Un P.M. aveva impugnato una Sentenza d'assoluzione, sostenendo che dal contesto delle indagini svolte erano emersi elementi tali da portare ad ascrivere il delitto di accesso abusivo al sistema telematico della Procura da parte di un appartenente alle forze dell'ordine, benché l'accesso dovesse ritenersi eseguito sfruttando le credenziali di altra persona, pure abilitata all'accesso riservato: poiché la sentenza non aveva valorizzato siffatti elementi di fatto, l'assoluzione appariva, secondo il P.M., frutto di una motivazione illogica. La Cassazione, invece, nel dichiarare inammissibile il Ricorso, ha precisato che siccome nella Sentenza erano stati specificati tutti gli elementi di segno opposto, doveva ritenersi corretta la decisione di non aver raggiunto la prova della responsabilità al di là di ogni ragionevole dubbio. E' stata la legge n° 46/2006 a stabilire che alla condanna si pervenga solo quando l'imputato possa essere dichiarato colpevole «al di là di ogni ragionevole dubbio».
Il giudice, infatti, deve sempre verificare - una volta che siano state superate tutte le questioni preliminari e processuali e, altresì, che non ricorra un'autonoma causa di proscioglimento ex art. 529 c.p.p. - se è emersa la prova piena della responsabilità dell'imputato: i principi del processo accusatorio consentono di pronunciare la condanna dell'imputato solo se questi risulti colpevole del reato contestatogli dalla Pubblica accusa, il che implica che sia stata superata la presunzione d'innocenza che la nostra Carta costituzionale ha sancito all'art. 27, co. 2, e che costituisce la pietra angolare del processo penale. Con una nota decisione (Cass., Pen., Sez. I, 21.05/29.07.2008 n° 31456, F., ced 240763), si è stabilito che
Leggi tutto
Stampa
Email
A dispetto della sentenza Costeja del maggio dello scorso anno (Sentenza n° C 131/12), il garante italiano per la protezione dei dati personali sceglie la soluzione che riconosce prevalente l'interesse degli editori a salvaguardare il diritto di cronaca, rispetto a quello del singolo di veder tutelata la propria riservatezza. Come dire che "La cronaca vince sul diritto all’oblio", come evidenziato da "Il Sole 24 Ore" del 01.04.2015, secondo l'assunto per cui se l’articolo giornalistico è recente e corretto, allora non c'è niente da fare", al di là del fatto che spontaneamente Google abbia modificato gli «snippet».
La casistica che si sta delinenado in questi giorni dà atto, insomma, d'una linea interpretativa sempre più stringente, che lascia assai pochi margini al cittadino coinvolto in prima persona o, addirittura, in posizione di assoluta marginalità in una vicenda di cronaca giudiziaria. Può ancora parlarsi, dopo questa recentissima presa di posizione del Garante, dell'esistenza del diritto all’oblio e, quindi, della deindicizzazione delle ricerca sul web, ad evitare che, digitando sul browser o nei motori di ricerca certe parole chiave, internet fornisca esiti spiacevioli per il diretto interessato? L'opzione è ora la seguente: prevale il diritto all’informazione e l'interesse pubblico.
Certo, l'eliminazione automatica degli «snippet» (cioè di quei riassuntini che diventano leggibili in grigio appena sotto i risultati del link blu e della stringa verde della ricerca) potrebbe costituire un risultato apprezzabile, ogniqualvolta da essi traspaia una lettura distorta ed eccessivamente sintetica dei fatti de quibus, tale da diventare fuorviante. Taluno ha concluso che in Italia ora v'è ancora una qualche tutela del "diritto all'oblio, ma in forma minore" (così "Italia Oggi"). Si auspica, pertanto, che ove tale orientamento venisse confermato, almeno le informazioni a corredo dei link vengano ridimensionati e corretti.
Leggi tutto
Stampa
Email