Investigazioni

INVESTIGAZIONE PRIVATA - Se teste, il detective europeo o elvetico può tacere sulle fonti confidenziali e non sarà reticente, ma se depone deve dire la verità.

Scritto da Avv. Salvatore Frattallone. Pubblicato in Investigazione privata

teste reticente

In tema di segreto professionale, l'ordinamento processuale comprende, tra coloro che non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione della propria professione, gli investigatori privati autorizzati.
In questa categoria rientrano, con riguardo ad indagini effettuate all'estero, anche soggetti stranieri legittimati secondo l'ordinamento del proprio Paese, sempre che esistano disposizioni pattizie tra lo Stato italiano e il loro Stato relative al riconoscimento del titolo.
Anche per tali Investigatori privati, qualora rifiutino di indicare la fonte delle informazioni poste ad oggetto della loro deposizione, è dunque esclusa la punibilità per il delitto di testimonianza reticente.

Nella fattispecie un Investigatore privato elvetico aveva rifiutato d'indicare, deponendo come testimone in un procedimento civile svoltosi in Italia, qual era la fonte delle informazioni patrimoniali che aveva acquisiti in Svizzera.
Da un lato, infatti, l'art. 10 della Legge 20.02.94 n° 146 ha equiparato, "ai fini dell'esercizio in Italia dell'attività di Investigatore privato ai sensi dell'art. 134 T.U., i cittadini degli Stati membri della Comunità Europea [..] ai cittadini italiani" e, dall'altro lato, l'Italia ha ratificato (con la Legge 15.11.00 n° 364) l'accordo tra Comunità Europea e Svizzera sulla libera circolazione delle persone private, con possibilità di "riconoscimento reciproco dei diplomi, dei certificati e di altri titoli", così riconoscendo validità ed efficacia in Italia alle licenze investigative di detective elvetici.
L'Investigatore privato autorizzato dal Perfetto è, e resta, impegnato al silenzio sulle fonti della propria conoscenza e, al di là delle sanzioni disciplinari cui si esporrebbe nel suo paese ove rendesse la dichiarazione testimoniale, riceverebbe un grave e inevitabile danno all'onore della propria persona e professione.
Anche costoro, pertanto, godono delle prerogative sul segreto professionale che spettano, in forza degli artt. 200 c.p.p., 249 c.p.c. e 384, co. 2, c.p.p. che scrimina penalmente il comportamento reticente chi colui che sia stato obbligato a deporre pur avendo la facoltà di astenersi dal deporre.
Quanto all'art. 200, co. 1, lett. b), c.p.p., invero, la legge sulle Investigazioni Difensive (art. 4, L. n° 397/00) ha modificato l'originario testo del codice di rito penale, poiché ora gli Investigatori privati sono espressamente annoverati nella categoria dei soggetti che sono legittimati ad opporre il segreto professionale, se muniti di autorizzazione prefettizia, avendo maturato una specifica esperienza professionale che garantisca il corretto esercizio dell'attività, quale unico presupposto a cui è subordinata l'operatività del "diritto al segreto professionale".
La causa speciale di non punibilità ex art. 384, co. 2, c.p. è stata ancorata, dal Supremo Collegio, alla vigenza di quell'Accordo tra Unione e Confederazione, poi ratificato, talché ove dovesse venire chiamato a deporre in Italia un Investigatore non comunitario né elvetico, egli sarebbe esposto all'obbligo di verità, previsto per i testimoni, senza esenzioni.
Peraltro, ove sussistano i presupposti per l'applicabilità dell'esimente ex art. 384, co. 2, c.p., vertendosi in ipotesi di carenza di legittimazione attiva al reato, pare ragionevole escludere a monte l'illecito e, con esso, la possibilità di configurare un eventuale concorso di persone nel reato.
In ogni caso, è bene ricordare una rilevante diversità di disciplina: mentre "l'attuale normativa dispone che il giudice, a pena di nullità della deposizione, debba avvisare i prossimi congiunti dell'imputato della facoltà di astenersi", non è previsto alcun "avvertimento al teste da parte del giudice" se il testimone sentito rientri nell'ambito dell'art. 200 c.p.p.
Come infatti rilevato dalla S.C. in una significativa pronuncia, "i professionisti elencati nell'art. 200 c.p.p. sono […] caratterizzati da competenza tecnica professionale, che implica la conoscenza dei doveri deontologici e giuridici connessi all'abilitazione ed all'esercizio della professione", cosicché "è rimessa alla loro esclusiva iniziativa, ovviamente da comunicare al giudice, la scelta di deporre o meno su quanto hanno conosciuto per ragioni del ministero, ufficio o professione (fatti salvi i poteri del giudice di cui all'art. 200 c.p.p., co. 2 e gli obblighi derivanti dal segreto di ufficio e dal segreto di Stato ex artt. 201 e 202 c.p.p.), fermo rimanendo l'obbligo di dire la verità in caso di deposizione": quindi, "l'eventuale segreto professionale non può essere ritenuto a priori, ma va eccepito da chi, chiamato a deporre, rientra nelle indicazioni e nelle condizioni di cui all'art. 200 c.p.p." (così, in un caso di falsa testimonianza contestato a un Avvocato che venne escusso quale teste in un procedimento civile su circostanze che aveva appreso nella veste di legale di una delle parti di quel giudizio, rendendo dichiarazioni contraddette per tabulas, in fattispecie di omesso avviso sulla facoltà d'astensione, si ritenne inapplicabile l'eccezionale esimente dell'art. 384 c.p.: cfr. Cass. Pen., Sent. 11.02/04.03.2009 n° 9866, P.G. ℅ C.d.A. Mi c./ B.G.R., rv. 242700).
Agli Investigatori privati e agli altri soggetti indicati nell'art. 200 c.p.p. è dunque applicabile detta esimente soltanto  nell'ipotesi - dianzi indicata - in cui siano stati obbligati a deporre o comunque a rispondere su quanto hanno conosciuto per ragioni del loro ministero, ufficio o professione, indebitamente traendo dal silenzio da loro serbato l'errata convinzione della ravvisabilità d'una reticenza punibile.

Cass. Pen., Sez. VI, 11.01/25.02.2005 n° 7387, G.G., rv. 231459

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FULGENZI Renato, Presidente
Dott. DE ROBERTO Giovanni, Consigliere
Dott. DERIU Luciano, Consigliere
Dott. ROSSI Agnello, Consigliere
Dott. CARCANO Domenico, Consigliere
ha pronunciato la seguente:

Sentenza

sul Ricorso proposto da: G.G., nato a (omissis) il (omissis);
avverso la Sentenza in data 10.01.03 della Corte d'appello di Torino;
visti gli atti, la Sentenza denunziata ed il Ricorso;
udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. Luciano Deriu;
udito il P.M., nella persona del Sost. Proc. Gen. Dott. Giuseppe Veneziano, che ha concluso per il rigetto del Ricorso.
Osserva

Svolgimento del processo
Con Sentenza 10.01.03 la Corte d'Appello di Torino confermava la decisione 28.09.00 del Tribunale di Alba, che aveva condannato G.G. alla pena di otto mesi di reclusione (con statuizioni accessorie) per il reato di cui all'art. 372 c.p. (per avere, deponendo in qualità di testimone innanzi al (omissis) del Tribunale di (omissis), all'udienza del 20.02.98 - nella causa civile n° (omissis) promossa da (omissis) contro (omissis) - taciuto pur a fronte di espressa domanda quanto era a sua conoscenza in ordine alle fonti dalle quali aveva attinto i dati da lui stesso riferiti circa i conti bancari svizzeri intestati a (omissis)).
In motivazione, la Corte territoriale poneva in particolare evidenza:
- come l'appellante non potesse accampare l'esimente di cui all'art. 51 c.p., neppure dopo la modifica dell'art. 200 c.p.p. (ex art. 4, co. 1, Legge 07.12.2000 n° 397), essendosi limitata tale modifica a estendere anche agli "investigatori privati in un procedimento civile" il diritto al segreto professionale (già riconosciuto agli "investigatori privati in un procedimento penale"), ma ferma restando la necessità di una formale "autorizzazione" (riconosciuta "superflua" dall'ordinamento italiano solo agli "investigatori privati italiani, iscritti in apposito registro" e/o a quelli della "Comunità Europea", ma non anche ai "cittadini extracomunitari, che quindi non possono mai essere considerati autorizzati"), della quale il G.G. non era automaticamente titolare "in quanto cittadino svizzero";
- come la reticenza dell'imputato non potesse ritenersi scriminata neppure a norma dell'art. 384 c.p., mancando per un verso ogni ipotesi di "nocumento all'onore" (per essere stato il G.G. obbligato a deporre) e per altro verso non prevedendo la legge vigente all'epoca dei fatti alcuna facoltà di astensione dal deporre (avendo il legislatore riconosciuto "a monte" la prevalenza "dell'interesse pubblico a una testimonianza veridica e completa" rispetto all'altro "eminentemente privato, di categoria, di tacere per motivi di deontologia professionale").
Proponeva Ricorso per Cassazione il difensore del G.G., deducendo nell'ordine:
- 1) "violazione dell'art. 606, lett. b) ed e), c.p.p. in relazione all'art. 51 c.p. e all'art. 200 c.p.p.": la Corte territoriale avrebbe male interpretato l'art. 10 della Legge 20.02.94 n° 146 ("ai fini dell'esercizio in Italia dell'attività di investigatore privato ai sensi dell'art. 134 T.U., i cittadini degli stati membri della Comunità Europea sono equiparati ai cittadini italiani"), trattandosi di norma non applicabile al caso di specie (avendo il G.G. svolto la propria attività investigativa in Svizzera, in virtù di "una licenza alla quale potrebbe attribuirsi riconoscimento in Italia" ex Legge 15.11.00 n° 364 (ratifica dello accordo tra Comunità Europea e Svizzera sulla libera circolazione delle persone private, con possibilità di "riconoscimento reciproco dei diplomi, dei certificati e di altri titoli"); conseguentemente la Corte avrebbe male interpretato anche l'art. 200 c.p.p. (come modificato dalla L. 07.12.00 n° 397, che estese la disciplina del segreto professionale anche agli investigatori privati autorizzati) ritenendo che per lo Stato italiano fossero da ritenersi autorizzati soltanto gli investigatori privati italiani e comunitari (ed equiparando inspiegabilmente i cittadini della confederazione Elvetica a quelli extra-comunitari, senza prendere in considerazione "le convenzioni intercorse tra Stato italiano quale membro della Comunità Europea e la Confederazione elvetica");
- 2) "violazione dell'art. 606, lett. b) ed e), c.p.p. anche in relazione all'art. 384 c.p.": il giudice d'appello avrebbe confuso i presupposti dell'esimente speciale previsti dal co. 1 dell'art. 384 c.p. con quelli dell'esimente previsti dal co. 2 dello stesso articolo; la difesa aveva invocato l'esimente di cui al co. 1, giacché G.G. (impegnato al silenzio sulle fonti della propria conoscenza) "si sarebbe inevitabilmente esposto a sanzioni disciplinari nel suo Paese e avrebbe ricevuto un grave e inevitabile danno all'onore della propria persona e professione"; proprio alla luce dell'intervenuta modifica dello art. 200 c.p.p., sarebbe in ogni caso applicabile nella specie (ex art. 2 c.p.) l'esimente di cui all'art. 384, co. 2, c.p. (per essere stato obbligato a deporre un soggetto che adesso avrebbe la facoltà di astenersi).

Motivi della decisione
Il Ricorso proposto nell'interesse di G.G. è fondato.
In linea di fatto deve ritenersi pacifico (avendone espressamente dato atto il giudice di primo grado):
a) che il G.G. fosse titolare di una licenza che lo autorizzava all'esercizio dell'attività di investigatore privato in Svizzera;
b) che proprio in tale veste avesse svolto i suoi accertamenti (per conto del suo cliente (omissis)) sui conti bancari intestati in Svizzera a (omissis);
c) che esso G.G., sentito come teste in sede civile e poi come imputato in sede penale, avesse giustificato "il silenzio sulle fonti della propria conoscenza", appellandosi alla "deontologia professionale ... che nell'ambito della Confederazione elvetica legittimava il suo rifiuto di rispondere anche in sede testimoniale".
Ciò premesso, appare effettivamente fuori luogo il riferimento operato in sede di merito all'art. 10 Legge n° 146/94 (v. supra), trattandosi di norma riguardante esplicitamente solo "l'esercizio in Italia dell'attività di investigatore privato ai sensi dell'art. 134 T.U." e la conseguente equiparazione (all'uopo) "dei cittadini degli stati membri della Comunità Europea ai cittadini italiani".
Non condivisibile appare, d'altro canto, l'ulteriore argomentazione secondo la quale il G.G., in quanto cittadino svizzero, non potrebbe rientrare nella categoria degli "Investigatori privati autorizzati" (art. 200 c.p.p., nel testo attualmente vigente), né essere ritenuto testo attualmente vigente), né essere ritenuto non punibile ai sensi dell'art. 384 c.p., potendo e dovendosi osservare in proposito:
a) il co. 2 dell'art. 384 c.p. (come modificato e integrato dall'art. 21 L. 01.03.01 n° 63) esclude, tra l'altro, la punibilità del fatto commesso da chi "non avrebbe potuto essere obbligato a deporre o comunque a rispondere" (in aggiunta a " chi per legge non avrebbe dovuto essere richiesto di fornire informazioni ai fini delle indagini, o assunto come testimonio, perito, consulente tecnico o interprete ... ovvero avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal rendere informazioni, testimonianza, perizia, consulenza o interpretazione");
b) nell'interpretazione della norma in oggetto, devesi tener conto:
* 1) della disposizione di cui all'art. 249 c.p.c., secondo la quale "si applicano all'audizione dei testimoni le disposizioni degli artt. 351 e 352 (oggi: 200, 201, 202 del nuovo c.p.p.) del codice di procedura penale relative alla facoltà di astensione dei testimoni";
* 2) della disposizione dell'art. 38 Disp. Att. c.p.p. (abrogato dallo art. 23, co. 1, Legge 07.12.2000 n° 397), secondo la quale i difensori potevano "incaricare investigatori privati autorizzati" per ricercare e individuare elementi di prova a favore del proprio assistito;
* 3) della norma di cui all'art. 327-bis c.p.p. (inserita dall'art. 7, co. 1, Legge 07.12.2000 n° 397), che (al co. 3) riproduce il contenuto del citato e abrogato art. 38 Disp. Att. c.p.p.;
* 4) della disposizione di cui all'art. 222 Disp. Att. c.p.p. (come modificato dall'art. 24 Legge n° 397/00), con l'esplicita previsione che "fino all'approvazione della nuova disciplina sugli investigatori privati, l'autorizzazione a svolgere le attività indicate nello art. 327-bis del codice (originariamente: "nell'art. 38") è rilasciata dal Prefetto agli Investigatori che abbiano maturato una specifica esperienza professionale che garantisca il corretto esercizio dell'attività. L'incarico è iscritto in uno speciale registro";
* 5) della norma di cui al già citato art. 10 della Legge n° 146/94 (v. supra, in parte narrativa);
* 6) della disposizione di cui all'art. 200 c.p.p. (come modificato dall'art. 4, co. 1, Legge n° 397/00: v. supra, in parte narrativa), con l'estensione del "segreto professionale" a tutti "gli Investigatori privati autorizzati";
* 7) delle disposizioni della Legge 15.11.00 n° 364 (v. supra, in parte narrativa) di "Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Confederazione svizzera, dall'altra, sulla libera circolazione delle persone, con allegati, atto finale e dichiarazioni, fatto a Lussermburgo il 21.06.99", con particolare riferimento all'art. 9 dell'Accordo in questione ("Le parti contraenti adottano ... le misure necessarie per quanto riguarda il riconoscimento reciproco dei diplomi, dei certificati e di altri titoli e il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative delle parti contraenti in materia di accesso alle attività dipendenti e autonome e dell'esercizio di queste, nonché di prestazioni di servizi;
c) alla luce del quadro normativo venutosi a creare attraverso la successione nel tempo delle disposizioni di legge testé richiamate, l'attuale posizione giuridica del ricorrente può sintetizzarsi come segue:
1) la correlazione fra le disposizioni della Legge n° 364/2000 (e dell'accordo fra Comunità europea e Svizzera da tale legge ratificato) e il contenuto dell'art. 10 Legge n° 146/94, consente di ritenere il G.G. equiparato ai cittadini della Comunità europea ai fini della assunzione, in Italia, della qualità di "Investigatore privato autorizzato";
2) il diritto al "segreto professionale", connesso a tale qualità, deve ritenersi ormai esteso (ex art. 200 c.p.p. nel testo attualmente vigente) anche agli "Investigatori privati in un procedimento civile";
3) l'attuale testo dell'art. 384, co. 2, c.p. (come modificato e integrato dall'art. 21 Legge n° 63/01) consentirebbe oggi al G.G. (per espresso riconoscimento del primo giudice, "Investigatore privato munito di autorizzazione rilasciata dal Cantone svizzero di (omissis), e pertanto titolare di una licenza alla quale potrebbe attribuirsi riconoscimento in Italia, ... impegnato dalla propria deontologia professionale al silenzio sulle fonti della propria conoscenza e legittimato, nell'ambito della Confederazione elvetica, al rifiuto di rispondere anche in sede testimoniale": v. sent. Trib. (omissis) di essere riconosciuto "non punibile" in quanto "non avrebbe potuto essere obbligato a deporre o comunque a rispondere";
4) solo ad abundantiam si rileva che nel caso di specie sarebbe applicabile anche la disposizione di cui all'art. 384, co. 2, c.p., non apparendo revocabile in dubbio che G.G. - se avesse rivelato le fonti della propria conoscenza circa i conti bancari svizzeri intestati a (omissis) - si sarebbe inevitabilmente esposto a sanzioni disciplinari nel proprio Paese (Svizzera), con conseguente grave nocumento all'onore della propria persona e professione (secondo quanto sostenuto nel Ricorso per Cassazione).
Le considerazioni fin qui svolte, in conclusione, inducono a ritenere:
a) che nel caso di specie, in virtù di quanto previsto dall'art. 2, co. 2 e 3, c.p., trovi applicazione la norma di cui all'art. 384, co. 2, c.p. (tenendosi conto del particolare che i limiti di operatività della causa di non punibilità sono stati "ridisegnati" dall'art. 200 c.p.p., richiamato dallo art. 249 c.p.c.; e facendosi, ovviamente, riferimento al testo dell'art. 384, co. 2, c.p. oggi vigente);
b) che, conseguentemente, la Sentenza impugnata debba essere annullata senza rinvio, essendo G.G. "persona non punibile" perché il fatto ascrittogli non costituisce reato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la Sentenza impugnata, perché il fatto non costituisce reato.
Così deciso in Roma, il 11.01.2005.
Depositato in Cancelleria il 25.02.2005

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