Penale

PENALE – File di pornografia minorile e sequestro probatorio operato dalla p.g. ex art. 600-ter c.p.

Scritto da Avv. Salvatore Frattallone. Pubblicato in Penale

sequestro di p.c. da parte della PolPost

Per la Cassazione è utilizzabile, nel procedimento per il delitto di detenzione di materiale pedopornografico (art. 600-quater c.p.), il sequestro probatorio operato dalla polizia giudiziaria di un personal computer contenente tale materiale, seppure effettuato a seguito di autorizzazione giudiziale alla perquisizione ex art. 14 L. n° 269/1998 in relazione al diverso reato di pornografia minorile, in quanto, ricadendo su una cosa pertinente al predetto reato, costituisce atto dovuto.

Con la decisione qui di seguito riportata, con cui è stato rigettato il ricorso avverso la sentenza resa dalla Corte d’Appello di Milano il 16.04.10, s’è infatti ribadito l’orientamento emerso con due precedenti decisioni, Cass. Pen. n° 19887/09 e Cass. Pen., sez. III, 08.06.04 n° 29496.
In senso assai difforme, invero, erano state pronunciate altre tre sentenze : Cass. Pen., Sez. III, n° 13500 del 28.01/13.04.05, Cass. Pen., Sez. III, n° 37074 del 05.05.04, Cass. Pen. n° 24000/04.
Con tale ultima serie di pronunce, invero, gli “ermellini” avevano statuito (per tutte, cfr. Cass. Pen., Sez. III, n° 37074 del 05.05.04) - in fattispecie in cui il ricorrente aveva, fra l’altro, eccepito la “inutilizzabilità delle prove acquisiste a seguito dell'attività di indagine espletata dall'agente provocatore ai sensi della L. n. 269 del 1998, art. 14. Si osserva che la sentenza impugnata, dopo avere correttamente affermato che l'attività di indagine effettuata ai sensi della disposizione citata ha carattere assolutamente eccezionale e non può essere applicata ad ipotesi delittuose diverse da quelle previste dalla norma per effetto di interpretazione analogica o estensiva, ha ritenuto utilizzabili le prove acquisite tramite il cosiddetto agente provocatore, in base al rilievo che la originaria contestazione riguardava la fattispecie di cui all'art. 600-ter c.p., co. 3, pur avendo la stessa sentenza riconosciuto che la contestazione effettuata dal P.M. era assolutamente ultronea rispetto alle risultanze probatorie acquisite tramite il predetto agente provocatore”  - segnatamente come segue:
- da un lato, che “l'attività di contrasto che, ai sensi della L. 3 agosto 1998, n. 269, art. 14, comma 1, gli organi di polizia giudiziaria possono esercitare, previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria, per la repressione di determinate fattispecie criminali, particolarmente aberranti, può essere utilizzata - come previsto dalla norma - solo per acquisire elementi di prova in ordine a quei delitti che sono espressamente indicati dal citato art. 14, tra i quali non rientra l'ipotesi di cui all'art. 600 ter c.p., comma 4. Sul punto è stato esattamente osservato nella sentenza impugnata che tale attività, "in tanto può ritenersi consentita e non in contrasto con norme costituzionali, in quanto sia appunto strettamente limitata a casi eccezionali e soggetta ad una rigida disciplina che ne stabilisca rigorosamente i limiti e le procedure". Si tratta, invero, di un'attività di indagine particolarmente invasiva della sfera privata del cittadino, consentita dalla legge per la repressione di gravissimi reati commessi in danno di minori. Alla norma citata, pertanto, deve essere attribuita natura assolutamente eccezionale, sicché la stessa si sottrae a qualsiasi possibilità di applicazione analogica o estensiva. Ne consegue che le prove acquisite mediante l'attività di indagine svolta da un cosiddetto agente provocatore non possono essere utilizzate nei procedimenti per reati diversi da quelli previsti dalla citata L. n. 269 del 1998, art. 14 (cfr. sul punto negli stessi sensi in relazione a fattispecie analoga Sez. III, 24000/04, rv. 228693)”:
-    dall’altro lato, che “secondo l'indirizzo interpretativo assolutamente prevalente di questa Suprema Corte, la nullità degli atti di indagine effettuati al di fuori dei casi consentiti dalla L. n. 269 del 1998, art. 14, co. 1, non si riverbera sulla perquisizione successivamente eseguita e sul sequestro del corpo del reato o di cose ad esso pertinenti. È stato, infatti, precisato da questa Corte che "Qualora l'"attività di contrasto" prevista, con riguardo a determinati reati, dalla L. 3 agosto 1998, n° 269, art. 14, sia effettuata in assenza della prescritta autorizzazione dell'autorità giudiziaria, l'eventuale nullità degli atti compiuti e l'inutilizzabilità delle risultanze investigative ai fini della accertamento della penale responsabilità non potrebbero comunque riflettersi sulla ritualità del sequestro delle cose costituenti corpo di reato o pertinenti al reato". (sez. V, 21778/04, rv.228090). Ed inoltre: "In relazione al delitto di detenzione di materiale pedopornografico, sebbene non sia ammissibile l'impiego dell'attività di contrasto a mezzo di agente provocatore disciplinata dalla L. n° 269 del 1998, art. 14, è tuttavia legittimo e utilizzabile come prova il sequestro probatorio del corpo di reato, o delle cose pertinenti al reato, eventualmente rinvenuti a seguito di tale attività". (sez. III, 29496/04,rv. 229804; sostanzialmente conf. Sez. III, 41957/05, rv. 232747). Non sì ravvisano ragioni per discostarsi dal citato indirizzo interpretativo, in quanto lo stesso costituisce puntuale applicazione del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con riferimento al sequestro del corpo del reato o di cose ad esso pertinenti (S.U. 16.05.96, n° 5021, rv.204643)”.
Conseguentemente, se è pacifico (come stigmatizzato da Cass. Pen., Sez. III, n° 13500 del 28.01/13.04.05) che “acquistare e comunque disporre di materiale pedopornografico configura un reato (art. 600-quater c.p.) che in via eccezionale non è punibile solo per i soggetti (ufficiali di p.g. specializzati per la repressione dei delitti sessuali o per la tutela dei minori, organo ministeriale per i servizi di telecomunicazione , nonché per gli scopi, alle condizioni e nei modi previsti dal suddetto art. 14. Si tratta di un'attività di contrasto di alcuni specifici delitti in materia di prostituzione minorile che può essere condotta "sotto copertura" e che sarebbe illecita, ma può essere eccezionalmente autorizzata dall'autorità giudiziaria al fine di debellare un fenomeno criminale ritenuto particolarmente odioso e socialmente intollerabile”, nondimeno “È pur vero che l'art. 14 non prevede alcuna specifica sanzione processuale per la violazione. Ma non v'è dubbio che questo è un caso scolastico di applicazione del principio generale di cui all'art. 191 c.p.p., secondo cui le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzati e l'inutilizzabilità è rilevabile, anche di ufficio, in qualsiasi stato e grado del procedimento. Proprio perché è rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, l'inutilizzabilità della prova riguarda non solo la fase del dibattimento, ma anche quella delle indagini preliminari (cfr. Cass. Pen., n° 2062 del 19.2.94, ud. 12.1.94). Ne deriva che il contratto di accesso e di iscrizione al sito pedopornografico non poteva essere utilizzato per verificare il fumus delicti in base al quale è stato disposto il sequestro probatorio a carico dell'indagato. Si tratta quindi di un sequestro illegittimo perché disposto in assenza dell'astratta configurabilità del reato, sicché esso va concretamente configurato come indebito mezzo di ricerca del reato invece che come normale mezzo di ricerca della prova”.

Cass. Pen., Sez. III, Sent. 24.11/28.12.10 n° 45571, rv 248767
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FERRUA Giulian, Presidente
Dott. PETTI Ciro, Consigliere
Dott. FIALE Aldo, Consigliere
Dott. AMORESANO Silvio, Consigliere
Dott. SARNO Giulio, Consigliere
ha pronunciato la seguente:

Sentenza

sul Ricorso proposto da: 1) M.M., nato il (omissis); avverso la Sentenza del 16.04.10 della Corte di Appello di Milano; sentita la relazione fatta dal Consigliere Dr. Silvio Amoresano; sentite le conclusioni del P.G., dott. Guglielmo Passacantando, che ha chiesto rigettarsi il Ricorso; sentito il difensore, Avv. Girolamo De Rada, che ha concluso per l'annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste o, in subordine, per prescrizione.
OSSERVA
1) Con Sentenza in data 28.11.06 il Tribunale di Pavia, in composizione monocratica, condannava M.M., previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generi che, alla pena (sospesa) di mesi 6 di reclusione per il reato di cui all'art. 600-quater c.p. perché , al di fuori delle ipotesi previste dall'art. 600 ter c.p., si procurava o comunque disponeva di materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale di minori di anni diciotto, in particolare deteneva all'interno dell'hard disk (marca Maxtor modello D740 X-6L) n. 311 immagini ritraenti minori che mostrano i propri genitali, minori in procinto di compiere atti sessuali o minori nel compimento di atti sessuali e all'interno dell'hard disk (marca Maxtor modello Diamond Max Plus) n. 48 immagini e n. 1 filmato del medesimo tenore" (esclusa la detenzione di dodici immagini contenute nella cache di internet explorer).
La Corte di Appello di Milano, con Sentenza del 16.04.2010, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, limitava l'affermazione di responsabilità ai file indicati nel percorso C/Documenti/My Music e per l'effetto, con le già concesse circostanze attenuanti generi che, rideterminava la pena in mesi 2 e giorni 15 di reclusione, assolvendo quindi il prevenuto dalle residue imputazioni e confermando nel resto.
Dopo aver richiamato le risultanze processuali, la motivazione della Sentenza di primo grado ed i motivi di Appello, ricordava la Corte territoriale che, in parziale rinnovazione del dibattimento, era stata disposta perizia sugli hard disk in sequestro.
Riteneva, quindi, che andassero respinte preliminarmente tutte le eccezioni sollevate dalla difesa, in quanto superate ed assorbite dalla disposta perizia.
In ogni caso, pur essendo gli atti di indagine svolti in violazione dell’art. 14, co. 2,L. n. 269/1998, legittimo era il sequestro effettuato trattandosi di corpo di reato; l'estrazione dei dati contenuti in un supporto informatico costituisce accertamento tecnico ripetibile e, non, come sostenuto dalla difesa, irripetibile; che la lettura dell'hard disk sequestrato è attività di p.g., volta ad assicurare le fonti di prova, che conseguentemente nessuna nullità è ravvisabile nelle testimonianze degli operanti.
Assumeva, poi, la Corte che andava confermata la penale responsabilità dell'imputato limitatamente ai 56 files indicati da pag. 14 a pag 18 della perizia, estrapolati dal computer di cui al reperto PC01, marca Maxtor, sicuramente detenuti dall'appellante, sia perché contenuti in una cartella volontariamente creata, sia perché, in considerazione del numero di accessi e di visite, non poteva ritenersi che il programma avesse generato in automatico le immagini.
Era indubitabile, infine, che tutti i suddetti files avessero chiaro ed inequivoco contenuto pedopornografico.
2) Ricorre per Cassazione il M., a mezzo del difensore, eccependo con il primo motivo la nullità e inutilizzabilità degli atti di indagine effettuati L. n. 269 del 1998, ex art. 14.
A seguito di Ricorso con cui si lamentava che la perquisizione e il sequestro effettuati dalla Polizia Postale erano stati eseguiti senza l'autorizzazione L. n. 269/98, ex art. 14 e non da Ufficiali di Polizia Giudiziaria, la Corte di Cassazione con Sentenza n° 185 del 13.02.04 annullava con rinvio l'ordinanza del Tribunale del Riesame di Milano, dichiarando la nullità dell'attività di contrasto e degli atti successivi.
La nullità dell'attività di contrasto comportava l'inutilizzabilità di tutti gli elementi di prova così acquisiti.
Tali elementi di prova sono stati acquisiti a seguito di attività di contrasto ex art. 4 cit., che però limita la liceità di tale attività in relazione ai delitti di cui all'artt. 600-bis, 600-ter e 600-quinquies e non, quindi, per il reato di cui all'art. 600-quater contestato.
Essendo stati acquisiti a seguito di un'attività non consentita, essi sono inutilizzabili ai sensi dell'art. 191 c.p.p.
Né è sostenibile che il sequestro effettuato ex art. 253, co. 1, c.p.p., sia legittimo in quanto avente ad oggetto il corpo del reato.
Dalla perizia disposta in appello emergeva infatti che tutti i files oggetto di indagine erano stati cancellati e venivano recuperati solo a seguito di sofisticate operazioni.
Con il secondo motivo denuncia la nullità ed inutilizzabilità degli atti di indagine effettuati sui p.c. senza alcuna garanzia difensiva, pur trattandosi di accertamenti tecnici non ripetibili.
I giudici di merito, con un'operazione non consentita, hanno ritenuto di poter elevare l'accertamento effettuato dalla p.g. a perizia attraverso l'esame come teste dell'agente di p.g.
Con il terzo motivo denuncia la illegittimità dell'acquisizione delle stampe degli accertamenti effettuati dalla p.g.
Con Ordinanza in data 05.03.05 veniva disposta l'acquisizione di tali stampe quali corpo di reato.
Ma in ambito informatico costituisce corpo di reato il supporto magnetico (nel caso di specie gli hard disk dei p.c. sequestrati) su cui è memorizzata l'informazione "vietata", ma non la riproduzione della stessa.
Con il quarto motivo eccepisce la inammissibilità della prova testimoniale su atti nulli o inutilizzabili. Erroneamente il Tribunale, con la medesima Ordinanza del 05.03.05, ha ammesso la prova testimoniale degli operanti per riferire sull'attività di contrasto dichiarata nulla dalla Corte di Cassazione con la Sentenza n. 185/04 nonché la testimonianza su un accertamento effettuato in violazione dell'art. 360 c.p. ovvero inutilizzabile in assenza di contraddittorio.
Con il quinto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 192, nonché il difetto ed illogicità della motivazione.
I n° 56 files oggetto della condanna penale erano stati esaminati dal perito nominato dalla Corte di Appello, il quale non aveva reperito alcuna immagine, ma solo i metadati dei files (ovvero il nome dei file).
Non si comprende allora, vista anche la contemporanea presenza di fotografie pornografiche lecite e di contenuto lecito (su cui vi è stata pronuncia di assoluzione), perché in base solo alle intestazioni sia stata adottata pronuncia di condanna in relazione ai n° 56 file sopraindicati: né la Corte territoriale ha minimamente considerato che tali file possano essere stati scaricati involontariamente e poi cancellati.
Con il sesto motivo deduce la mancanza dell'elemento soggettivo del reato.
Un utente che indirizza la propria ricerca su internet su file di contenuto pornografico non vietato può eventualmente scaricare file di contenuto diverso (vietato o meno).
Dalle risultanze istruttorie è emerso indiscutibilmente che tutti i file oggetto del capo di imputazione (tranne uno, sicuramente non cancellato per una svista) erano stati cancellati e non erano nella disponibilità dell'utente (almeno uno dei p.c. era detenuto nel garage, con all'interno i file cancellati).
3) Il Ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
3.1) È giurisprudenza, ormai consolidata, di questa Corte che "Allorquando la perquisizione sia stata effettuata senza l'autorizzazione del magistrato e non nei "casi" e nei "modi" stabiliti dalla legge, come prescritto dall'art. 13 Cost., si è in presenza di un mezzo di ricerca della prova che non è compatibile con la tutela del diritto di libertà del cittadino, estrinsecabile attraverso il riconoscimento dell'inviolabilità del domicilio. Ne consegue che non potendo essere qualificato come inutilizzabile un mezzo di ricerca della prova, ma solo la prova stessa, la perquisizione è nulla e il sequestro eseguito all'esito di essa non è utilizzabile come prova nel processo, salvo che ricorra l'ipotesi prevista dall'art. 253, co. 1, c.p.p., nella quale il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, costituendo un atto dovuto, rende del tutto irrilevante il modo con cui ad esso si sia pervenuti" (Cass. S.U., n° 5021/96).
Più specificamente, in relazione al delitto di detenzione di materiale pedopornografico (art. 600-quater c.p.), la giurisprudenza prevalente di questa Corte, che il Collegio condivide, ritiene che sia utilizzabile il sequestro probatorio del computer contenente detto materiale, pur effettuato a seguito di autorizzazione di perquisizione in relazione alla diversa fattispecie criminosa di pornografia minorile, trattandosi di atto dovuto espletato dalla p.g. nell'ambito dei propri poteri e riguardando bene comunque pertinente al reato di detenzione suddetto" (cfr. ex multis Cass. Pen., Sez. III, n° 9887 del 18.03.09).
3.1.1) Correttamente, pertanto, la Corte territoriale ha ritenuto che il sequestro probatorio eseguito dalla p.g. sui computer fosse perfettamente legittimo ex art. 253, co. 1, c.p.p. quale corpo di reato o di cose pertinenti al reato e, come tale, potesse essere utilizzato come prova.
Del resto, ha evidenziato, la Corte di merito che già il Tribunale del Riesame (con l'Ordinanza del 12.05.04), a seguito della Sentenza di annullamento con rinvio di questa Corte richiamata dal ricorrente, aveva sottolineato che, pur essendo nulli gli atti di indagine, del tutto legittimo era il sequestro dei computer, dei 28 CD rom, 16 videocassette, 23 floppy disck, trattandosi di corpo di reato ed essendo irrilevante il modo in cui si era pervenuti al sequestro in quanto la nullità degli atti conseguenti alla iniziale attività di contrasto, mentre travolge gli atti successivi, non esclude la utilizzabilità come mezzo di prova degli oggetti sequestrati.
3.2) Sul materiale sequestrato, legittimamente utilizzabile come si è visto, è stata disposta, in parziale rinnovazione del dibattimento, dalla Corte di Appello perizia tecnica nel contraddittorio delle parti e, quindi, nel pieno rispetto delle garanzie difensive.
I risultati di tale indagine tecnica (e solo quelli) sono stati posti a base della sentenza impugnata, per cui, ineccepibilmente, la Corte di merito ha ritenuto che tutte le eccezioni di nullità sollevate dalla difesa dovessero considerarsi superate ed assorbite.
A parte il fatto che, come ha già sottolineato correttamente la Corte di merito, "non dà luogo ad accertamento tecnico irripetibile la lettura dell'hard disk di un computer sequestrato che è attività di polizia giudiziaria volta, anche con urgenza, all'assicurazione delle fonti di prova (Cass. Sez. I, n° 11503 del 25.02.09) e che "l'estrazione dei dati contenuti in un supporto informatico, se eseguita da personale esperto in grado di evitare la perdita dei medesimi dati, costituisce un accertamento tecnico ripetibile" (Cass. Pen., Sez. I, n° 11863 del 26.02.09).
3.3) Il quinto e sesto motivo sono inammissibili.
Le censure sollevate dal ricorrente non tengono conto, infatti, che il controllo demandato alla Corte di legittimità va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza alcuna possibilità di rivalutare in una diversa ottica, gli argomenti di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o di verificare se i risultati dell'interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo.
È necessario cioè accertare se nel l'interpretazione delle prove siano state applicate le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.
L'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve quindi essere evidente e tale da inficiare lo stesso percorso seguito dal giudice di merito per giungere alla decisione adottata.
Anche a seguito della modifica dell'art. 606, lett. e), c.p.p. con la L. n. 46/06, il sindacato della Corte di Cassazione rimane di legittimità: la possibilità di desumere la mancanza, contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione anche da "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame", non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare criticamente le risultanze istruttorie, ma solo quello di valutare la correttezza dell'iter argomentativo seguito dal giudice di merito e di procedere all'annullamento quando la prova non considerata o travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, n° 752 del 18.12.06).
Pur di fronte alla previsione di un allargamento dell'area entro la quale deve operare, non cambia la natura del sindacato di legittimità; è solo il controllo della motivazione che, dal testo del provvedimento, si estende anche ad altri atti del processo specificamente indicati.
Tale controllo, però, non può "mai comportare una rivisitazione dell'iter ricostruttivo del fatto, attraverso una nuova operazione di valutazione complessiva delle emergenze processuali, finalizzata ad individuare percorsi logici alternativi ed idonei ad inficiare il convincimento espresso dal giudice di merito" (cosi, condivisibilmente, Cass. Pen., Sez. II, n° 23419/07).
3.3.1) Con motivazione adeguata ed immune da vizi logici la Corte territoriale, prendendo a base gli accertamenti peritali, ha dato convincente e non censurabile spiegazione della ritenuta piena volontarietà e consapevolezza della detenzione del materiale pedopornografico.
Da un lato ha, infatti, evidenziato che i file erano contenuti in una cartella situata sul desktop, come tale volontariamente creata dall'appellante, essendo in “C/Documenti/My Music” e, dall'altro, che, tenuto conto del numero di accessi e di visite, non poteva ritenersi che il programma Win Mix avesse generato in automatico le immagini (tale evenienza può, infatti verificarsi una sola volta e non, come nel caso di specie, di immagini (jpg) viste più volte).
Quanto al contenuto pedopornografico dei file non potevano esservi dubbi, facendosi riferimento già nelle intestazioni all'età minore (yr o years old, preteen), all'attività sessuale (incest, por sex, lolita, illegal, incest, little girl, chil sex, succs man) ed alle prestazioni effettuate (lesbian, 15 years old sister love sto show, 10 yr preteen shows open cunt, incest kiddy).
3.4) Infine non può trovare accoglimento la richiesta, avanzata in sede di discussione, di declaratoria di prescrizione.
Al ricorrente risulta contestato il reato di cui all'art. 600-quater c.p., commesso in (omissis), e per tale contestazione è stato condannato.
In particolare, in ordine alla data di commissione del reato, non è stato sollevato alcun rilievo né in primo, né in secondo grado e neppure con il Ricorso per Cassazione.
Rimanendo accertata (perché non contestata, nei termini e nei modi prescritti) come data del commesso reato quella del (omissis), il termine massimo di prescrizione di anni 7 e mesi 6 non è certamente decorso alla data odierna.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 24.11.10.
Depositato in Cancelleria il 28.12.10

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