Resp. sanitaria

PENALE - ACCESSO ABUSIVO A SISTEMA INFORMATICO E PROVA AL DI LA' DI OGNI RAGIONEVOLE DUBBIO.

Un P.M. aveva impugnato una Sentenza d'assoluzione, sostenendo che dal contesto delle indagini svolte erano emersi elementi tali da portare ad ascrivere il delitto di accesso abusivo al sistema telematico della Procura da parte di un appartenente alle forze dell'ordine, benché l'accesso dovesse ritenersi eseguito sfruttando le credenziali di altra persona, pure abilitata all'accesso riservato: poiché la sentenza non aveva valorizzato siffatti elementi di fatto, l'assoluzione appariva, secondo il P.M., frutto di una motivazione illogica. La Cassazione, invece, nel dichiarare inammissibile il Ricorso, ha precisato che siccome nella Sentenza erano stati specificati tutti gli elementi di segno opposto, doveva ritenersi corretta la decisione di non aver raggiunto la prova della responsabilità al di là di ogni ragionevole dubbio. E' stata la legge n° 46/2006 a stabilire che alla condanna si pervenga solo quando l'imputato possa essere dichiarato colpevole «al di là di ogni ragionevole dubbio». 
Il giudice, infatti, deve sempre verificare - una volta che siano state superate tutte le questioni preliminari e processuali e, altresì, che non ricorra un'autonoma causa di proscioglimento ex art. 529 c.p.p. - se è emersa la prova piena della responsabilità dell'imputato: i principi del processo accusatorio consentono di pronunciare la condanna dell'imputato solo se questi risulti colpevole del reato contestatogli dalla Pubblica accusa, il che implica che sia stata superata la presunzione d'innocenza che la nostra Carta costituzionale ha sancito all'art. 27, co. 2, e che costituisce la pietra angolare del processo penale. Con una nota decisione (Cass., Pen., Sez. I, 21.05/29.07.2008 n° 31456, F., ced 240763), si è stabilito che 

sussistono i presupposti della condanna «quando il dato probatorio acquisito lascia fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura, ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana». Anzi (Cass. Pen., Sez. I, 21.04.2010 n° 19933), per travolgere il favor innocentiae occorre siano rispettati degli «standard conclusivi di alta probabilità logica in termini di certezza processuale». 
Nella fattispecie in esame, non era emersa a processo la conoscenza diretta tra il titolare della password adoperata per l'asserita incursione telematica e il committente ed era per contro stato dimostrato un contegno serbato dall'imputato che risultava incompatibile con il reato, come pure un eccessivo lasso temporale tra la richiesta di informazioni e l'accesso abusivo, unitamente ad altre circostanze reputate significative da parte del giudice a quo. Parimenti sarebbe a dirsi per altre ipotesi, quali quelle in cui non sia emersa la prova che l'imputato abbia effettuato l'accesso, oppure l'accesso sia stato eseguito usufriendo di un collegamento a internet mediante wi-fi o, ancora, se tracce del file oggetto dell'acceso non siano state riscontrate nei dispositivi in uso all'imputato o, infine, se non siano stati sequestrati ed esaminati tutti gli apparecchi d'una rete intranet da uno dei quali terzi estranei, rispetto all'imputato, possano aver compiuto operazioni riconducibili a colui che in effetti ha commesso il reato.
Insomma, l'assoluzione va pronunciata anche quando le prove a carico siano equivalenti a quelle a discarico, poiché prima della condanna bisogna aver fugato ogni seria perplessità circa l'innocenza dell'imputato: in dubio pro reo.

* * *

Cass. Pen., Sez. VI, Sent. 21.01/04.02.2015 n° 5297

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AGRO' Antonio, Presidente
Dott. CITTERIO Carlo, Consigliere
Dott. PETRUZZELLIS Anna, Rel. Consigliere
Dott. MOGINI Stefano, Consigliere
Dott. FIDELBO Giorgio, Consigliere

ha pronunciato la seguente:

Sentenza

sul Ricorso proposto dal P.G. presso la Corte d'Appello di Torino;
avverso la Sentenza del 17.05.2013 della Corte d'Appello di Torino emessa nel procedimento a carico di:
D.V.C., nato a (omissis);
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il Ricorso;
udita la relazione svolta dal componente Anna Petruzzellis;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Vito D'Ambrosio che ha concluso per l'annullamento con rinvio della Sentenza impugnata;
uditi gli Avv.ti C.C. e A.F., che si sono riportati alla Memoria depositata, chiedendo l'accertamento di inammissibilità o il rigetto del Ricorso.

Svolgimento del processo
1. La Corte d'Appello di Torino, con Sentenza del 17.05.2013, in parziale riforma della pronuncia del Gip di quel Tribunale del 01.06.2012, ha assolto D.V.C. dalle imputazioni di cui ai capi 2) - relativa alla contestazione di cui agli artt. 110, 615-ter, co. 2-3, c.p. - 3) - riguardante l'imputazione di cui agli artt. 110, 62, n. 2, e 326 c.p. - e 4) - relativa all'imputazione di cui agli artt. 110 e 378 c.p.
2. Avverso l'assoluzione dal reato di abusivo accesso al sistema informatico ha proposto Ricorso il P.G. con il quale si lamenta vizio di motivazione della pronuncia impugnata.
Nell'impugnazione viene richiamato il contesto emerso nel corso dell'indagine, e gli accertamenti a carico della veterinaria B.L. ed i suoi contatti con tale S.F., a sua volta risultato in collegamento, anche per comune appartenenza ad una loggia massonica, con D.V., maresciallo della Guardia di Finanza, in servizio presso la squadra di P.G. della locale Procura.
Si evidenziano le ulteriori circostanze di fatto emerse, quali la sicura richiesta da parte di S.F. d'informazioni al D.V.C. sul caso B., le indicazioni fornite da questi al S.F., sulla secretazione dell'indagine, oltre che quanto S.F. aveva riferito all'interessata in argomento, per concludere che la mancata attribuzione all'imputato dell'accesso abusivo al sistema informatico non era fondata.
Si ritiene infatti che le informazioni, pur acquisite con l'utilizzazione di una chiave di accesso al sistema attribuita ad altra dipendente della Procura, doveva necessariamente collegarsi all'attività di D.V.C., alla luce dei convergenti elementi di fatto evidenziati, di cui si lamenta la mancata valorizzazione, che consentono, secondo l'impugnante, in senso opposto a quanto ritenuto in Sentenza, la sua affermazione di responsabilità per il reato richiamato. Si deduce sul punto illogicità della motivazione.
3. La difesa di D.V.C. ha depositato Memoria con la quale sollecita l'accertamento d'inammissibilità del Ricorso, in quanto fondato su rilievi in fatto, ed esteso anche alle altre imputazioni in forma derivata, senza individuazione degli elementi posti a sostegno; in subordine si chiede di provvedere al rigetto dell'impugnazione.

Motivi della decisione
1. Il Ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
2. A fronte delle osservazioni formulate, con le quali si lamentano illogicità della motivazione, di fatto con il Ricorso si sottopongono a questa Corte le motivazioni della richiesta di condanna, ignorando le argomentate deduzioni di segno opposto, analiticamente esposte nella pronuncia impugnata, che giustificano le determinazione in punto di mancato raggiungimento della prova di responsabilità al di là di ogni ragionevole dubbio, con le quali l'impugnante non si confronta, riproponendo la propria lettura accusatoria delle prove acquisite.
In particolare nella Sentenza si enumerano i plurimi elementi di segno opposto che non consentono di ritenere raggiunta la prova di responsabilità, quali la mancata dimostrazione di una conoscenza diretta tra D.V.C. e la titolare della password utilizzata per l'accesso abusivo, o tra il primo e i conoscenti della seconda che erano al corrente di tale chiave d'accesso; il dimostrato impegno del D.V.C. nelle indagini delegate, nell'arco temporale in cui si era registrato l'accesso abusivo oggetto di contestazione, impegno che, conseguentemente, risultava incompatibile con il compimento diretto dell'azione illecita; la possibilità che sia l'intermediario S.F., che la stessa diretta interessata, B.L., si fossero attivati presso terzi per acquisire informazioni, circostanze su cui risultavano acquisiti elementi di riscontro nel procedimento; lo iato temporale di oltre un mese sussistente tra la sicura richiesta di informazioni di S.F. nei confronti di D.V.C., e il preteso accesso al sistema da parte di questi, malgrado l'assenza di elementi su nuovi abboccamenti intervenuti medio tempore tra le parti; l'illogico silenzio serbato dall'imputato nel successivo casuale incontro con S.F., che aveva indotto questi ad entrare in argomento, ove rapportato all'illegittimità dell'azione svolta da D.V.C. in precedenza; il distacco temporale tra la notizia sulla secretazione che si assume ricevuta da D.V. nell'occasione, e la trasmissione all'interessata da parte del S.F. intervenuta in maniera occasionale; la mancata indicazione, da parte dello stesso S.F., del D.V.C. come persona a cui ascrivere tale ricerca e dal quale aveva dichiarato di aver appreso successivamente solo dell'avvenuta secretazione del procedimento, sia pure trasmessagli in termini estremamente generici.
Come già chiarito l'impugnante ignora tale analisi, non ponendone in discussione la pertinenza e logicità, e così propone un'impugnazione inammissibile in quanto fondata su motivi non consentiti, poichè svolta su autonomi elementi di fatto, su cui si sollecita una distinta valutazione di merito estranea al giudizio di legittimità, che deve incentrarsi sull'analisi della complessiva ricostruzione contenuta in Sentenza e sulla sua specifica confutazione in termini di logicità e pertinenza rispetto agli elementi posti a base dell'accertamento.
3. Per completezza si deve rilevare l'inammissibilità dell'impugnazione formalmente proposta con riferimento agli ulteriori reati contestati al D.V.C., in quanto nel Ricorso il gravame risulta espressamente circoscritto al reato di abusivo accesso al sistema informatico, e solo nella parte finale viene esteso alle ulteriori imputazioni, assumendone la dipendenza dal reato di cui all'art. 615-bis c.p. insussistente sia sotto il profilo logico, che materiale, stante l'autonoma ricostruzione argomentativa relativa alle ulteriori imputazioni contenuta nella Sentenza impugnata, che non risulta raggiunta da alcuna censura.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il Ricorso.
Così deciso in Roma, il 21.01.2015.
Depositato in Cancelleria il 04.02.2015

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