Investigazioni

INVESTIGAZIONE PRIVATA - Investigatore privato e rito abbreviato.

indagini difensive
Cassazione penale, Sez. III, 23.09.2010/01.12.2010, n° 42470
Indagini difensive di investigatore privato su incarico della p.o. e utilizzabilità del rapporto e dei fotogrammi nel rito abbreviato.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TERESI Alfredo - Presidente -
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere -
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere -
Dott. MULLIRI Guicla I. - Consigliere -
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da: C.S., nato a (OMISSIS), imputato artt. 513 e 635 c.p. avverso la sentenza della Corte d'Appello di Trieste in data 12.3.09
Sentita udienza la relazione del cons. Dott. MULLIRI Guicla I.;
Sentito il P.M., nella persona del P.G. Dott. FRATICELLI Mario, che ha chiesto una declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Fatto
OSSERVA
1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso - Con la sentenza impugnata, la Corte d'appello ha confermato la condanna inflitta all'odierno ricorrente in quanto ritenuto responsabile della violazione degli artt. 513 e 635 c.p. ed, in particolare, di avere - in qualità di titolare di una palestra denominata "(omissis)" - turbato l'esercizio di analoga impresa commerciale denominata "N.A.G.", adoperando ripetutamente violenza sui manifesti (pubblicizzanti l'attività di detta ultima palestra) strappandoli e rimuovendoli dalla pubblica via.
Va precisato (ai fini di una maggiore comprensione delle ragioni del ricorso) che le principali fonti di accusa erano state rappresentate dalle acquisizioni di un investigatore privato assunto dal denunciate e dai fotogrammi delle videoriprese da questi effettuate.
Avverso tale decisione, l'imputato ha proposto ricorso, tramite il difensore, deducendo:
1) violazione di legge penale e processuale da ravvisarsi nel fatto di non avere i giudici motivato sufficientemente circa la inutilizzabilità degli atti di indagine difensiva prodotti dalla p.o., che sarebbero erroneamente stati qualificati dalla Corte documenti e non atti. Non vi sarebbero, poi, adeguate certezze circa la integrità della cassetta originale depositata solo in udienza.
Peraltro, essendosi trattato di giudizio abbreviato, non avrebbero dovuto essere ammissibili ed utilizzabili eventuali documenti prodotti in udienza visto che quel rito si svolge solo sulla base delle indagini già svolte. Al momento della richiesta di rinvio a giudizio, erano, invece, presenti in atti solo le copie estratte dal filmato contenuto nella cassetta che, però, a mente dell'art. 23 c.p.p. possono essere utilizzate solo nel caso in cui l'originale sia andato distrutto o smarrito. Ha, quindi, errato la Corte quando ha ritenuto utilizzabili gli atti depositati dalla parte civile prima della richiesta di rito abbreviato.
In ogni caso, fa notare il ricorrente, quando la p.o. incaricò l' investigatore privato , pendeva già un procedimento a carico di ignoti quindi le azioni svolte dalla parte civile si inquadrano nelle vere e proprie indagini difensive da svolgere secondo le regole del codice di rito.
Il ricorrente osserva, altresì, che la persona ripresa nei fotogrammi non è visibile con chiarezza e che non si è proceduto ad alcun riconoscimento. Peraltro, solo il supporto magnetico costituisce prova documentale non anche le copie da esso estratte non dovendosi confondere il mezzo di ricerca della prova con il mezzo di prova in sè. Sebbene la difesa avesse sollevato l'eccezione di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite, la Corte ha, però, respinto a dispetto del fatto che anche le SS.UU. abbiano affermato che essa non è sanata dalla richiesta di rito abbreviato.
2) travisamento dei fatti e delle prove per avere la Corte fondato il giudizio di responsabilità su prove inesistenti e comunque inutilizzabili;
3) errore e travisamento dei fatti perchè non è vero che le immagini ritraggono l'imputato mentre strappa i manifesti;
4) violazione di legge, mancanza ed illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza del reato contestato visto che, nella specie, a tutto concedere, non si ravvisa la finalità di impedire o turbare l'esercizio di una attività industriale o commerciale anche perchè l'attività della palestra cui si riferivano i manifesti doveva ancora iniziare;
5) violazione di legge per mancata declaratoria di assorbimento del delitto di danneggiamento in quello di cui all'art. 513 c.p.;
6) vizio di motivazione per avere la Corte ritenuto la ricorrenza di una condotta atta a turbare od impedire l'esercizio dell'industria o del commercio dal momento che l'attività della palestra del denunciale doveva ancora iniziare.
Il ricorrente conclude invocando l'annullamento della sentenza impugnata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
- Il ricorso è infondato.
Il primo - e principale - motivo di ricorso ruota tutto attorno alla asserita inutilizzabilità delle riprese filmate prodotte dalla p.o.
(che se le era procurate grazie all'espletamento di indagini difensive delegate ad un investigatore privato ) che ritraggono una persona (asseritamene identificabile nell'imputato) mentre strappa i manifesti pubblicitari della palestra del denunciante. Si fa notare,infatti, che la videocassetta non era presente in atti al momento in cui l'imputato chiese il rito abbreviato. Il punto è, però, che, quando il C. optò per il rito speciale, nel fascicolo erano ben presenti i fotogrammi della registrazione. Non è, quindi fondata la doglianza che egli muove secondo cui tali copie non avrebbero potuto essere utilizzate perchè, a mente dell'art. 234 c.p.p., ciò sarebbe consentito solo nel caso in cui l'originale sia andato distrutto o smarrito.
Come, noto, infatti, la scelta del rito abbreviato implica una accettazione, da parte dell'imputato, dello status quo, vale a dire della situazione probatoria esistente, con il risultato di sanare eventuali situazioni di inutilizzabilità c.d. fisiologiche (su. 21.6.00, Tammaro, Rv. 216246). La giurisprudenza di questa S.C., pertanto, è costante nell'affermare che la inutilizzabilità cosiddetta "patologica" (rilevabile, a differenza di quella cosiddetta "fisiologica", anche nell'ambito del giudizio abbreviato), "costituisce un'ipotesi estrema e residuale, ravvisabile solo con riguardo a quegli atti la cui assunzione sia avvenuta in modo contrastante con i principi fondamentali dell'ordinamento o tale da pregiudicare in modo grave ed insuperabile il diritto di difesa dell'imputato" (sez. 3, 24.1.06, Gatti, Rv. 233106). A tale stregua, perciò, è stata, ad esempio, ritenuta (nella sentenza appena citata) la utilizzabilità di analisi di una sostanza alimentare deteriorabile che non fosse stata ripetuta (in ossequio al principio di cui al D.Lgs. n. 123 del 1993, art. 2) essendosi in presenza di una mera inutilizzabilità fisiologica; così come, ad esempio, anche nel caso di un riconoscimento dell'imputato, effettuato in sede di incidente probatorio senza l'osservanza delle formalità prescritte per la ricognizione di persona (sez. 3, 5.5.10, d.p., rv. 247638).
Tornando, perciò, alla fattispecie qui in esame, è del tutto ininfluente il fatto che il deposito della videocassetta, dalla quale erano state estrapolate le immagini fosse avvenuto in un momento successivo, e cioè in udienza preliminare in concomitanza con l'espletamento di un giudizio abbreviato, che, però, era già stato richiesto essendo ben nota la presenza dei fotogrammi in atti. Non si è verificata, pertanto, alcuna lesione del diritto di una difesa che ha liberamente optato per un rito alternativo fondato sulla conoscenza, e relativa accettazione, del compendio probatorio esistente.
Peraltro, come si fa anche notare da parte della Corte, la questione era già stata sollevata in udienza dinanzi al G.i.p. anche in modo tardivo e cioè "dopo l'ammissione del richiesto rito abbreviato" (f. 4).
Corretta, pertanto, risulta la replica della Corte alla questione rinnovata dinanzi ad essa ricordandosi che, nella specie, non è ravvisabile alcuna inutilizzabilità "patologica" e che, comunque, "utilizzabili ai fini della decisione risultano dunque gli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, di per sè stessi ampiamente sufficienti a comprovare la penale responsabilità dell'imputato; ma, per altro verso, pur utilizzabili risultano gli atti dimessi dalla parte civile prima della richiesta e dell'ammissione del giudizio abbreviato e nei confronti dei quali non è stata infine proposta dalla difesa alcuna ragione di censura".
Sgombrato, in tal modo, il campo da soverchi dubbi di utilizzabilità del materiale documentale in atti, deve rimarcarsi che le ulteriori censure difensive risultano piuttosto generiche ovvero in fatto.
Ed invero, il secondo motivo ripropone, sotto diversa angolazione, la medesima questione della inutilizzabilità assumendo esservi stato travisamento dei fatti e delle prove. In realtà, oltre a valere le considerazioni appena svolte in tema di inutilizzabilità, deve anche osservarsi la inconferenza del rilievo di travisamento visto che tale vizio è conseguente all'utilizzazione di un'informazione inesistente o all'omissione della valutazione di una prova (sez. 2, 9.6.06, Ruggiero, Rv. 234344).
Tale non è il caso in esame.
Il terzo e quarto motivo, come si accennava, sono infondati (ai limiti dell'inammissibilità) perchè introducono concetti che implicano una valutazione di tipo fattuale che qui non compete. Non rientra, infatti, nelle prerogative di questa S.C. apprezzare se le immagini ritraggano o meno l'imputato mentre strappa manifesti. La questione del riconoscimento è stata, infatti già oggetto di valutazione da parte dei giudici di merito che l'avevano risolta in modo affermativo. Dice, infatti, la Corte d'appello che "dalla documentazione acquisita, ed in particolare dai fotogrammi estratti dai supporti magnetici utilizzati per effettuare le videoriprese, era emerso che, in più occasioni, l'imputato era stato filmato mentre sulla pubblica via strappava i manifesti reclamizzanti l'apertura di una nuova palestra (omissis) affissi regolarmente negli appositi spazi pubblicitari".
L'intera vicenda, nel suo svolgimento processuale e nel progressivo formarsi del bagaglio probatorio, è stata attentamente analizzata dai giudici di appello che non hanno, però - giustamente - ravvisato alcuna violazione procedurale ed, anzi, hanno - altrettanto giustamente - rimarcato la infondatezza delle doglianze in tema di indagini difensive; tale tema è stato, infatti, definito "addirittura estraneo" (f. 5) ed è quindi corretta la conclusione che "nessuna violazione delle norme in materia si è dunque potuta realizzare e nessuna sanzione di inutilizzabilità.... può anche solo in astratto prefigurarsi.
Conseguentemente, la Corte ha pienamente avallato un giudizio di "riconoscibilità" dell'imputato nei fotogrammi in atti che, quindi, non può essere qui riproposto se non a rischio di indurre questa Corte ad un terzo grado di merito. Vale, pertanto, l'affermazione (f. 7) che "il complesso degli atti acquisiti ed utilizzabili, ed in particolare i fotogrammi, i rapporti e le dichiarazioni del B., comprovano incontrovertibilmente sia lo strappo dei manifesti sia l'identificazione nel C. dell'autore delle condotte illecite contestate".
E', dunque, di tutta evidenza che le censure di violazione di legge, mancanza ed illogicità della motivazione che il ricorrente muove con il quarto motivo, oltre ad essere generiche, sono inficiate dall'equivoco di fondo di ritenere che la verifica di questa S.C. sulla correttezza della motivazione si identifichi con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite ovvero con la possibilità di formulare un giudizio diverso da quello espresso dai giudici di merito sull'intrinseca adeguatezza della valutazione dei risultati probatori o sull'attendibilità delle fonti di prova.
Ciè è ben lungi dall'essere vero.
Il controllo della motivazione, infatti, è circoscritto alla verifica della esistenza di una spiegazione adeguata ed ancorata alle risultanze processuali delle quali non sia data una lettura manifestamente illogica.
Nè vale, a mutare il vaglio, la mera denuncia formale di violazione di legge - come avvenuto nella specie - quando, in concreto, al di là della denominazione data al vizio lamentato, non si fa altro che chiedere al giudice di legittimità una rilettura degli atti probatori per pervenire ad una diversa interpretazione degli stessi in un'ottica più favorevole alla tesi difensiva.
Infondato risulta anche il quinto motivo afferente il mancato assorbimento del danneggiamento nel delitto di cui all'art. 513 c.p..
A prescindere dal rilievo che tale profilo non risulta neppure espresso chiaramente nei motivi di appello, si nota, tuttavia, che la Corte vi ha implicitamente replicato quando ha posto l'accento sul fatto che il delitto di cui all'art. 513 c.p. è di pericolo sì che è sufficiente rilevare che "la condotta del prevenuto fu senz'altro diretta a turbare (e cioè ad alterarne il normale svolgimento) l'attività commerciale della persona offesa". Ciò solo bastava, quindi, ad integrare quella fattispecie la cui realizzazione può avvenire attraverso condotte violente o fraudolente. Non è detto, però, che, quando vi è violenza necessariamente vi sia anche danneggiamento. Perciò se, come nella specie, la condotta di messa in pericolo sia avvenuta con mezzi violenti che, di per sè, integrano gli estremi del danneggiamento, si impone la contestazione, in concorso anche del reato di cui all'art. 635 c.p.
Ad analoghe conclusioni reiettive conduce la disamina del sesto motivo a proposito dell'asserita assenza, nella specie, di una finalità di impedire o turbare una attività che non sarebbe stata ancora iniziata.
Nuovamente, sul punto, la replica dei giudici di merito è chiara e lapidaria nel ricordare che è "pacifico che l'attività di gestione di una palestra sportiva rientri nell'esercizio del commercio.... (ed è) altrettanto pacifico che l'attività della palestra era in corso di svolgimento al tempo del danneggiamento dei manifesti protrattosi fino alla fine del novembre del 2002" (f. 6).
Nel respingere il ricorso, segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Visti gli artt. 615 e seg. c.p.p. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella pubblica udienza, il 23 settembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2010

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