Resp. sanitaria

MINORI - Massimario di Cassazione e novità 2011 sul nuovo processo minorile.

Scritto da Avv. Salvatore Frattallone. Pubblicato in RESPONSABILITÀ SANITARIA

LE PRIME DECISIONI SUL NUOVO PROCESSO MINORILE

 

LE PRIME DECISIONI SUL NUOVO PROCESSO MINORILE

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
UFFICIO DEL MASSIMARIO
LA CORTE “DEL GIUSTO PROCESSO”
- RIFLESSIONI, SU INTERVENTI NOMOFILATTICI, IMPATTO SUL SISTEMA
PROCESSUALE, QUESTIONI APERTE E REAZIONI DEL PENSIERO GIURIDICO
ANNO 2010
(Roma – gennaio 2011)

indice (omissis)
CAP. V - RITI SPECIALI E GIUSTO PROCESSO
(estratto del cap. V - Il paragrafo 4)
4. Le prime decisioni sul nuovo processo minorile (di Francesca Ceroni).
4.1. Il nuovo processo minorile nella riformata legge 4 maggio 1983 n. 184.
4.2. Il riconoscimento del minore come parte sostanziale e processuale.
4.3. La rappresentanza processuale del minore.
4.4. La difesa tecnica ed il mito dell’avvocato del minore.
4.5. La “giurisdizionalizzazione” del rito.
4.6. La definizione sistematica dell’ “audizione” del minore.

 

 

* * *
4. LE PRIME DECISIONI SUL NUOVO PROCESSO MINORILE.
(Francesca Ceroni)

4.1. Il nuovo processo minorile nella riformata legge 4 maggio 1983 n. 184.
L’esigenza di rivisitazione della disciplina dettata dalla legge 4 maggio 1983, n. 184 era da tempo avvertita sia dalla giurisprudenza, che dalla dottrina, consapevole della profonda contraddizione di una giurisdizione, regolata dal rito camerale, destinata a incidere su situazioni soggettive che, al di là della loro precisa definizione sul piano tecnico, fanno parte di quel nucleo ristretto di “diritti inviolabili dell’uomo”.
La novella n. 149 del 2001 segue, quindi, a un vivace dibattito sul ruolo dell’organo specializzato, spesso ad un tempo giudice e “difensore” dei diritti del minore, sui modi di una sua possibile “terzietà”, sulla necessità della rappresentanza del minore, sulle distorsioni del rito camerale, che, lungi dall’essere ragione di semplificazione, riproducevano all’interno del processo minorile, l’intera gamma dei problemi costruttivi ed applicativi relativi ai procedimenti in camera di consiglio, cui si aggiungevano problemi specifici sorti nell’ambito della giustizia minorile amministrata dal tribunale specializzato ed innescati dalla rilevanza attribuita all’”interesse del minore”; mira a superare la tradizionale figura del “giudice amministratore”, avversata dal pensiero giuridico più avveduto e contraddittoria con i principi del giusto processo, sebbene alcuni studiosi ribadissero la necessità di un “processo del giudice” e non delle parti.
I punti cruciali, irrisolti a livello teorico, e affidati nella prassi a soluzioni disomogenee, con manifesto sconcerto di avvocatura e dottrina, riguardavano essenzialmente, da un lato il riconoscimento del minore come parte sostanziale e processuale, in quanto titolare di diritti azionabili, dall’altra la formazione del convincimento del giudice nell’ottica delle caratteristiche inquisitorie del processo minorile, nonché l’esercizio dei diritti di difesa tecnica e della partecipazione diretta di tutti gli interessati al procedimento e, in particolare, dello stesso minore. Il legislatore del 2001, tuttavia, disegna una imprecisa architettura processuale, restando all’interprete il compito di definirla nei suoi esatti contorni.
4.2. Il riconoscimento del minore come parte sostanziale e processuale.
La Corte di Cassazione ha posto le prime fondamentali pietre angolari solo nell’anno 2010, in quanto la legge 149 del 2001 è entrata in vigore solo nel 2007, quasi per caso, dopo una serie di rinvii in attesa di un regolamento d’attuazione. Con riguardo all’esegesi di “titolarità”, in capo al minore, di diritti azionabili e alla “nozione di parte” la Corte supera le posizioni più sfumate di un recente passato (cfr. Cass. n. 22238 del 21 ottobre 2009; n. 15145 del 10 ottobre 2003, rv 567383; n. 14934 del 4 agosto 2004, rv 575205; n. 27239 del 14 novembre 2008) e chiarisce (Cass. n. 7281 del 26 marzo 2010): <<(...) dottrina e giurisprudenza hanno tratto la regola che nei giudizi di adottabilità, come modificati dalla novella del 2001, il legislatore non ha più considerato il minore oggetto della potestà dei genitori e/o del potere - dovere officioso del giudice di individuarne e tutelarne gli interessi preminenti, ma quale soggetto di diritto, perciò titolare di un ruolo sostanziale nonché di uno spazio processuale autonomi. Che comportano la radicale modifica del suo ruolo tradizionale di semplice destinatario di una decisione presa nel suo interesse da altri, ed il riconoscimento di parte necessaria sia sostanziale, in quanto titolare del rapporto sostanziale oggetto del processo, sia processuale, in quanto svolge un ruolo nella dinamica del processo in funzione del suo risultato giuridico e ne subisce gli effetti diretti ed indiretti>>, chiosando <<nel procedimento di adozione il minore è la parte principale ed in senso formale>>. Pronunzia che ribadisce il principio da poco affermato nella sentenza n. 3804 del 17 febbraio 2010: <<Il minore è parte a tutti gli effetti del procedimento, fin dall’inizio, ma, secondo le regole generali, e in mancanza di una disposizione specifica, sta in giudizio a mezzo del rappresentante, e questi sarà il rappresentante legale, ovvero, in mancanza o in caso di conflitto di interessi, un curatore speciale>> (rv 611873).
L’intervento del giudice di legittimità con riguardo alla controversa interpretazione dell’art. 10, comma 2, della novella, è tranciante: il dovere del presidente del tribunale di avvertire i genitori o in mancanza determinati parenti dell’apertura del procedimento, invitandoli nel contempo a nominare un difensore ed informandoli della nomina di un difensore d’ufficio per il caso che essi non vi provvedano, <<sussiste a maggior ragione nei confronti del minore (rappresentato dal tutore o dal curatore) che del procedimento di adozione è la parte principale e quindi necessaria>> (cfr. Cass. n. 12290 del 19 maggio 2010).
Tale assioma è la premessa per ulteriori ineludibili approdi, in quanto il minore è titolare di diritti soggettivi autonomi, ed è quindi “parte” in senso tecnico, ma non ha il libero esercizio dei correlati diritti, ovvero non ha capacità processuale, per cui è necessaria l’interposizione soggettiva di un rappresentante legale.
Muovendo da questa consapevolezza la Corte scioglie uno dei nodi più spinosi del “nuovo” processo minorile e chiarisce con la sentenza n. 3804 del 17 febbraio 2010, rv 611874: <<In tema di adozione, ai sensi degli artt. 8, ultimo comma, e 10, secondo comma, della legge 4 maggio 1983, n. 184, come novellati dalla legge 28 marzo 2001, n. 149, il procedimento volto all’accertamento dello stato di adottabilità deve svolgersi fin dalla sua apertura con l’assistenza legale del minore, il quale è parte a tutti gli effetti del procedimento, e, in mancanza di una disposizione specifica, sta in giudizio a mezzo di un rappresentante, secondo le regole generali, e quindi a mezzo del rappresentante legale, ovvero, in caso di conflitto d’interessi, di un curatore speciale, soggetti cui compete la nomina del difensore tecnico>>.
In proposito, la dottrina si era negli anni compattata “sull’ovvia e indiscussa constatazione che il minore è parte necessaria nei giudizi di adottabilità, che riguardano l’ablazione del suo status familiare” (TOMMASEO, 09, 255).
4.3. La rappresentanza processuale del minore.
Richiamando qualche isolata precedente pronunzia (ved. Cass. n. 27239 del 14.11.2008, rv 605936; Cass. n. 1206 del 30.1.2002), la Corte trova conferma che la rappresentanza processuale del minore passa attraverso le figure del genitore, del tutore, ovvero, in caso di conflitto anche solo potenziale con questo, del curatore speciale, e pone fine ad una annosa querelle, circa l’eventualità ovvero la necessità della figura del curatore speciale nei procedimenti per la dichiarazione dello stato di abbandono, accogliendo la proposta interpretativa di coloro che ritenevano la sua presenza, come indispensabile alla geometria del nuovo processo minorile (MOROZZO DELLA ROCCA, 07, 353). Sul punto la sentenza n. 12290 del 19 maggio 2010, rv 613253, puntualizza: <<nel procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità, la partecipazione del minore, necessaria fin dalla fase iniziale del giudizio, richiede la nomina di un curatore speciale soltanto qualora non sia stato nominato un tutore o questi non esista ancora al momento dell’apertura del procedimento, ovvero nel caso in cui sussista un conflitto d’intereressi, anche solo potenziale, tra il minore ed il suo rappresentante legale.
Tale conflitto è ravvisabile “in re ipsa” nel rapporto con i genitori, portatori di un interesse personale ad un esito della lite diverso da quello vantaggioso per il minore, mentre nel caso in cui a quest’ultimo sia stato nominato un tutore il conflitto dev’essere specificamente dedotto e provato in relazione a circostanze concrete, in mancanza delle quali il tutore non solo è contraddittore necessario, ma ha una legittimazione autonoma e non condizionata, che può liberamente esercitare in relazione alla valutazione degli interessi del minore>>. Il giudice di legittimità, pertanto, mostra di condividere l’impostazione teorica della dottrina maggioritaria per la quale <<la generale previsione di assistenza tecnica del minore, distinta da quella dei genitori, autorizza a pensare che il legislatore ha ravvisato sempre sussistente, tanto da presumerlo ex lege in tale tipo di procedimento, un conflitto d’interessi tra il minore e i suoi familiari>> (BRIENZA, 2002, 1000).
Tuttavia, a fronte della variegata interpretazione offerta dai giudici di merito, favorita dall’ermetismo del legislatore, la S.C. con la sentenza n. 16553 del 14 luglio 2010 (rv 614079) precisa: <<nel procedimento di adozione, mentre il conflitto d’interessi tra minore e genitore è “in re ipsa”, quello con il tutore è solo potenziale ed il relativo accertamento deve essere compiuto in astratto ed “ex ante” e non in concreto ed a posteriori, alla stregua degli atteggiamenti assunti dalle parti in causa; pertanto, deve escludersi che il tutore (nella specie un ente territoriale), pur se nominato nel corso del procedimento, versi sempre e comunque, anche soltanto potenzialmente, in conflitto d’interessi con il minore. (In applicazione del principio la Corte ha cassato la pronuncia della Corte d’appello, sezioni minori che aveva dichiarato la nullità del procedimento di primo grado per difetto di integrità del procedimento dovuta alla costituzione di un unico difensore nella duplice veste di legale del minore e del tutore)>>.
Con tale pronunzia la S.C. ha, inoltre, risolto il contrasto insorto tra i giudici di merito, per il quale alcuni, in contrapposizione ad altri, ritenevano che la designazione, quale tutore di un soggetto pubblico appartenente ad un ente territoriale, richiedesse sempre la nomina di un curatore speciale sul presupposto dell’esistenza di un conflitto virtuale fra l’interesse superiore del minore e gli interessi non necessariamente coincidenti dell’ente a cui il tutore appartiene, affermando (pag. 13) che: <<non può condividersi l’affermazione del giudice a quo per cui il tutore, pur se nominato nel corso del procedimento, sarebbe, anche potenzialmente, sempre e comunque in conflitto d’interessi con il minore>> (conforme Cass. n. 3804 del 2010).
Laddove, ai fini della deducibilità dell’asserito contrasto, ha altresì chiarito: <<nel procedimento di adozione, mentre il conflitto d’interessi tra minore e genitore è “in re ipsa”, per incompatibilità anche solo potenziale delle rispettive posizioni, il conflitto d’interessi tra minore e tutore deve essere dedotto dal P.M. ovvero da uno dei soggetti indicati dall’art. 10 della legge 28 marzo 2001, n. 149, ed accertato in concreto dal giudice, come idoneo a determinare la possibilità che il potere rappresentativo sia esercitato dal tutore in contrasto con l’interesse del minore; in tal caso, tuttavia, la denuncia, tendendo alla rimozione preventiva del conflitto, nonché alla immediata sostituzione del rappresentante legale con il curatore speciale dal momento in cui la situazione d’incompatibilità si è determinata, non può più essere prospettata nelle ulteriori fasi del giudizio al solo fine di conseguire la declaratoria di nullità degli atti processuali compiuti in seguito ad una situazione non denunciata>> (cfr. Cass. n. 7281 del 2010, rv 612485; conforme Cass. n. 16870 del 19 luglio 2010, rv 614029).
La stessa pronunzia ha precisato ancora che: <<alla ritardata costituzione del difensore del minore o alla mancata assistenza da parte di costui ad uno o più atti processuali, non consegue l’automatica declaratoria della nullità dell’intero processo e/o dell’atto e di tutti quelli successivi, potendo tale sanzione essere invocata dal P.M. o dalle altre parti solo previa allegazione e dimostrazione del reale pregiudizio che la tardiva costituzione o la mancata partecipazione all’atto ha comportato per la tutela effettiva del minore>> (rv 612484), indicando una linea evolutiva chiara rispetto a Cass. n. 10228 del 2009 e n. 20625 del 2009, che individuavano una nullità assoluta nell’ipotesi di mancata nomina di un curatore speciale, rinvenendo nella ritardata nomina del difensore del minore una causa di inutilizzabilità dell’attività processuale svolta dopo l’entrata in vigore della novella.
Altro importante arresto, per la prima volta la Suprema Corte esprimendosi sulla relativa questione, è la sentenza n. 7941 del 31 marzo 2010, così massimata (rv 612487): <<In tema di adozione, ai sensi dell’art. 10, comma terzo, della legge 4 maggio 1983, n. 184, avvenuta l’apertura del procedimento relativo all’accertamento dello stato di adottabilità, la competenza ad adottare, ove ne ricorrano le condizioni, il provvedimento di nomina, prima in via provvisoria e poi in via definitiva, del tutore al minore spetta al tribunale per i minorenni (in applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato il provvedimento del giudice tutelare, avente ad oggetto la nomina del tutore ad un minore, risultando già pendente, al momento della sua emanazione, il procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità)>>.
4.4. La difesa tecnica ed il mito dell’avvocato del minore.
Quanto alla “vexata quaestio” circa la titolarità del potere di nomina dell’”avvocato del minore”, a seguito dell’entrata in vigore della novella in data 1.7.2007, si sono formate diverse prassi e orientamenti, sintetizzabili in due filoni: l’uno prevedeva la nomina di un curatore speciale- avvocato in tutte le procedure sulla potestà o di dichiarazione dello stato di adottabilità nelle quali si ravvisasse un conflitto d’interessi tra genitori e figlio; l’altro comportava che nei giudizi sulla potestà fosse disposta la nomina di un curatore speciale-avvocato e nelle procedure di adottabilità disposta la nomina di un avvocato del minore effettuata dal tutore (secondo l’orientamento di alcuni tribunale) o direttamente dal giudice (secondo altri tribunale).
La Corte ha accolto l’approdo largamente condiviso in dottrina, statuendo che al rappresentante legale spetterà nominare un avvocato per la difesa tecnica. Tale orientamento risulta costante. Infatti a Cass. n. 3804 del 17 febbraio 2010, rv 611874, che ha fatto da apripista cassando la pronunzia della corte territoriale, che aveva attribuito al giudice minorile il potere di nominare d’ufficio un difensore al minore, sono seguite Cass. n. 14216 del 14 giugno 2010 (così massimata rv 613872: <<nel procedimento di adozione, compete esclusivamente al rappresentante legale del minore la nomina di un avvocato per la difesa tecnica: infatti il genitore, il tutore ovvero il curatore speciale hanno anche la relativa rappresentanza processuale, non essendo il potere di agire e resistere in giudizio disponibile autonomamente rispetto alla titolarità del bene della vita per il quale la tutela giurisdizionale venga postulata; inoltre, i due ruoli restano distinti, pur quando cumulati nel medesimo soggetto che abbia il titolo, richiesto dall’art. 82, secondo comma, cod. proc. civ., per esercitare la difesa tecnica>> rv 613872) e Cass. n. 16553 del 14 luglio 2010, rv 614978, che precisa altresì: <<nel procedimento di adozione compete esclusivamente al rappresentante legale del minore la nomina di un avvocato per la difesa tecnica; tuttavia, qualora venga nominato, quale tutore, un avvocato, ai sensi dell’art. 86 cod. proc. civ., egli può stare in giudizio personalmente, senza patrocinio di altro difensore, in rappresentanza del minore>> (conf. Cass. 3804 del 2010 che esprime lo stesso principio con riferimento al curatore speciale, ove sia comunque nominato).
4.5. La “giurisdizionalizzazione” del rito.

Riguardo ai profili più strettamente processuali, la S.C. nei primi arresti si fa carico delle perplessità espresse da chi, fin da tempi risalenti, denunciava <<la grave responsabilità di tutti i cultori del diritto minorile (giudici, avvocati, docenti, psicologi, pedagoghi) se alle soglie del duemila la situazione processuale è in gran parte rimasta inalterata rispetto a quella del 1942, nonostante gli immensi progressi che sono stati effettuati nel diritto sostanziale dal 48 ad oggi>> (PROTO PISANI, 1998), ed, in ossequio alla voluntas legis di operare una “giurisdizionalizzazione” del rito, chiarisce: <<l’art. 10, comma secondo, della legge 4 maggio 1983, n. 184, come novellato dalla legge 28 marzo 2001, n. 149, che stabilisce la facoltà per i genitori e, in mancanza, per i parenti entro il quarto grado che abbiano rapporti significativi con il minore di “partecipare a tutti gli accertamenti disposti dal tribunale”, deve essere interpretato in coerenza con la finalità della novella di traghettare il processo di adozione da processo del giudice in un processo delle parti, nel senso che: a) ai difensori delle parti va data preventiva comunicazione di qualsiasi accertamento disposto dal giudice; b) le parti possono intervenire alla sua assunzione personalmente e a mezzo dei propri consulenti tecnici e difensori; c) le parti devono essere poste in grado di conoscerne comunque le risultanze, nonchè di dedurre in ordine ad esso e di presentare le proprie difese. Ne consegue l’inutilizzabilità dell’atto di indagine acquisito senza rispettare le forme descritte, sempre che sia dimostrato dalla parte lo specifico pregiudizio al diritto di difesa e l’influenza determinante sulla decisione>> (cfr. Cass. n. 7282 del 26 marzo 2010, rv 612678). Dando sostanza all’impostazione, dapprima reclamata da larghissima parte della dottrina e della classe forense e poi accolta dal legislatore, di un nuovo processo minorile sin dall’inizio a cognizione piena e quindi di un modello partecipativo delle parti ad un procedimento legalmente predeterminato, la S.C. sottolinea: <<il procedimento è unico e da subito contenzioso” (Cass. 3804/10), accogliendo, in particolare, l’istanza di chi reclamava la necessità di un controllo in iure, del processo di formazione del provvedimento finale del giudice (così PROTO PISANI, 2002, 25). Da tale principio deduce per esempio che al legale rappresentante del minore ed in tale qualità deve essere notificata la sentenza che dichiara l’adottabilità o il non luogo a provvedere ex art. 15 ss. della legge 184 del 1983, essendo egli legittimato all’eventuale impugnazione>> (cfr. sent. n. 3804/2010, rv 611874; vedi anche Cass. n. 7959/210, rv 612611).
4.6. La definizione sistematica dell’”audizione” del minore.
Per conseguire la razionalizzazione del contraddittorio, assicurando a genitori, parenti determinati e minore l’effettività della difesa tecnica fin dall’inizio del procedimento, la Corte stabilisce: <<In tema di adozione, l’art. 10, comma secondo, della legge 4 maggio 1983 n. 184, come novellato dalla legge 28 marzo 2001 n. 149, il quale dispone che i genitori e in mancanza, i parenti entro il quarto grado che abbiano rapporti significativi con il minore possano partecipare a “tutti” gli accertamenti disposti dal tribunale, si riferisce non solo ai tradizionali mezzi d’istruzione probatoria disciplinati dalla sezione III del capo II, titolo I del libro II del codice di procedura civile, ma a qualunque atto d’indagine che il giudice ritiene di eseguire per iniziativa propria o delle parti al fine di verificare se sussista lo stato di abbandono, comprendendo esemplificativamente anche le indagini e le relazioni affidate ad istituti o altri operatori specializzati; esso non è tuttavia applicabile all’audizione del minore, la quale, non rappresentando una testimonianza o un altro atto istruttorio rivolto ad acquisire una risultanza favorevole all’una o all’altra soluzione, bensì un momento formale del procedimento deputato a raccogliere le opinioni ed i bisogni rappresentati dal minore in merito alla vicenda in cui è coinvolto, deve svolgersi in modo tale da garantire l’esercizio effettivo del diritto del minore di esprimere liberamente la propria opinione, e quindi con tutte le cautele e le modalità atte ad evitare interferenze, turbamenti e condizionamenti, ivi compresa la facoltà di vietare l’interlocuzione con i genitori e/o con i difensori, nonché di sentire il minore da solo, o ancora quella di delegare l’audizione ad un organo più appropriato e professionalmente più attrezzato>> (Cass. n. 7282 del 26 marzo 2010, rv 612679).
Con tale pronuncia la S.C. ribadisce il precedente fondamentale arresto delle Sezioni Unite sulla obbligatorietà dell’ascolto: <<l’audizione dei minori, già prevista nell’art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, è divenuta un adempimento necessario, nelle procedure giudiziarie che li riguardino, ed in particolare in quelle relative al loro affidamento ai genitori, ai sensi dell’art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata con la legge n. 77 del 2003>> (Cass. Sez. U., n. 22238 del 21 ottobre 2009, rv 610007; conf. Cass. n. 9094/2007, rv 596676).
Tuttavia, tiene a precisare che la mancata audizione è sanzionata solo con riguardo al giudizio di primo grado, mentre il giudice di appello è tenuto soltanto, per il disposto dell’art. 17, primo comma, a sentire le parti ed il PM, nonché ad effettuare “ogni altro opportuno accertamento” (così Cass. n. 14216 del 14 giugno 2010, rv 613873; conf. Cass. 7959 del 2010).
L’audizione (pur quando sia facoltativa), quindi, non può essere qualificata un atto di indagine, rientrante nella categoria di quelli rivolti a convincere il giudice in ordine alla sussistenza o meno di determinati fatti storici, bensì è lo strumento diretto a raccogliere le opinioni nonché le valutazioni ed esigenze rappresentate dal minore in merito alla vicenda in cui è coinvolto e, nel contempo, a consentire al giudice di percepire con immediatezza, attraverso la voce del minore e nella misura consentita dalla sua maturità psicofisica, le esigenze di tutela dei suoi primari interessi.
Nonostante l’evidente evoluzione in senso garantista del diritto minorile negli ultimi anni, c’è ancora molto da fare. I giudici di merito segnalano difficoltà applicative soprattutto in materia di difesa d’ufficio e di esercizio del diritto di difesa del minore (ved. FATIGA, 2010, 24) e la S.C., negli anni a venire, sarà chiamata a sciogliere questi nodi critici, favorendo l’uniformità dell’applicazione della legge sul territorio nazionale.

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