Penale

PENALE - Riproposizione in dibattimento di patteggiamento già rigettato

Patteggiamento

Ci si chiede se sia possibile ripresentare, avanti ad altro giudice dibattimentale, l'Istanza di applicazione della pena, ove la stessa sia stata già rigettata dal primo giudice del dibattimento.
La soluzione della questione richiede l'analisi delle norme del codice di rito penale relative in parte qua al patteggiamento e la valutazione del susseguirsi della disciplina sul punto, così come interpretata da dottrina e giurisprudenza.
Prima della novella del ’99, dottrina e giurisprudenza erano concordi nel ritenere ammissibile la “reiterazione” dell’istanza di patteggiamento e ciò, indipendentemente dal fatto che il rigetto fosse intervenuto in quella stessa o in una diversa fase processuale.

Tale assunto si fondava, da un lato, sulla mancanza di una norma di legge da cui desumere un principio di “non riproponibilità” della richiesta di patteggiamento e, dall’altro, sull’espressa previsione dell’art. 446, co. IV, C.P.P. (che, consentendo alla parte, che lo avesse in precedenza negato, di prestare il proprio consenso, implicitamente ammetteva la possibilità di una nuova istanza; cfr. Cassazione penale, sez. VI, 04.03/24.06.1998, n° 7483).
Con riferimento al contenuto della nuova proposta, la giurisprudenza aveva più volte precisato che questa dovesse essere necessariamente diversa da quella rigettata (cfr., per tutte, Cassazione penale, sez. V, 19.02.1992, n° 5154).
Tale tesi, peraltro, era stata avvallata anche dalla Consulta, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di una disciplina che, secondo l’assunto del giudice a quo, avrebbe finito col consentire la reiterazione indefinita della medesima richiesta di patteggiamento, così influendo sulla scelta del giudice naturale altresì intralciando l’esercizio dell’azione penale nonché il buon andamento della giustizia. La Corte Costituzionale, un decennio fa, dichiarò l’infondatezza della questione, censurando la premessa su cui si fondava l’argomento del remittente, ossia la circostanza che fosse ammissibile una reiterazione della medesima istanza. Ciò, infatti, come si legge nella sentenza, “è smentito dalla Corte di Cassazione, la quale ammette bensì che le richieste possano essere reiterate, anche nella stessa fase, ma solo se abbiano contenuto diverso […]”, pertanto “il potere di proporre utilmente una determinata richiesta si esaurisce con la pronuncia su di essa” (cfr. Corte Costituzionale, 02./16.12.1993, n° 439). Ciò, beninteso, limitatamente alle ipotesi di rigetto da parte del giudice e non, invece, nel caso di dissenso da parte del P.M.: in quest’ultimo caso, infatti, nulla quaestio a fronte di una nuova istanza avanzata dall’imputato, avente il medesimo contenuto della precedente.
Le modifiche introdotte dalla L. n° 479/99, ad una prima lettura, sembrerebbero non aver mutato, sotto questo profilo, il quadro normativo e, pertanto, dovrebbe continuare a considerarsi ammissibile la possibilità di reiterare la richiesta di patteggiamento, precedentemente rigettata.
Anche di recente, la Cassazione, invero, è intervenuta sulla questione, confermando l’orientamento ante riforma, statuendo che “nulla impedisce che dopo il rigetto di una prima richiesta di applicazione della pena da parte del giudice del dibattimento, a una successiva udienza cui il dibattimento sia stato rinviato le parti si accordino per una diversa richiesta davanti a un diverso giudice, sempre che ciò avvenga (come nella specie), prima dell’apertura del dibattimento” (cfr. Cassazione penale, sez. VI, 08.03/04.07.2011, n° 26058).
Purtuttavia, va segnalato un orientamento contrario, che trova espressione nella Sentenza di seguito riportata, che, sulla base di una disposizione introdotta dalla legge Carotti (n° 479/99), nega la possibilità di reiterare la richiesta di patteggiamento, rigettata dal giudice del dibattimento, davanti ad altro giudice cui il processo sia stato assegnato a seguito dell’incompatibilità del primo.
In tale pronuncia, infatti, gli “ermellini”, richiamando i lavori preparatori della L. n° 479/99, hanno ricordato come fosse centrale - per il legislatore - scongiurare il rischio di paralisi, conseguente all’incompatibilità che, di volta in volta, avrebbe colpito i giudici chiamati a decidere sul patteggiamento. Questo pericolo era stato solo parzialmente risolto (dalla sopra citata Sentenza della Corte Costituzionale) imponendo la necessità di un diverso contenuto per la nuova istanza e, per neutralizzarlo, era stato, quindi, inserito il terzo periodo nell’art. 448, co. 1, C.P.P, secondo cui “la richiesta non è ulteriormente rinnovabile dinanzi ad altro giudice”. Con queste motivazioni, la Corte di Cassazione ha, dunque, concluso, che “correttamente, pertanto, il Tribunale prima e la Corte d’appello poi, hanno dichiarato inammissibile la richiesta di patteggiamento avanzata dal ricorrente dopo che la sua precedente era stata rigettata perché la pena era stata ritenuta non adeguata e dopo che il giudice che aveva pronunziato detto provvedimento s’era dichiarato incompatibile ed era stato sostituito” .
Peraltro, va evidenziato che anche in dottrina sono state avanzate fondate perplessità sulla compatibilità della reiterazione dell’accordo, seppur di diverso contenuto, con la ratio che ha ispirato la novella del ’99, ossia quella di evitare che la reiterazione delle richieste, determinando di volta in volta l’incompatibilità del giudice, possa dilatare eccessivamente i tempi del processo.
Tuttavia, però, è stato anche sottolineato che dalla norma de qua non si può trarre un argomento decisivo per negare la possibilità di riproporre una nuova istanza di patteggiamento, qualora la precedente sia stata rigettata in limine litis, poiché, in realtà, il divieto (introdotto dalla legge Carotti) concernerebbe solo la peculiare ipotesi di rinnovazione della medesima istanza di applicazione della pena e non il caso di riproposizione di una diversa istanza”.
Per comprendere quest’ultimo argomento va fatto un breve cenno ad un’altra modifica, introdotta dalla legge Carotti, al co. 1 dell’art. 448 C.P.P: tale disposizione, al secondo periodo, stabilisce che “nel caso di dissenso da parte del pubblico ministero o di rigetto della richiesta da parte del giudice per le indagini preliminari, l’imputato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, può rinnovare la richiesta e il giudice, se la ritiene fondata, pronuncia immediatamente sentenza.”, cui segue il su richiamato inciso “la richiesta non è ulteriormente rinnovabile dinanzi ad altro giudice”.
Si tratta di un nuovo istituto che, considerata la retrocessione all’udienza preliminare del termine finale per chiedere l’applicazione della pena, eccezionalmente ha attribuito una nuova chance all’imputato, che avesse validamente esercitato la scelta di accedere al rito speciale, poi non concretatosi per una causa indipendente dalla sua volontà.
È ovvio che la rinnovazione dell’istanza è ammissibile solo nel caso in cui l’imputato abbia già presentato, nei termini, una richiesta di patteggiamento e, infatti, la giurisprudenza, è costante nell’affermare che “l’art. 448 comma 1 […] riconosce [all’imputato] la facoltà di rinnovarla in caso di dissenso del p.m. o di rigetto da parte del giudice per le indagini preliminari, ma non quella di presentarla per la prima volta in limine iudicii” (cfr. Cassazione penale, sez. VI, 11.11/04.12.2003, n° 46783 e Cassazione penale, sez. VI, 08.05/14.09.2009, n° 20390).
Sussistono, invece, contrasti interpretativi, in relazione a due diversi profili: il contenuto dell’istanza e la necessità o meno del consenso del P.M.
Secondo un primo orientamento, la “rinnovazione” della richiesta ex art. 448, co. 1, C.P.P. deve essere una “fotocopia” della precedente e non è richiesto il consenso dell’organo dell’accusa. L’intervento del giudice del dibattimento si configura quindi in tal caso, come un controllo, che peraltro deve essere immediato e deve intervenire prima dell’apertura del dibattimento, proprio per salvaguardare la funzione deflativa del rito.
Altro indirizzo interpretativo, invece, ritiene che l’istanza “rinnovata” debba essere necessariamente differente da quella anteriore e, altresì, che non si possa prescindere dal consenso del P.M., pena lo stravolgimento dell’istituto.
Il dato letterale non aiuta l’interprete. Entrambi gli orientamenti, infatti, lo utilizzano a supporto delle rispettive teorie: i fautori del “rinnovo”, inteso come reieterazione della medesima istanza, hanno definito “apodittico” l’assunto della Corte Costituzionale; quest’ultima, per contro, ha concluso per la tesi opposta, affermando che “il termine “rinnovare” sembra evocare il significato di “nuova richiesta” (cfr. Corte Costituzionale, ord. 21.12.2001, n° 426.
Lo stesso vale per l’argomento della ratio che ha ispirato il legislatore. Coloro che ritengono inammissibile una richiesta con contenuto diverso osservano come tale interpretazione sia l’unica coerente con la modifica introdotta dalla novella del ’99 (che, con intento deflativo e anticipando il momento preclusivo, ha voluto evitare la presentazione dell’istanza “fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento”). Diversamente, si sostiene, s’incentiverebbe la formulazione di proposte pretestuose, finalizzate a tenere aperta la possibilità di accedere al rito speciale al dibattimento, eludendo, di fatto, i termini perentori dettati dall’art. 446, co. 1, C.P.P.. Di contrario avviso, l’altro orientamento, che evidenzia come proprio la finalità deflativa del patteggiamento verrebbe arrestata dall’impossibilità di poter formulare un diverso accordo negli atti introduttivi al dibattimento.
L’interpretazione finora fornita dalla giurisprudenza è sintomatica della propensione dei giudici a favorire il più possibile la conclusione del processo con il rito speciale, incrementando le occasioni per l’imputato di accedervi. Infatti, la Suprema Corte ha stabilito che “il termine “rinnovare” di cui all’art. 448 c.p.p., comma 1, secondo periodo, non può essere interpretato nel senso che la riproposizione della richiesta di patteggiamento sia formulata in termini identici ad altra precedente, ma evoca il significato di “nuova richiesta”” (cfr. Cassazione penale, sez. VI, 19.01/03.06.2010, n° 20794 e Cassazione penale, sez. VI, 28.05/14.07.2009, n° 28641), con ciò allineandosi all’interpretazione suggerita dalla Corte Costituzionale nel 2001.
Ne deriva la necessità del consenso del P.M., che altrimenti sarebbe espropriato “del suo potere di concorrere, in condizioni di parità con l’imputato, alla scelta del rito, e sacrificherebbe l’esercizio del suo diritto alla prova in dibattimento” (cfr. Corte Costituzionale, ord. 21.12.2001, n° 426; Cassazione penale, sez. VI, 11.04/03.08.2007, n° 31949 e Cassazione penale, sez. VI, 23.10/04.11.2009, n° 42374).
Nonostante la recente giurisprudenza di legittimità sembri indirizzata nel senso dell’ammissibilità di un’istanza presentata ex novo, la questione è però ancora fortemente controversa tra i giudici di merito, non meno che in dottrina: l’istituto della “rinnovazione” è, insomma, tutt’altro che pacifico.
La breve digressione svolta su questo istituto permette di comprendere le problematiche interpretative poste dall’inciso contenuto nel terzo periodo dell’art. 448, co. 1, C.P.P. (secondo cui “la richiesta non è ulteriormente rinnovabile dinanzi ad altro giudice”).
In particolare, parte della dottrina ravvisa in tale disposizione una manifestazione della volontà del legislatore volta a risolvere il problema della “strumentalizzazione del rito”, utilizzato per ritardare il iudicium, a seguito della continua riproposizione di istanze di patteggiamento e della conseguente incompatibilità del giudice chiamato a pronunciarsi.
Tra coloro che aderiscono alla tesi per cui “rinnovare” avrebbe il significato di reiterare la medesima istanza, v’è però chi considera - per la collocazione e l’utilizzo del medesimo vocabolo - l’espresso divieto come un aspetto peculiare della disciplina della “rinnovazione” e, pertanto, non lo ritiene applicabile alla diversa fattispecie della presentazione di un diverso accordo.
Viceversa, aderendo all’orientamento secondo cui sarebbe sempre possibile effettuare una diversa richiesta del rito premiale, i confini tra i due istituti sfumerebbero e, pertanto, ben potrebbe la nuova disposizione essere interpretata come una norma di carattere generale.
E, in tal senso, in dottrina è stato sottolineato che l’inciso de quo costituirebbe la risposta legislativa alla lacuna normativa che aveva indotto la giurisprudenza, nella disciplina ante riforma, a considerare sempre possibile la riproposizione dell’istanza di patteggiamento, sebbene con contenuto diverso.
In giurisprudenza, invece, si registra un contrasto e sarebbe, quindi, auspicabile un repentino intervento delle Sezioni Unite.
Da un lato, c’è l’indirizzo interpretativo che fa capo alla Sentenza qui di seguito richiamata che, analizzando la problematica alla luce dell’inciso dell’art. 448, co. 1 C.P.P., esclude la possibilità di riproporre l’istanza di patteggiamento per più di una volta davanti al giudice del dibattimento.
Dall’altro, l’orientamento che, invece, senza tener conto della novità legislativa introdotta dalla legge Carotti, continua (inopinatamente) a motivare la possibilità di riproporre nuove istanze di patteggiamento sulla base dell’assenza di disposizioni processuali contrarie.
Si segnala, peraltro, che, qualora venisse accolta tale ultima posizione,  si porrebbe un ulteriore problema di coordinamento con quella giurisprudenza (che sembra ormai destinata a consolidarsi) secondo cui il “rinnovo” deve essere inteso come la riproposizione di un’istanza diversa.

Cass. Pen., Sez. I, 22.04/04.05.2010 n° 16889

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHIEFFI Severo, Presidente
Dott. ZAMPETTI Umberto, Consigliere
Dott. DI TOMASSI Maria Stefania, Consigliere
Dott. CAVALLO Aldo, Consigliere
Dott. BONITO Francesco M., Consigliere
ha pronunciato la seguente:

Sentenza

sul Ricorso proposto da: P.G., nato il (omissis); avverso la Sentenza pronunziata in data 24.07.09 dalla Corte d'Appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto; Visti gli atti, la sentenza impugnata, il ricorso; Udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. DI TOMASSI Maria Stefania; Udito il Sostituto Procuratore Generale Dott. Cedrangolo Oscar, che ha concluso chiedendo la declaratoria d'inammissibilità del Ricorso.

In fatto
1. Con la Sentenza in epigrafe la Corte d'Appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, confermava la Sentenza 25.08.08 del Tribunale di Taranto, nella parte in cui aveva dichiarato P.G. responsabile del reato continuato di ricettazione e violazione della legge armi, e, accogliendo il solo motivo sul trattamento sanzionatorio, riduceva la pena a tre anni di reclusione e € 650,00 di multa.
2. Ricorre l'imputato personalmente e chiede l'annullamento della Sentenza impugnata denunziando violazione di legge con riguardo alla declaratoria d'inammissibilità della sua seconda richiesta di applicazione della pena (dinanzi al giudice del dibattimento che aveva sostituito quello dichiaratosi incompatibile dopo il rigetto della prima richiesta) e al rigetto del motivo d'appello sul punto.

In diritto
1. Osserva il Collegio che il Ricorso appare infondato.
Dopo la Sentenza Corte Cost., n° 186 del 1992, che aveva comportato l'incompatibilità al giudizio del giudice del dibattimento che aveva respinto la richiesta di patteggiamento, il problema relativo alla possibilità, per le parti, di reiterare indefinitamente la medesima richiesta di "patteggiamento" o richiesta sostanzialmente analoga, così provocando uno stallo processuale era stato già definito dalla Corte Costituzionale con la Sent. n° 439 del 1993, escludendo tale possibilità (v. pure Ord. n° 199 del 1995 e n° 231 del 1997).
I Lavori preparatori della L. n° 479 del 1999 richiamano appunto tale problema, e il rischio di paralisi conseguenti, per effetto della sentenza n° 186 del 1992 (espressamente richiamata), alla possibilità di reiterare la richiesta dopo che precedente giudice l'ha rigettata, a giustificazione dell'inserimento nell'art. 448, co. 1, C.P.P., dell'inciso "la richiesta non è ulteriormente rinnovabile dinanzi ad un altro giudice", che espressamente, si diceva "mira ad evitare" detti effetti paralizzanti (Atti parlamentari, Senato, DDL 3807-B, Commissione Giustizia in sede referente, seduta 510 del 30.11.1999, p. 65 stampato).
Correttamente, pertanto, il Tribunale prima e la Corte d'Appello poi hanno dichiarato inammissibile la richiesta di patteggiamento avanzata dal ricorrente dopo che la sua precedente era stata rigettata perchè la pena era stata ritenuta non adeguata e dopo che il giudice che aveva pronunziato detto provvedimento s'era dichiarato incompatibile ed era stato sostituito (potendosi solo aggiungere che a quanto dice lo stesso ricorrente la seconda richiesta di applicazione della pena proponeva addirittura un trattamento sanzionatorio inferiore a quello già ritenuto inadeguato).
2. Conclusivamente il Ricorso non può che essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il Ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 22.04.2010.
Depositato in Cancelleria il 04.05.2010

Stampa Email

I più letti