Ord. forense

ORD. FORENSE - Marini, La legalità non è un rischio (e non deve diventarlo).

Scritto da Avv. Salvatore Frattallone. Pubblicato in Ordinamento forense


LA LEGALITÀ NON È UN RISCHIO. La responsabilità nelle professioni legali

(editoriale di Alarico Mariani Marini, Coordinatore della Scuola Superiore dell'Avvocatura, Fondazione del C.N.F., 20.03.2014)

Il rischio della illegalità.
ignoranza della legge nella sua tradizionale inescusabilità, seppure temperata dalla saggezza dei giudici costituzionali, è pur sempre un rischio cui è esposto il cittadino comune. Un rischio che è accentuato da testi di legge sempre più ambigui e contraddittori, anzi in moltissimi casi volutamente tali per scelta del legislatore di rinviare alla sede interpretativa, di norma giurisprudenziale, la possibilità di chiarire quell'equivocità (Zaccaria).

Inoltre le leggi sono prodotte per regolare situazioni determinate, ma sono anche destinate a risolvere nuove e diverse situazioni e ciò richiede adeguamenti affidati alla discrezionalità di chi le interpreta e le applica. In questo risiede il rischio di una illegalità spesso inconsapevole al quale potrebbero porre rimedio, oltre ad un più competente e accurato legislatore, una diffusa cultura dei diritti e dei doveri e un sistema sociale di promozione della legalità, per sventura oggi assenti. Sono pertanto necessariamente chiamate ad operare in questa condizione di esposizione al rischio quelle professioni il cui compito è di consigliare ed assistere chi si trovi nella necessità di stabilire, o anche di ristabilire, un corretto rapporto con la legge. Ad esse spetta quella funzione pubblica che in un sistema democratico e in uno stato di diritto è assegnata alle professioni liberali regolamentate che, seppure in diverso grado, sono comunque sempre investite della responsabilità di coniugare la difesa di interessi particolari privati con la tutela dell'interesse generale della collettività al rispetto della legalità. Ma poiché non viviamo nella repubblica ideale della Città del Sole, ma sotto cieli ambigui e nebbiosi si può affermare che il cittadino sia veramente protetto dal rischio della illegalità? e che questo rischio, nella sua temibile evoluzione in una responsabilità penale, non finisca per investire anche quelle professioni alle quali il cittadino si rivolge per essere guidato nei percorsi impervi della legge? A queste domande hanno tentato di dare risposte avvocati, notai, commercialisti e consulenti del lavoro in un recente incontro con il quale le istituzioni formative delle rispettive professioni hanno avviato una collaborazione di ricerca e di studio. L'incontro aveva come tema il rischio penale nelle professioni liberali anche in relazione al rapporto tra tali professioni e la società.

La legge oscura e il rischio penale.
Un osservatore superficiale potrebbe opporre che il problema non sussiste in quanto il rischio, se grava sul cittadino a causa di quella illegalità inconsapevole nella quale può essere coinvolto, non lo dovrebbe correre il professionista esperto della legge al quale ci si rivolge, o ci si dovrebbe rivolgere proprio allo scopo di agire legalmente. Tuttavia i ruoli non sono nella realtà così nettamente e ottimisticamente definiti. Il sistema normativo, si è detto, è complesso, farraginoso e il testo di legge non sempre è di facile comprensione e perciò l'interpretazione delle norme per gli spazi ampi di discrezionalità che richiede è suscettibile di vari e spesso divergenti orientamenti, e l'affidabilità di un consolidato indirizzo giurisprudenziale richiede tempi lunghi, e anche lunghissimi. Inoltre non sempre si persegue un criterio che potremmo definire di precauzione, in quanto l'interesse privato spesso recalcitra rispetto alla prospettiva di scegliere la soluzione che eviti il rischio dell'illegalità in quanto percepita meno vantaggiosa. Resta comunque il fatto che il rischio del sistema in ogni caso grava sempre e soltanto sul cittadino, anche se in casi gravi, ma solo in questi, il rischio penale può coinvolgere anche il professionista che lo assiste. Si tratta tuttavia per quest'ultimo di un rischio professionale che potrebbe assumere anche rilevanza penale non per l'errore nella interpretazione di una legge, ma per la scelta consapevole dell'alea di perseguire un fine che reca vantaggio, ma che potrebbe essere giudicato illecito quando, ma non solo, una disposizione di legge renda confusi i confini tra lecito e illecito; e quindi un rischio assai circoscritto e comunque evitabile con una condotta coerente ai canoni che devono regolare la prestazione professionale. Nel dibattito sul tema sono emerse posizioni divergenti, anche per la tendenza a volte impropriamente enfatizzata a trasformare i casi di difficile esercizio dei doveri da parte dei cittadini in un indirizzo del legislatore diretto a penalizzare le categorie professionali che li assistono. In tale mondo l'interesse generale al rispetto della legalità viene ridotto e mortificato nell'ottica di un interesse particolare. Correttamente pertanto l'incontro aveva inquadrato il tema del rischio penale del professionista legale nel rapporto tra professioni liberali e società.

La responsabilità sociale nelle professioni legali.
Nel rapporto con la società si colloca propriamente quella responsabilità verso la collettività del professionista, sia esso avvocato, notaio o commercialista. Una responsabilità ora assurta a principio generale del diritto a seguito del riconoscimento dell'efficacia giuridica della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, come si legge nel Preambolo di quel documento; principio che consiste nel porre, a fronte del godimento dei diritti inviolabili di ogni persona, i corrispondenti doveri di tutelare tali diritti verso gli altri e verso la società. Pertanto il dovere di rispetto della legalità rappresenta la condizione essenziale per la tutela dei diritti propri e degli altri. Per le professioni legali questa responsabilità sociale, analoga alla responsabilità sociale dell'impresa (RSI) posta sin dagli anni Novanta dalle N.U. a base di codici etici delle imprese multinazionali per il rispetto di regole etiche fondamentali, assume più precisi contenuti in quanto si concretizza nel dovere di coniugare la tutela dei diritti della parte consigliata o assistita con i diritti della collettività, essendo questa sinergia la condizione per la effettività dello stato di diritto in una società democratica. Questo e non altro dà un senso alla rivendicazione da parte di queste professioni della rilevanza pubblica insita nel proprio ruolo. Il riconoscimento di una responsabilità sociale delle professioni legali pone anche il problema del rapporto tra etica professionale e deontologia. La nozione di etica, infatti, si estende oltre la regolamentazione deontologica interna per comprendere principi e norme sovraordinati quali quelli costituzionali, delle Carte dei diritti umani e fondamentali, e di quanto è considerato rilevante dalla cultura giuridica e dal senso morale e di giustizia della comunità. Non sono pertanto soltanto norme etiche dirette ai membri delle professioni, ma anche alla società e alla pubblica opinione in quanto esprimono la visione che le stesse professioni hanno dei doveri e del ruolo all'interno dell'ordine costituzionale (G. C. Hazard). Deontologia ed etica professionale si pongono pertanto in questa reciproca relazione.

I codici deontologici attuali.
Se si considera la deontologia attualmente codificata nelle professioni liberali non si può dire che rifletta una concezione moderna di etica professionale quale è elaborata dagli studi in materia ed è anche oggetto di esplicite enunciazioni nelle carte dei principi delle professioni europee. Ad esempio, il codice di deontologia degli avvocati europei afferma espressamente doveri verso la società "per la salvaguardia dei diritti dell'uomo nei confronti dello Stato e degli altri poteri". Doveri ignorati dalla recente legge sull'ordinamento forense ed anche nell'ultima versione del codice deontologico degli avvocati. Anche i contenuti dei codici attuali di altre professioni legali sono egualmente circoscritti entro una visione di deontologia tradizionale e datata, che contempla esclusivamente i doveri nascenti dal rapporto con la parte assistita e con i soggetti coinvolti in tale rapporto, con generici riferimenti all'interesse pubblico e al rilievo sociale delle professioni ristretti nell'ovvio dovere di assicurare al cittadino una qualificata e corretta prestazione. Una visione che condiziona anche i contenuti dell'essenziale dovere di indipendenza, che viene declinato quale mero divieto di incompatibilità e di conflitto di interessi senza riferimento ai condizionamenti derivanti dai poteri esterni al rapporto professionale, ben più rilevanti in paesi occidentali dominati da forti poteri economici e finanziari. Si è dunque ancora lontani dal considerare, come ha osservato Amartya Sen, che una cosa è agire nell'interesse proprio o di alcun altro e altra cosa è agire nell'interesse di tutti gli altri. È pertanto auspicabile che si sviluppi nelle professioni legali una riflessione aperta ai valori e ai principi che oggi sono alla base del sistema del diritto, dei diritti e dei doveri nella società europea, e ci si liberi rapidamente da un tecnicismo agnostico e fine a se stesso, ancora ispirato alla ottocentesca tutela del decoro e del prestigio della corporazione.

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