicolano ai potenziali clienti anche la convenienza delle prestazioni professionali da essi offerte. 
Il quadro da cui non si può prescindere è quello d'una «progressiva liberalizzazione dei servizi professionali», che è stato invece obliterato dal CNF con il Parere n° 48/2012, laddove si assumeva, tra l'altro, che «il gestore del sito web si pone, a titolo oneroso, come soggetto interposto tra l’avvocato e il cliente […] per consentirgli l’assunzione di incarichi», essendosi così verificato che, «a seguito del parere, Avvocati appartenenti a Ordini circondariali geograficamente distanti tra loro e diversi rispetto a quello [di Verbania] che ha richiesto il parere, hanno proceduto a recedere dai contratti stipulati con il [predetto] circuito in ragione del rischio di esposizione a iniziative disciplinari degli ordini di rispettiva appartenenza», ed anzi molti Ordini avendo espressamente ammonito tutti i legali iscritti ai rispettivi Albi a rinunciare alla propaganda in internet, procedendo "mediante cancellazione dal servizio" di pubblicazione sul sito, sotto comminatoria di sanzioni disciplinari per violazione dell'art. 19 CDF. 
Assai interessante, peraltro, risulta l'analisi compiuta dall'Antritrust sul c.d. business model che ha occasionato la condanna de qua (coincidente con il limite edittale). Esso risulta basato «su una piattaforma che mette in contatto i potenziali utenti con i soggetti prestatori di servizi. Si tratta di un circuito nel quale i titolari della carta/consumatori hanno diritto ad ottenere un trattamento agevolato sui servizi professionali o commerciali offerti dai prestatori aderenti al circuito, normalmente consistente in una riduzione del prezzo generalmente praticato. Il sito web [della società commerciale] risulta organizzato mediante directories e sotto-directories tematiche uniformi, per categorie di attività e ambiti geografici [...]. Per quanto riguarda i servizi di assistenza legale, [...] non svolge alcuna attività di interposizione né di intermediazione nella circolazione dei servizi professionali in questione [, poiché] mette a disposizione dei professionisti una vetrina on-line attraverso la quale questi ultimi hanno la possibilità di far conoscere la propria attività professionale, le proprie specializzazioni e competenze, nonché i vantaggi in termini di riduzione del compenso [... e con] specifico riferimento al lay-out delle vetrine online degli avvocati, esse risultano tra loro omogenee e prive di banner pubblicitari o link che indirizzano l’utente ad attività commerciali di altra  natura. Le condizioni di adesione prevedono, a fronte della messa a disposizione [da parte della società che gestisce il sito promozionale] per un periodo di cinque anni, esclusivamente il pagamento da parte del professionista di una quota di iscrizione una tantum [e tale società] non riscuote alcuna provvigione per effetto della conclusione di contratti per l’assistenza legale tra i clienti e i professionisti affiliati alla piattaforma [...ma percepisce, oltre alle sottoscrizioni delle carte da parte degli consumatori/utenti, le] quote di iscrizione dei professionisti/prestatori di servizi per la “locazione” delle vetrine online attraverso le quali gli stessi pubblicizzano la propria attività».
Il CNF, nel contestare ratione materiae e ratione personae l'assunto, aveva stigmatizzato anche che «siti come [quello in esame] cattur[erebbero] i potenziali clienti collegandoli al professionista, il che costituirebbe una violazione deontologica da parte degli Avvocati, perché equivarrebbe ad avvalersi di un terzo intermediario che, dietro compenso, procuri clienti all’Avvocato [talché...] piattaforme quali quella in questione attirerebbero una massa di potenziali clienti con escamotage commerciali per poi indirizzarli verso un numero limitato di professionisti affiliati alla piattaforma. Questa condotta integrerebbe pertanto una violazione del canone I dell’art. 19 CDF [altresì considerato che ...] tali strumenti veicolerebbero delle informazioni scorrette e ingannevoli nei confronti dei potenziali clienti/consumatori [dato che...] i professionisti che nelle vetrine online offerte da [società commerciali terze] si dichiarano esperti in una determinata branca del diritto potrebbero non essere tali».
Per l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, invece, il «Parere [n° 48/2012], quindi, limita l’impiego da parte degli Avvocati di un importante canale messo a disposizione dalle nuove tecnologie per la diffusione dell’informazione circa la natura e la convenienza dei servizi professionali offerti, potenzialmente in grado di raggiungere un ampio numero di consumatori sul territorio nazionale. Piattaforme quali [quella oggetto del caso di specie], infatti, costituiscono un mezzo idoneo per fornire agli Avvocati nuove opportunità professionali, offrendo loro una maggiore capacità di attrazione di clientela rispetto alle tradizionali forme di comunicazione pubblicitaria; inoltre, tali strumenti permettono agli Avvocati di penetrare nuovi mercati, consentendo di mettere in concorrenza servizi offerti da professionisti anche geograficamente distanti tra loro». Da un lato è irrefragabile l'osservazione dell'Antitrust secondo cui «che la pubblicità tenda all’acquisizione del cliente, mettendo a disposizione di quest’ultimo le informazioni necessarie per effettuare una scelta consapevole e in tal modo promuovendo l’acquisto dei beni o servizi offerti, è del resto un truismo», ovverosia una verità evidente e ovvia. D'altro lato, è «capziosa, artificiosa e non condivisibile», per l'Autorità garante, «la distinzione, effettuata dal CNF, tra la pubblicità veicolata dai professionisti tramite propri siti web, considerata legittima, e quella veicolata tramite le vetrine online [ed anzi ...] È pertanto evidente che il legislatore, nell’ambito degli interventi di liberalizzazione, ha valutato come non idoneo o necessario ai fini della protezione del consumatore il divieto di utilizzare determinati mezzi per diffusione delle informazioni relative all’attività economica dei professionisti, ritenendo sufficienti a salvaguardare tale interesse altri strumenti esistenti nell’ordinamento». 
Il C.N.F., pertanto, non poteva affatto limitare l’utilizzo di un canale promozionale e informativo attraverso il quale si veicola anche la convenienza economica della prestazione professionale, né potrà in futuro ignorare la statuizione, cui dovrà altresì dimostrare, nel termine assegnato, d'essersi adeguato: il Consiglio Nazionale Forense, infatti, dovrà astenersi in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi a quello oggetto dell’infrazione accertata. Da oggi, perciò gli Avvocati italiani sono più liberi, perciò, «di determinare autonomamente il proprio compenso senza vincolo alcuno da parte dell’ordine di appartenenza» e, inoltre, «di pubblicizzare la propria attività professionale con qualunque mezzo, anche informatico», anche, con le caratteristiche di fatto analoghe a quelle ravvisate nell'istruttoria de qua, comparendo nei siti web di società commerciali terze. 
Verosimilmente per le forti resistenze interne, l'Avvocatura non era cambiata abbastanza o, almeno, non quanto avrebbe dovuto. Viviamo senza dubbio "nel" cambiamento. Il processo di change management è irreversibile e va governato. Bisogna adattarsi ai nuovi paradigmi. Questa è la sfida che abbiamo davanti. 

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 LEGGI QUI IL TESTO INTEGRALE DEL PROVVEDIMENTO 22.10/14.11.2014 DELL'ANTITRUST (303,46 kb)

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