Investigazioni

INVESTIGAZIONE PRIVATA - Report investigativo in appello e violazione del contraddittorio.

Scritto da Avv. Salvatore Frattallone. Pubblicato in Investigazione privata

foto e video riprese da parte d'investigatore privato autorizzato

La produzione del report dell’investigatore privato nel processo penale di secondo grado, frutto di indagini che la difesa dell’imputato gli abbia commissionato ex art. 327-bis c.p.p., non è affetta da nullità assoluta ex art. 178, co. 1, lett. c), c.p.p. qualora le parti non siano state sentite ai sensi dell’art. 495, co. 1, c.p.p., se il contraddittorio sia stato comunque instaurato - anche dopo che sia stata dedotta la nullità - a seguito della successiva attività peritale.
Infatti, se in tale ambito il materiale video-fotografico é stato utilizzato e valorizzato dal perito nominato dalla Corte d’Appello e questi abbia svolto le operazioni dando modo alle parti di interloquire durante le relative operazioni peritali, nessuna censura può essere mossa alla sentenza che si basi su tale accertamento.

 

L’Ordinanza della Corte, ammmissiva della prova documentale, è noto che non è autonomamente impugnabile e può essere oggetto di controllo in sede di impugnazione della sentenza, in ossequio alla generale regola contemplata dall’art. 586 c.p.p., ma l’eventuale nullità non assoluta di ordine generale, per ritenuta violazione del diritto di difesa, è sanata ove non sia stata tempestivamente eccepita immediatamente dopo il deposito della relazione peritale, atteso che trattasi di vizio soggetto ai limiti di deducibilità di cui all’art. 182, co. 2, c.p.p.
Nella fattispecie è accaduto che, mentre in primo grado il Tribunale aveva condannato il datore di lavoro dell’infortunato, in appello era prevalso il convincimento nella ravvisabilità di ragionevoli dubbi circa le modalità dell'infortunio e sulla reale portata delle lesioni personali che la P.O. sosteneva d’aver riportato. La P.C., alla prima udienza d’appello, aveva contestato la produzione documentale allegata dall'imputato al gravame, adducendo che essa era frutto d'investigazioni su cui non si era instaurato il previo contraddittorio. Poi però, nel corso della successiva perizia ordinata dalla Corte territoriale, le parti di quel giudizio si erano comunque potute esprimere sulle video-riprese de quibus, ottenute con l’osservazione statica e dinamica effettuata, dopo l’infortunio, sull’ignara persona offesa ed era emerso che il suo stato di salute appariva incompatibile con la sindrome asseritamente riportata da quest’ultima in conseguenza dell’infortunio sul lavoro e con la conseguente invalidità. La P.C., dopo l’inizio delle operazioni peritali e successivamente, non aveva contestato il materiale probatorio su cui poggiava la perizia né le sue conclusioni, su cui pure aveva finito col fondarsi la decisione impugnata. Consequenzialmente, secondo la linea interpretativa della Corte nomofilattica, la P.C., stante l’intervenuta decadenza, non poteva più utilmente dolersi, della carenza del contraddittorio, avendo in ogni caso omesso d’immediatamente riproporre l’eccezione all’esito del deposito dell’elaborato dell’ausiliario, che aveva operato l’accertamento tecnico nel contributo dialettico di ciascuna parte processuale.
Va indubbiamente un plauso processuale alla parte che si attivò per il diritto alla controprova e all’investigatore privato che quella prova raccolse.
Ma resta peraltro un dubbio, in ordine alla correttezza dell’esegesi proposta dalla S.C. sulla concreta valenza dei limiti cronologici previsti per dedurre le nullità a regime intermedio ex art. 180 c.p.p. e per eccepire le nullità relative ex art. 181 c.p.p.: invero, secondo il codice di rito essi patiscono una significativa contrazione ogniqualvolta la parte assista al compimento dell'atto, ma in questi casi la nullità va dedotta o eccepita anteriormente al compimento dell'atto o, solo qualora ciò non sia possibile, immediatamente dopo il compimento dell'atto medesimo, anche tramite il deposito in ogni stato e grado del processo d’una Memoria ex art. 121 c.p.p.
Orbene, siccome nella fattispecie la parte dedusse la predetta nullità non appena constatò per la prima volta la cennata produzione documentale avversaria (anzi, l’eccezione venne persino riproposta all’udienza dibattimentale successiva), nessuna preclusione avrebbe dovuto essere ravvisata nella fattispecie a carico della parte che aveva adempiuto all'onere di attivarsi tempestivamente all'ingresso di quella controprova nel processo.
Conclusivamente, nel caso in esame la sospetta scioltezza e l’inspiegabile agilità nei movimenti sono dunque costate care alla presunta persona offesa, stante l’acquiescenza all’acquisizione al corredo processuale del dato cognitivo rappresentato dalle indagini difensive svolte ben sette anni dopo il fatto-reato contestato nell’imputazione, quale prova contraria su cui la controparte era stata ammessa a presentare ex post le sue controdeduzioni.

Cass. Pen., Sez. IV, Sent. 12.02/05.05.2014 n° 18456

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Brusco Carlo Giuseppe, Presidente
Dott. Marinelli Felicetta, Consigliere
Dott. Dovere Salvatore, Consigliere
Dott. Iannello Emilio, Rel. Consigliere
Dott. Montagni Andrea, Consigliere
ha pronunciato la seguente:

Sentenza

sul Ricorso proposto da:
P.A., nato a (omissis);
avverso la Sentenza n° 691/2010 dalla Corte d’Appello di Cagliari, Sez. Dist. di Sassari, del 19.07.2012;
visti gli atti, la Sentenza e il Ricorso;
udita in Pubblica udienza del 12.02.2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. Emilio Iannello;
udito il Procuratore Generale, in persona del Dott. Aldo Policastro, che ha concluso per l'annullamento con rinvio al Giudice civile;
udito il difensore dell'imputato, Avv. F.B.G., Foro di Roma, il quale ha chiesto che il Ricorso venga dichiarato inammissibile e, in subordine, rigettato.
Svolgimento del processo
1. Con Sentenza del 19.07.2012 la Corte d'Appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, in riforma della Sentenza di primo grado, assolveva, per insussistenza del fatto, B.G. dal delitto di lesioni colpose gravissime a lui ascritto in relazione all'infortunio sul lavoro occorso ad P.A., dipendente della società S. s.r.l., di cui l'imputato B.G. era legale rappresentante. Secondo la descrizione del sinistro contenuta in Sentenza, la sera del (omissis) il P.A., mentre si accingeva ad attaccare la spina del cavo appeso alla centralina con la presa del carrello trasportatore, "aveva sentito i nervi come se non riuscisse più a comandarli e, sebbene avesse tentato di staccare le mani dalla spina, non vi era riuscito ed era caduto all'indietro". Portato con l'ambulanza all'ospedale di (omissis), gli venivano diagnosticati un trauma lombare ed uno shock midollare da folgorazione, con trauma cranico commotivo. Da certificazioni sanitarie successivamente raccolte emergeva una diagnosi di "sindrome da conversione", la cui causa era da rinvenirsi nella folgorazione riferita dalla persona offesa. Dissentendo dalle valutazioni del primo Giudice, che aveva ritenuto attendibile la ricostruzione della dinamica dell'incidente come riferita dalla Persona Offesa, per essere emerso a riscontro, dall'istruttoria dibattimentale, che l'ambiente di lavoro nel quale questa operava non era idoneo a garantire un accurato isolamento dell'impianto e dei cavi elettrici che alimentavano i macchinari, la Corte territoriale - pur dando atto di quest'ultima evidenza - riteneva nondimeno sussistere ragionevoli dubbi sulle modalità dell'infortunio e, segnatamente, sull'effettiva sussistenza delle lesioni che avrebbe comportato. Al riguardo assegnava rilievo decisivo alle considerazioni svolte dal perito medico-legale nominato in grado d'appello, il quale aveva concluso per la insussistenza di una monoparesi dell'arto inferiore sinistro, escludendo altresì, sulla scorta della documentazione sanitaria esaminata, l'esistenza di lesioni o segni riconducibili a traumi da energia elettrica, ovvero di segni di folgorazione, ed evidenziando che anche la cartella clinica del reparto di neurochirurgia ove il P.A. venne ricoverato dopo il sinistro, perveniva bensì ad una diagnosi di shock midollare da folgorazione, ma sulla base non di evidenze cliniche e strumentali bensì di disturbi soggettivi. Riteneva poi "assolutamente convincente" il rilievo svolto dall'ausiliario secondo cui, da un lato, la durata protratta dei deficit funzionali lamentati non è tipica del disturbo di conversione e, dall'altro, la riferita sintomatologia è incompatibile con la sua scomparsa volontaria nelle situazioni documentate dalla difesa (si fa al riguardo riferimento in sentenza alle immagini, riprese da investigatore privato e prodotte con l'atto d'appello, che ritraggono il P.A. mentre svolge attività in campagna implicanti un discreto sforzo muscolare).
2. Avverso tale Sentenza propone ricorso la Parte Civile, sulla base di quattro motivi.
2.1. Con il primo deduce inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità. Lamenta che il materiale probatorio costituito dalle fotografie e dai video realizzati da investigatore privato, che la motivazione mostra di valorizzare, è stato ammesso nel giudizio d'appello senza che le parti siano state sentite ai sensi dell’art. 495, co. 1, c.p.p. Rileva che la nullità che ne deriva ai sensi dell’art. 178, co. 1, lett. c), c.p.p. era stata eccepita all'udienza del 09.06.2011 e ribadita in quella successiva del 20.07.2011.
2.2. Con il secondo motivo deduce vizio di carenza e contraddittorietà della motivazione per avere questa, da un lato, attestato che l'infortunio è accaduto nell'ottobre 2004 e che da questo sarebbe derivata una invalidità del 20%, dall'altro attribuito valenza ostativa alla sua ricostruzione nei termini di cui in imputazione alle situazioni rappresentate dalle immagini ritratte da investigatore privato, omettendo di considerare che trattavasi di attività poste in essere circa sette anni dopo e, comunque, compatibili con la percentuale di invalidità accertata e con la natura dei sintomi della sindrome da conversione, essendo questi destinati a attenuarsi nel tempo.
2.3. Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione per avere la Corte attribuito la qualità di teste a soggetto che in primo grado era stato in realtà sentito come consulente tecnico della difesa dell'imputato, con ciò erroneamente assegnando efficacia probatoria all'affermazione dallo stesso resa secondo cui "il cavo elettrico maneggiato dal P.A. era collegato ad un quadro di sicurezza che non permetteva la chiusura del circuito elettrico, se non premendo un pulsante sul quadro stesso, a distanza dal carrello porta blocchi che materialmente era usato dall'operaio". Sotto altro profilo rileva che, con riferimento a tale circostanza, la Corte territoriale ha comunque omesso di considerare le contrastanti indicazioni provenienti da altri testi. Infine, ancora con riferimento alla suddetta affermazione del consulente tecnico della difesa dell'imputato, rileva che la Corte territoriale, nel ponderarne la concludenza probatoria, ha omesso di considerare che quest'ultimo aveva precisato di aver visionato i luoghi a tre anni di distanza dai fatti, nulla dunque potendo attestare di come fosse l'impianto nel 2004.
2.4. Con il quarto motivo, il Ricorrente deduce, infine, carenza e contraddittorietà della motivazione per avere essa recepito l'opinione del perito L., circa l'insussistenza delle lesioni personali ipotizzate nell'imputazione, senza in alcun modo tenere conto dei rilievi critici e delle conclusioni opposte rassegnate dal consulente tecnico di parte, peraltro fondate, a differenza di quelle espresse dal perito nominato dalla Corte, su richiami alla letteratura scientifica internazionale.
3. In data 6 febbraio 2014, la difesa dell'imputato ha depositato Memoria, con la quale ha contestato la fondatezza dei motivi di ricorso, insistendo per la conferma, anche agli effetti civili, della Sentenza impugnata.
Motivi della decisione
4. E' infondato il primo motivo di Ricorso. Se è vero che, come eccepito dalla Parte Civile nella prima udienza del giudizio di appello, sulla produzione documentale depositata dall'imputato insieme con l'atto d'appello non è stato instaurato il contraddittorio, è anche vero che successivamente tale materiale (video-fotografico) è stato utilizzato e valorizzato dal perito nominato dalla Corte e che, su tale utilizzo e sulle conclusioni della perizia, che in qualche misura, ancorché non in via esclusiva, ad esso fanno riferimento, la Parte Civile nulla ha osservato, dovendosene pertanto desumere che, quanto meno al momento della successiva acquisizione in sede di perizia, le parti abbiano avuto agio di interloquire nel contraddittorio che assiste le relative operazioni e, comunque, che l'eventuale vizio al riguardo ravvisabile sia stato sanato in quanto non tempestivamente eccepito immediatamente dopo il deposito della relazione peritale: potrebbe, infatti, al più, configurarsi una nullità dell'atto di ordine generale non assoluta per violazione del diritto di difesa, come tale soggetta ai limiti di deducibilità di cui all’art. 182, co. 2, c.p.p.
5. E' infondato anche il secondo motivo di ricorso. Non può infatti ravvisarsi manifesta illogicità o contraddittorietà nella motivazione per il fatto che essa tragga smentita della natura e delle conseguenze dell'infortunio verificatosi nell'ottobre del 2004 da accertamenti peritali condotti (anche) sulla base di filmati e fotografie risalenti al 2011, che ritraggono il P.A. nello svolgimento di attività manuali di sicuro impegno fisico (sollevamento di sacchetti di alcune decine di chili, sollevamento di cassette di frutta e verdura, etc). Diversamente da quanto postulato dal ricorrente, tali emergenze vengono infatti valorizzate nella perizia (e quindi in sentenza) non per negare la possibilità teorica di un regresso dei sintomi a distanza di anni, quanto, al contrario, per evidenziare proprio l'anomalia di una sintomatologia altalenante anche a distanza di tempo. Più esattamente, si rileva in Sentenza (penultima pagina), con richiamo alla perizia ritenuta sul punto "assolutamente convincente", che proprio la "durata protratta dei sintomi/deficit e addirittura la cronicizzazione degli stessi... non è tipica del disturbo di conversione", dal momento che, viceversa, "le paralisi ... sono dei sintomi del disturbo di conversione con la prognosi più favorevole" ed, inoltre, che tali sintomi "che per definizione dovrebbero essere non intenzionali, sono incompatibili con la scomparsa volontaria degli stessi nelle situazioni documentate dalla difesa (fotografie e video dell'investigatore privato)". L'argomentazione impiegata in Sentenza dunque - in sé certamente coerente e lineare - è ben diversa da quella ipotizzata dal ricorrente a fondamento della doglianza in esame, risolvendosi essa in buona sostanza nella osservazione che, da quanto verificato sulla scorta delle immagini acquisite, il comportamento del P.A. riveli, in alcune occasioni, una persistenza dei sintomi (evidente zoppia, con uso di stampella), in altre (in privato), una sospetta scioltezza e agilità nei movimenti e che tali altalenanti manifestazioni sono, a giudizio del perito, inspiegabili e comunque non compatibili con l'ipotizzata sindrome da conversione. Con tale nucleo motivazionale la censura mossa dal ricorrente non si confronta affatto, ma anzi sembra ribaltarne il senso, rivelandosi pertanto non pertinente.
6. Il rilievo posto a base del terzo motivo, secondo cui la Corte d'appello ha erroneamente attribuito la qualità di teste a soggetto che in primo grado in realtà era stato sentito come consulente tecnico della difesa dell'imputato, è bensì fondato ma inconclucente, non valendo a infirmare la complessiva tenuta logica e coerenza argomentativa della motivazione della Sentenza impugnata. Le dichiarazioni del S. (circa l'esistenza nella fabbrica di un quadro di sicurezza che non permetteva la chiusura del circuito elettrico se non premendo un pulsante sul quadro stesso, posto a distanza dal carrello porta blocchi materialmente usato dall'operaio), in effetti rese in primo grado non in veste di testimone ma di consulente della parte civile, non assumono rilievo decisivo nell'economia della Sentenza, che ad esse per vero fa riferimento in modo quasi incidentale e nella quale è comunque espressamente condivisa l'affermazione secondo cui l'ambiente di lavoro non garantiva un accurato isolamento dell'impianto elettrico. Solo in ragione di altre emergenze istruttorie - e segnatamente delle testimonianze e della documentazione sanitaria relative ai momenti immediatamente successivi al fatto - i Giudici d’Appello giungono infatti al convincimento che, comunque, sia pure in quel contesto di non pieno e tranquillizzante isolamento elettrico, non si è verificato l'infortunio così come descritto in imputazione.
7. Tale centrale, e anzi unica ratio decidendi, è invece pertinentemente posta ad oggetto del quarto motivo di Ricorso, il quale però si rivela anch'esso infondato. Come si è accennato, l'impianto argomentativo posto a base della impugnata Sentenza assolutoria ruota essenzialmente attorno alle seguenti considerazioni (a loro volta basate in gran parte sugli accertamenti condotti dal perito e sulle conclusioni dallo stesso rassegnate):
a) con riferimento alla natura dell'evento verificatosi la sera del (omissis), non vi sono elementi che dimostrino con sufficiente grado di evidenza il verificarsi di una lesione da contatto con conduttori di energia elettrica, non risultando, dalla documentazione sanitaria esaminata, lesioni riconducibili a traumi di tal genere e avendo in particolare il perito escluso l'esistenza di segni di folgorazione (ustione elettrica; lesione cutanea localizzata in corrispondenza del presunto punto di contatto con il conduttore elettrico);
b) la cartella clinica relativa al ricovero in neurochirurgica immediatamente disposto "non rivelava alcun dato obiettivo e strumentalmente documentabile, ma solo disturbi soggettivi", ai quali pure va ricondotta la c.d. "monoparesi antalgica dell'arto inferiore sinistro"; non sono stati evidenziati deficit neurologici; "la stessa diagnosi di shock midollare non trovava riscontro nelle evidenze cliniche e strumentali": sulla base di ciò il perito ha escluso l'esistenza di lesioni neurologiche e in particolare di una monoparesi o di una significativa limitazione funzionale neurogena a carico dell'arto inferiore sinistro;
c) nel 2006 del resto venne rinnovata la patente di guida al P.A., senza limitazioni o prescrizioni, e tale condizione era incompatibile con una monoparesi dell'arto;
d) il perito ha anche escluso la diagnosi di "sindrome da conversione" essendo notevole la sproporzione tra l'evento psichico stressante (peraltro in sé dubbio), il quadro clinico strumentale risultante, del tutto negativo, e il danno lamentato dal P.A. (deficit dell'arto inferiore sinistro);
e) come già in precedenza evidenziato, l'ausiliario ha inoltre segnalato che la durata protratta dei sintomi/deficit e addirittura la cronicizzazione degli stessi non è tipica del disturbo di conversione e, inoltre, tali sintomi sono incompatibili con la scomparsa volontaria degli stessi nelle situazioni documentate dai documenti fotografici e dai filmati.
Non appare dubbio che tali elementi, e le argomentazioni che ne sono tratte, compongono una struttura motivazionale coerente e adeguata, idonea certamente a resistere alla censura in esame, la quale del resto in sé si risolve nel mero generico richiamo alle diverse conclusioni rassegnate dal consulente tecnico di parte, in sé inidonee a manifestare un vizio di carenza motivazionale o di manifesta illogicità. A ben vedere, infatti, alla stregua di quanto segnalato in Ricorso, la consulenza di parte muove anzitutto da premesse in punto di fatto contrastanti con quelle accertate dal perito e, quindi, nella sentenza impugnata, quali principalmente l'esistenza di una diagnosi attendibile, che sarebbe stata operata almeno fino al 2006, di sindrome da conversione. Non essendo specificate la fonte di tale convincimento e la ragione per la quale esso dovrebbe imporsi su quello contrario motivatamente espresso in sentenza, sulla base della perizia, per tale parte la censura si risolve dunque a ben vedere nella mera inammissibile prospettazione di una diversa valutazione delle prove raccolte. Non risulta peraltro nemmeno considerata l'altra premessa fattuale da cui muove la relazione peritale: ossia l'assenza di segni oggettivi e evidenti riconducibili a uno shock da folgorazione o di lesioni neurologiche. Pur prescindendo da ciò, deve comunque osservarsi che sulla base della detta premessa, la consulenza di parte prospetta la tesi della possibilità che la postulata sindrome regredisca anche nell'arco di anni ovvero che, in alternativa, si cronicizzi. Per quest'ultima parte, tale tesi, ove dovesse ritenersi dotata di maggiore attendibilità scientifica, potrebbe bensì inficiare le conclusioni del perito (avendo il perito, come s'è già riferito, affermato, all'opposto, che la cronicizzazione dei sintomi, in particolare della paralisi, "non è tipica del disturbo da conversione"), ma resta invece del tutto inconferente rispetto all'altro e più pregnante argomento svolto in perizia, rappresentato dalla impossibilità di giustificare comunque, ove si fosse realmente in presenza di una sindrome da conversione, l'alternanza di tali sintomi (ossia la scomparsa degli stessi nelle situazioni documentate dalla difesa). Richiamando dettagliatamente tali argomenti peritali, la Corte d’Appello ha quindi adeguatamente assolto al proprio obbligo motivazionale, dando in particolare conto delle ragioni che militano a favore dell'adesione alla ricostruzione e alle conclusioni del perito d'ufficio, restando del tutto ininfluente il rilievo che la perizia di parte fosse corredata da ampi richiami, in nota alla letteratura scientifica internazionale, volta che tali richiami non risultano comunque pertinenti rispetto a tutti i segnalati passaggi argomentativi.
8. In ragione delle considerazioni che precedono, deve in conclusione pervenirsi al rigetto del Ricorso, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 12.02.2014.
Depositato in Cancelleria il 05.05.2014

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