Investigazioni

INVESTIGAZIONE PRIVATA - Reato di interferenze illecite nella vita privata e immagini acquisite stando nel giardino dell'abitazione vicina a quella della P.O.

Cass. Pen., Sez. V, Sent. 12.07/19.10.2012, n° 41021
Sussiste il reato di cui all'art. 615-bis c.p. qualora il detective privato si procuri, avvalendosi di strumenti di ripresa visiva, delle immagini relative allo svolgimento della vita privata di qualcuno, recandosi nel cortile della casa adiacente a quella ove abita la persona offesa, oggetto dell'indagine commissionatagli.
Nel caso siano raccolte tali immagini "indebite", è dovuto alla persona offesa il risarcimento del danno non patrimoniale, per le interferenze illecite nella sua vita privata, ancorché esse siano "tratte" da luogo diverso dall'abitazione del c.d. "bersaglio" e dalle sue pertinenze, quale è il luogo del giardino del vicino in cui provvisoriamente l'investigatore privato si sia appostato per l'espletamento del mandato ricevuto.
Cass. Pen., Sez. V, Sent. 12.07/19.10.2012, n° 41021
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Alfredo Teresi, Presidente
Dott. Paolo Oldi, Consigliere
Dott. Maurizio Fumo, Consigliere
Dott. Paolo Antonio Bruno, Consigliere
Dott. Paolo Micheli, Consigliere
ha pronunciato la seguente:

Sentenza

sul Ricorso proposto l'08.07.2011 da: P.W., nato a (omissis);
avverso la Sentenza della Corte d'Appello di Milano del 13.05.2011;
sentita la relazione del Consigliere Dott. Paolo Antonio Bruno;
sentite le conclusioni del P.G. in sede, in persona del Sostituto Dott. Gioacchino Izzo, che ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

Svolgimento del processo
Con Sentenza del 21.07.2010 il Tribunale di Luini dichiarava P.W. colpevole del reato di cui all'art. 615-bis, co. 3, C.P. perchè, esercitando l'attività di investigatore privato, si procurava indebitamente, mediante uso di strumento di ripresa visiva, immagini attinenti alla vita privata di M.L.D. e, per l'effetto, concesse le attenuanti generiche, equivalenti alla contestata aggravante, lo condannava alla pena di mesi sei di reclusione nonchè al risarcimento del danno non patrimoniale in favore della persona offesa, costituitasi parte civile.
Pronunciando sul gravame proposto dall'imputato, la Corte d'Appello di Milano, con la Sentenza indicata in epigrafe, ritenta l'ipotesi del tentativo rideterminava la pena inflitta nella misura di mesi due di reclusione sostituita nella misura pecuniaria corrispondente ai sensi della L. n° 689/1991, art. 53.
Riduceva, inoltre, l'entità del risarcimento del danno.Avverso la sentenza anzidetta, l'imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva.

Motivi della decisione
1 - Con il primo motivo d'impugnazione parte ricorrente deduce violazione dell'art. 606, lett. c), c.p.p. in riferimento agli artt. 108 e 178 c.p.p., per mancata concessione del termine a difesa al nuovo difensore, nominato il giorno prima dell'udienza dibattimentale.

Il secondo motivo denuncia difetto di motivazione sui presupposti dell'art. 615-bis c.p.

Il terzo motivo difetto di motivazione sulla richiesta di concessione delle generiche prevalenti sulla contestata aggravante.

2. - Il primo motivo di ricorso si pone ai limiti dell'ammissibilità, siccome meramente reiterativo di questione di rito già dedotta in sede di appello al di fuori di reale e specifico rilievo critico alle ragioni in forza delle quali il giudice a quo l'ha rigettata.

Il secondo motivo è manifestamente infondato, essendo ineccepibile l'assunto argomentativo del giudice di appello che, nel rigettare identica questione di diritto posta nei motivi di gravame, ha ritenuto sussistenti, nel caso di specie, i presupposti del reato di cui all'art. 615-bis c.p.
Giuridicamente corretto è il presupposto del ragionamento giuridico secondo il quale l'introduzione dell'agente in giardino adiacente all'abitazione nella quale si trovava la persona offesa, per carpire, con mezzi di ripresa visiva, immagini della sua vita privata, non postula l'appartenenza - nell'accezione civilistica - dell'abitazione alla persona offesa, posto che la norma è intesa a tutelare le manifestazioni di vita privata che si svolgano, ancorchè momentaneamente, in uno dei luoghi indicati nell'art. 614 c.p.
Sicchè il riferimento ambientale ha il solo scopo di individuare l'ambito spaziale oggetto di tutela, come luogo di espressione della vita privata, indipendentemente dalla sua appartenenza in senso civilistico.
In tal senso, va ribadita l'interpretazione di questa Corte, secondo cui il riferimento contenuto nell'art. 615-bis, co. 1, c.p.p. ai luoghi indicati nell'art. 614 c.p. ha la funzione di delimitare gli ambienti nei quali l'interferenza nella altrui vita privata assume penale rilevanza, ma non anche quella di recepire il regime giuridico dettato dalla disposizione da ultima citata (cfr. Cass. Pen., Sez. V, 11.01.2011 n° 9235, rv. 251999; cfr. pure Cass. Pen., Sez. VI, 26.01.2011 n° 7550, rv 249322, secondo cui ai fini della configurabilità del reato di interferenze illecite nella vita privata di cui all'art. 615-bis cod. pen. è irrilevante la mancata identificazione, o la non identificabilità, della persona cui si riferisce l'immagine abusivamente captata dal terzo, atteso che il titolare dell'interesse protetto dalla norma incriminatrice, nel cui ambito rientra la riservatezza che connota i momenti tipici della vita privata, non è soltanto il soggetto direttamente attinto dall'abusiva captazione delle immagini, ma chiunque, all'interno del luogo violato, compia abitualmente atti della vita privata che necessariamente alle stesse si ricolleghino).

La terza censura è palesemente infondata, posto che, se è vero che nel costrutto motivazionale in esame manca un'esplicita giustificazione del diniego della reclamata prevalenza delle attenuanti generiche, è pur vero che le ragioni del rigetto emergono per implicito - ma non per questo meno chiaramente - dalla parte motiva che reputa congrua la pena irrogata in primo grado, con ciò escludendo ogni possibilità di più favorevole determinazione.

3. - Per quanto precede, il Ricorso è inammissibile e tale va, dunque, dichiarato, con le consequenziali statuizioni espresse in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il Ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Stampa Email

I più letti