Ord. forense

ORD. FORENSE - MP, Le nuove frontiere della professione di avvocato, tra deontologia e mercato.

Scritto da Avv. Salvatore Frattallone. Pubblicato in Ordinamento forense

Avvocatura

Le nuove frontiere della professione di avvocato, tra deontologia e mercato.
di Maria Paola Mastropieri (Giunta Nazionale AIGA)

Mondoprofessionisti.eu, 22.10.2009

Nelle ultime settimane abbiamo assistito al proliferare di interventi, più o meno critici, di soggetti istituzionali, corporativi e associativi, sulla riforma forense, in discussione alla Commissione giustizia del Senato. E’ di qualche settimana fa la lettera inviata da Confindustria al Governo per contestare alcuni aspetti del testo di riforma dell’Ordinamento forense, quali la reintroduzione delle tariffe minime obbligatorie, l’ampliamento delle riserve legislative agli avvocati, il limite quinquennale di validità della provvisoria abilitazione professionale dopo il superamento dell’esame di Stato in assenza dello svolgimento in concreto della professione. Secondo l’associazione degli imprenditori, si tratterebbe di limiti alla liberalizzazione della professione, contrari ai principi di libera concorrenza e competitività, siccome ostacoli alla scelta, economicamente più conveniente, delle imprese di non richiedere consulenze ad avvocati, ma di continuare ad avvalersi di risorse interne o di altre figure professionali.  Gli avvocati in Italia hanno raggiunto ormai il vertiginoso numero delle 220.000 unità e per il 65% sono costituiti da giovani infra 45enni. Non si sta parlando, pertanto, di sterile tutela di un ceto professionale, a torto da taluni ritenuto privilegiato, bensì di dare stabile disciplina ad un mercato ormai globalizzato. Dopo il periodo delle promesse da parte della classe politica è giunto il tempo che il parlamento approvi il progetto di legge di riforma della professione forense.

Certo è che la disciplina, come prevista, costituirà la nuova “cornice” di riferimento dell’attività dei futuri avvocati italiani e che, più che un punto di arrivo, dovrà costituire un punto di partenza del nuovo statuto dell’avvocato moderno e competitivo. Rivisitato, anche alla luce dell’esperienza europea, soprattutto riguardo a quegli aspetti organizzativi che non possono trovare posto all’interno di una disciplina generale. In questo senso, per assicurare una maggiore “competitività” della categoria, potrebbe essere utile una riflessione scevra da retaggi ideologici ed aperta a considerare nuove forme di organizzazione. In Francia, in Germania, nel Regno Unito, e da ultimo anche in Spagna, sia il praticante che l’avvocato che non vogliano esercitare la libera professione possono diventare dipendenti di uno studio legale e percepire uno stipendio, con prospettive di lavoro più stabile, di carriera e di crescita professionale. Sulla scorta delle esperienze degli altri paesi europei, anche nel nostro paese, sono maturi i tempi per disciplinare, accanto alla figura dell’Avvocato libero professionista, la figura dell’Avvocato collaboratore dello Studio Legale, che operi nell’ambito di un rapporto di lavoro para-subordinato, con esclusiva attribuzione della trattazione degli affari legali dello Studio Legale, agendo nel rispetto della deontologia forense, della riservatezza, della formazione continua, e secondo i principi di autonomia e indipendenza di giudizio intellettuale e tecnica nelle valutazioni giuridiche rese. Si tratterebbe, peraltro, di disciplinare un fenomeno in realtà già esistente: gli stessi dati forniti dalla Cassa di previdenza evidenziano che per alcune decine di migliaia di avvocati (soprattutto giovani e donne) il volume di affari corrisponde al reddito dichiarato, in assenza, quindi, di spese di organizzazione. Questa apertura consentirebbe agli studi legali italiani, organizzati al loro interno in modo tale da fornire prestazioni legali maggiormente specialistiche, di inserirsi nel mercato quali soggetti economici forti ed autonomi. In effetti, il disegno di legge attualmente all’esame del parlamento disciplinava, almeno nella sua originaria versione, al comma 4 dell’art. 13, l’ipotesi dell’avvocato che si avvale della collaborazione continuativa di altri avvocati e regolava il diritto dei collaboratori ad avere riconosciuto un adeguato compenso per l’attività svolta, commisurato all’effettivo apporto dato nella esecuzione delle prestazioni, in tal modo elevando al rango di obbligo giuridico quanto è già dovere deontologico. Ebbene, il testo proposto dal Comitato ristretto della Commissione Giustizia del Senato esclude, invece, la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato quando si è in presenza di una collaborazione, anche continuativa, tra avvocati. Addirittura, nessun riferimento ad una giusta retribuzione. La scelta del legislatore non può non lasciare perplessi, tanto più se si pensa che una regolamentazione dei rapporti di collaborazione tra avvocati è chiesta dalla intera categoria. Si fatica, quindi, a comprendere quale sia la ragione sottesa ad una decisione, altamente penalizzante, ancora una volta, per i più giovani. Occorre comunque che anche all’interno dell’avvocatura italiana si apra un dibattito su queste questioni, affinché le scelte decisionali siano consapevoli e lungimiranti; la conservazione dell’attuale sistema, infatti, pregiudica irreversibilmente un mercato professionale, già messo in ginocchio da un sistema giudiziario in evidente difficoltà. L’apertura verso nuove forme di organizzazione, come quelle individuate, consentirebbe di riequilibrare e di migliorare lo sviluppo economico degli avvocati italiani e la formazione di un ceto professionale forense più “competitivo e competente”, in linea con gli standard di altri paesi europei. Ed è anche del tema dell’Avvocato competitivo e competente che tratterà il Congresso Straordinario dell’Associazione Italiana Giovani Avvocati, dal titolo “La giustizia che compete” che si terrà a Genova il 23 ed il 24 ottobre 2009.

 

Stampa