Resp. sanitaria

PENALE - È reato costituire un trust anche a beneficio dei creditori ma senza dirglielo.

TRUSTC’era una volta un amministratore di società, divenuto suo liquidatore, e c’era anche un cospicuo credito verso il fisco. Questi poi costituì un trust col suo patrimonio personale, ponendo se stesso quale "trustee", ma non comunicò neanche ai creditori che l'iniziativa era stata assunta a beneficio della massa liquidatoria. Per la Cassazione, che ha confermato la condanna irrogatagli in sede di appello ai sensi dell’art. 11 del D.L.vo n° 74\2000, non basta affatto indicare i creditori come i beneficiari dei trust. Nemmeno è sufficiente che la finalità liquidatoria del trust potesse essere conosciuta mediante una consultazione dei registri immobiliari della Conservatoria, atteso che essa, seppur indicata nell'atto costitutivo del trust, non era stata mai comunicata ai creditori sociali. Insomma, il trust è stato ritenuto in sé lecito, ma il suo utilizzo è stato qualificato come vero e proprio atto simulato di alienazione o altro atto fraudolente compiuto sui beni del debitore, idoneo ad impedire il soddisfacimento totale o parziale dei credito tributario. Trattasi di reato di pericolo, il cui oggetto giuridico è costituito dalla garanzia generica data dai beni dell'obbligato. E’ prevalso, secondo i giudici, lo scopo fraudolento della costituzione del trust e l’esclusiva finalità di sottrarre il patrimonio dei contribuente alla procedura coattiva. Del resto, è stato ritenuto sussistente il dolo generico, poiché l’imputato aveva avuto piena conoscenza del debito tributario e, quindi, il fatto è stato sanzionato il fatto che egli sia ricorso ad attività formalmente lecite ma aventi l’unica concreta conseguenza d’impedire la riscossione fiscale, difettando, nel caso di specie, ogni altro dato dimostrativo della effettiva volontà di perseguire le finalità proprie dello strumento giuridico cui aveva fatto ricorso.

 

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Suprema Corte di Cassazione
Sez. III Penale
Sentenza 08/15.04.2015 n° 15.449

[omissis] Ritenuto in fatto

1. La Corte di Appello di Milano, con Sentenza del 30.05,2013 ha confermato la decisione con la quale, in data 16.05.2012, il Tribunale di quella città aveva riconosciuto C.M. responsabile del reato di cui all'art. 11 D.L.vo n° 74/2000, perché, quale liquidatore della «C. & C. s.a.s.», al fine di evadere le imposte dirette e sul valore aggiunto, per l'importo complessivo di euro 466.953,95, costituiva fraudolentemente un trust con il fine di rendere inefficace, in tutto o in parte, la procedura di riscossione coattiva (reato commesso in Milano il 25.02.2009, data di costituzione del trust. Con la recidiva). 
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per Cassazione tramite il proprio difensore di fiducia.


2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione, ponendo in evidenza la piena legittimità del trust liquidatorio e della conseguente segregazione dei beni, facendo osservare che la coincidenza tra disponente e trustee sarebbe irrilevante, operando questi al fine di soddisfare i beneficiari. Rileva, inoltre, come nessuna disposizione imponga al liquidatore le modalità di svolgimento della liquidazione e che la scelta del trust, nel suo caso, sarebbe stata effettuata al fine di un più efficace conseguimento degli obiettivi propri della procedura liquidatoria, tanto che, come già evidenziato in una Memoria prodotta nel corso dei giudizio, l'indicazione dei beneficiari dei trust riguarda la massa dei creditori della società in liquidazione, tra i quali figura anche l'Agenzia delle Entrate. Aggiunge che la Sentenza impugnata non avrebbe indicato quali siano state le finalità illecite perseguite mediante la costituzione dei trust e che la finalità liquidatoria del trust, che la Corte territoriale avrebbe indicato come mai comunicata ai creditori sociali, sarebbe stata comunque conoscibile tramite la Conservatoria dei Registri Immobiliari.
3. Con un secondo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione, rilevando che la pubblica accusa non avrebbe dimostrato la capienza di due immobili, facenti parte del patrimonio societario, a soddisfare le ragioni di credito dell'erario nonostante l'esistenza di iscrizioni ipotecarie in favore di una banca.
4. Con un terzo motivo di ricorso rileva i medesimi vizi, laddove il provvedimento impugnato motiva il trattamento sanzionatorio in relazione all'entità dell'importo evaso, dato che non era stato oggetto di cognizione del giudice dell'Appello e rispetto al quale assumerebbe comunque rilevanza l'esito assolutorio di altro giudizio, concernente i «reati presupposto». Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
5. Con Memoria depositata il 18.03.2015 fa inoltre presente di aver depositato nei termini, presso il medesimo ufficio del Tribunale di Milano ove era stato presentato il ricorso per Cassazione, Motivi nuovi che, però, quell'ufficio non ha mai inoltrato, come ha appreso nella precedente udienza del 29.10.2014. Evidenziando l'ammissibilità dei deposito con le modalità descritte, richiede comunque che sia ammessa la produzione dei documenti allegati ai motivi, che non ha potuto esibire nei precedenti gradi del giudizio. All'odierna udienza il difensore del ricorrente ha richiesto escludersi la punibilità per particolare tenuità del fatto ai sensi dell'art. 131-bis c.p., introdotto dal D.L.vo n° 28/2015 in quanto ius superveniens.

Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato. L'art. 11 del D.L.vo n° 74\2000 sanziona, come è noto, chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte, per un ammontare complessivo superiore a 50.000,00 euro, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni, idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. La giurisprudenza di questa Corte ha, nel tempo, chiarito che, ai fini della configurabilità del reato, si richiede esclusivamente che l'atto simulato di alienazione o gli altri atti fraudolenti sui beni siano idonei ad impedire il soddisfacimento totale o parziale dei credito tributario, non essendo necessaria la sussistenza di una procedura di riscossione in atto (Sez. III, n° 39079 del 09.04.2013, B. e altro, rv. 256376; Sez. III, n° 14720 del 06.03.2008, PM in proc. G., rv. 239970; Sez. V, n° 7916 del 10.01.2007, C., rv. 236053), con la conseguenza che, sotto il profilo psicologico, deve sussistere il dolo specifico, rappresentato dal fine di sottrarsi al pagamento del proprio debito tributario e, sotto il profilo materiale, deve porsi in essere una condotta fraudolenta atta a vanificare l'esito dell'esecuzione tributaria coattiva, la quale non configura un presupposto della condotta, in quanto è prevista dalla legge solo come evenienza futura che la condotta, idonea, tende a neutralizzare (Sez. III, n° 14720 del 06.03.2008, PM. in proc. G., rv. 239970, cit.). L'oggetto giuridico dei reato in esame non è, pertanto, il diritto di credito dei fisco, bensì la garanzia generica data dai beni dell'obbligato, cosicché esso può configurarsi anche qualora, dopo il compimento degli atti fraudolenti, avvenga comunque il pagamento dell'imposta e dei relativi accessori (Sez. III, n° 36290 del 18.05.2011, C., rv. 251077). Si tratta, dunque, di un reato di pericolo, rispetto al quale la condotta penalmente rilevante può essere costituita da qualsiasi atto o fatto fraudolento intenzionalmente volto a ridurre la capacità patrimoniale del contribuente stesso, riduzione da ritenersi, con un giudizio ex ante, idonea sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, a vanificare in tutto od in parte, o comunque rendere più difficile, una eventuale procedura esecutiva (così Sez. III, n° 39079 del 09.04.2013, B. e altro, rv. 256376, cit.). Si è ulteriormente rilevato, considerando il tenore dell'art. 11 del D.L.vo n° 74\2000, che esso contempla, oltre alla alienazione simulata, il generico richiamo ad altri atti la cui connotazione comune è data dal loro carattere fraudolento, da intendersi come comportamento che, sebbene formalmente lecito - come peraltro lo è l'alienazione di un bene - sia però caratterizzato da una componente di artificio o di inganno (Sez. III, n° 25677 del 16.05.2012, C. e altro, rv. 252996). Si è conseguentemente ritenuto configurato il reato in esame in ipotesi di cessione simulata dell'avviamento commerciale (Sez. III, n° 37389 dei 16.05.2013, R. in proc. R., rv. 257589), di cessione di immobili e quote sociali alla convivente da parte di un commercialista (Sez. III, n° 39079 del 09.04.2013, B. e altro, rv. 256376, cit.), di pluralità di trasferimenti immobiliari (Sez. III, n° 19524 del 04.04.2013, A., rv. 255900), di costituzione di un fondo patrimoniale ex art. 167 c.c. (Sez. III, n° 40561 del 04.04.2012, S., rv. 253400), di messa in atto, da parte degli amministratori, di più operazioni di cessioni di aziende e di scissioni societarie simulate finalizzate a conferire ai nuovi soggetti societari immobili (Sez. III, n° 19595 del 09.02.2011, V., rv. 250471), di vendita simulata mediante stipula di un apparente contratto di "sale and lease back" (Sez. III, n° 14720 del 06.03.2008, PM in proc. G., rv. 239970, cit.).
2. Considerati, dunque, i principi dianzi richiamati e venendo all'esame del primo motivo di ricorso, deve rilevarsi che, nella fattispecie, la legittimità della costituzione del trust, argomento diffusamente trattato in ricorso, non è stata minimamente posta in dubbio dai giudici dei merito, i quali, invece, hanno posto in evidenza lo scopo fraudolento della costituzione medesima e la finalità unica di sottrarre il patrimonio dei contribuente alla procedura coattiva. Ricorda la Sentenza impugnata, nel ricostruire la vicenda processuale, che la società, della quale l'imputato è socio accomandatario e liquidatore, risultava debitrice verso l'erario della somma indicata nell'imputazione, riguardante le annualità 2001\2005 e per le quali erano state nel tempo notificate diverse cartelle esattoriali, l'ultima delle quali il 18.04.2009, tanto che il successivo 03.09.2009 veniva effettuata un’iscrizione ipotecaria sugli unici immobili della società per una somma pari ad euro 1.151.828,52, comprensiva di sanzioni di mora. L'ipoteca veniva successivamente cancellata quando, a seguito di ricorso alla Commissione Tributaria, l'imputato documentava l'alienazione degli immobili in data anteriore all'iscrizione ipotecaria, il 25.02.2009, a soggetto terzo. Era poi risultato che, attraverso l'istituzione di un trust, l'imputato, quale liquidatore della società, aveva trasferito a se stesso, quale trustee, l'intero patrimonio attivo e passivo della società medesima, con lo scopo evidente di sottrarre i suoi beni alla procedura di riscossione coattiva delle imposte.
3. Diversamente da quanto sostenuto in ricorso, il provvedimento impugnato ha effettuato una valutazione delle emergenze processuali che risulta adeguata e corretta, indicando in maniera esaustiva sulla base di quali dati fattuali doveva ritenersi dimostrata la natura fraudolenta della costituzione del trust. Osserva la Corte territoriale che l'operazione effettuata ha comportato, quale unica conseguenza, la sottrazione del patrimonio societario ad eventuali azioni dell'erario finalizzate alla riscossione delle imposte, rilevando come disponente e trustee coincidessero con la medesima persona (l'imputato) e che la dichiarata finalità liquidatoria indicata nell'atto costitutivo del trust non risultava mai comunicata ai creditori sociali, né emergeva che tale adempimento fosse comunque previsto, rilevando altresì la sostanziale inutilità della costituzione del trust per le finalità indicate, ben potendo i creditori, in caso di liquidazione, vedere soddisfatti i propri crediti senza problemi di priorità temporale quando il patrimonio sociale sia sufficiente a tale scopo, ovvero, in caso d’insufficienza, fare ricorso al concordato preventivo o alle altre procedure concorsuali di tipo fallimentare. Rilevano inoltre i giudici dei merito l'inesistenza di qualsivoglia elemento atto a dimostrare la effettiva e concreta utilizzazione del trust per soddisfare i creditori della società ed, in particolare, l'effettuazione, anche parziale, di versamenti all'erario delle somme dovute.
4. Si tratta di argomentazioni stringenti, prive di cedimenti logici o manifeste contraddizioni che indicano come inequivocabilmente accertata in fatto la unica finalità della costituzione dei trust, che i giudici dei merito correttamente individuano nella sottrazione del patrimonio al fisco.
 A fronte di ciò, il ricorrente oppone censure che, al di là dei richiami alla disciplina generale dell'istituto utilizzato per porre in essere la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, si risolvono nella contestazione dell'apparato motivazionale del provvedimento impugnato mediante la prospettazione di una personale valutazione degli elementi fattuali valutati dai giudici dei merito, che non può avere ingresso in questa sede di legittimità. Si tratta poi, in sostanza, di una ricostruzione alternativa della vicenda processuale che risulta smentita da quanto illustrato dai giudici del gravame, i quali, come si è detto, hanno puntualmente spiegato come risultasse dei tutto indimostrata la dichiara finalità di un più efficace conseguimento degli obiettivi propri della procedura liquidatoria attraverso la costituzione dei trust, stante l'assenza di qualsivoglia comunicazione in tal senso ai creditori e, sopratutto, l'assenza di comportamenti concludenti, ivi compreso il pagamento anche parziale delle somme dovute all'erario.

5. La motivazione della Sentenza impugnata, inoltre, pone in evidenza anche la sussistenza dei dolo specifico richiesto per la configurabilità dei reato oggetto di imputazione. Esso si rinviene, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nella volontà dell'agente di sottrarsi al pagamento delle imposte che superino la soglia prevista e richiede la dimostrazione della strumentalizzazione della causa tipica negoziale o l'abuso dello strumento giuridico utilizzato (v. Sez. III, n° 40561 del 04.04.2012, S., rv. 253400, cit.). La sussistenza dell'elemento soggettivo, pertanto, ben può essere rinvenuta anche quando, come nel caso in esame, a fronte della piena conoscenza del debito tributario, il ricorso ad attività formalmente lecite abbia quale unica concreta conseguenza quella di impedire la riscossione fiscale, difettando ogni altro dato dimostrativo della effettiva volontà di perseguire le finalità proprie dello strumento giuridico cui si è fatto ricorso.
6. Quanto al secondo motivo di ricorso deve rilevarsi che i giudici dell'Appello, dando atto di aver preso cognizione della documentazione prodotta dalla difesa, rilevano come la dichiarata sostanziale equivalenza tra valore commerciale dei beni ipotecati ed importo del debito verso la banca non risulti dimostrata. La Corte territoriale evidenzia anzi come una simile circostanza si ponga in contraddizione rispetto alle finalità di tutela dei creditori che, secondo il ricorrente, avrebbero giustificato il ricorso al trust. I giudici del merito hanno quindi fornito risposta alla censura difensiva e le conclusioni cui sono pervenuti, costituendo un accertamento in fatto, restano estranee al presente giudizio di legittimità.
7. Parimenti infondato risulta il terzo motivo di ricorso. Nella determinazione del trattamento sanzionatorio, osserva la Corte territoriale, si è tenuto conto, nell'escludere il riconoscimento delle attenuanti generiche, di un precedente per bancarotta, dell'assenza di attività risarcitoria, di segnali di ravvedimento e di altri elementi positivi di valutazione, considerando anche l'importo del tributo evaso. Non rileva, con riferimento a tale ultimo elemento, l'intervenuta assoluzione in altro processo concernente quelli che vengono indicati come «reati presupposto», in quanto la Corte territoriale e il Tribunale hanno tenuto conto (peraltro non esclusivamente, come si è appena visto), ai fini della quantificazione della pena, dell'importo dei tributo evaso, senza alcun riferimento alle condotte oggetto di contestazione nell'altro procedimento. Tale importo, peraltro, è quello indicato nel capo d’imputazione e che risulta sottratto alla procedura di riscossione coattiva mediante la costituzione dei trust, che poteva certamente essere considerato dai giudici dei merito per valutare la gravità della condotta posta in essere dall'imputato.
8. Quanto ai Motivi nuovi, osserva il Collegio che, secondo un consolidato indirizzo assolutamente prevalente (recentemente confermato da Sez. II, n° 1381 del 12.12.2014/14.01.2015, T. e altri, rv. 261862; Sez. V, n° 7449 del 16.10.2013/17.02.2014, C., rv. 259526; Sez. I, n° 44324 del 18.04.2013, P.G., P.C. in proc. S., rv. 258319) rispetto all'isolato precedente citato dal ricorrente (Sez. VI, n° 46823 del 15.11.2005, T. e altro, rv. 232533) e al quale intende dare continuità, sono inammissibili i Motivi aggiunti al ricorso per Cassazione depositati nella cancelleria del giudice «a quo» anziché in quella della Suprema Corte e ivi pervenuti oltre il termine di quindici giorni prima dell'udienza, in quanto alla specifica disposizione di cui all'art. 585, IV co., c.p.p. non si può derogare con applicazione analogica delle modalità di presentazione ex art. 582 c.p.p. o di spedizione ex art. 583, co. I, c.p.p. Neppure risulta ammissibile, inoltre, la produzione documentale, parte della quale già allegata al ricorso, in quanto, avuto riguardo alla natura del reato meglio descritta in precedenza, essa risulta del tutto ininfluente ai fini del giudizio di legittimità.

9. Resta da esaminare la questione, sollevata in udienza, dell'applicabilità, nella fattispecie, della causa di non punibilità ora prevista dall'art. 131-bis c.p., introdotto dal D.L.vo n° 28\2015. Il menzionato Decreto legislativo non prevede una disciplina transitoria, cosicché va preliminarmente verificata la possibilità di applicare la nuova disposizione anche ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore. La natura sostanziale dell'istituto di nuova introduzione induce a una risposta positiva, con conseguente retroattività della legge più favorevole, secondo quanto stabilito dall'art. 2, co. 4 c.p. Può anche ritenersi che la questione della particolare tenuità del fatto sia proponibile anche nel giudizio di legittimità, tenendo conto di quanto disposto dall'art. 609, co. 2, c.p.p., trattandosi di questione che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di Appello. L'applicabilità dell'art. 131-bis c.p. presuppone, tuttavia, valutazioni di merito, oltre che la necessaria interlocuzione dei soggetti interessati. Da ciò consegue che, nel giudizio di legittimità, dovrà preventivamente verificarsi la sussistenza, in astratto, delle condizioni di applicabilità dei nuovo istituto, procedendo poi, in caso di valutazione positiva, all'annullamento della Sentenza impugnata con rinvio al giudice dei merito affinché valuti se dichiarare il fatto non punibile.

10. Dovendosi quindi procedere a tale apprezzamento, rileva il Collegio che l'art. 131-bis, co. 1, c.p. delinea preliminarmente il suo ambito di applicazione ai soli reati per i quali è prevista una pena detentiva non superiore, nel massimo, a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena. I criteri di determinazione della pena sono indicati dal co. 4, il quale precisa che non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In tale ultimo caso non si tiene conto dei giudizio di bilanciamento di cui all'art. 69 c.p. Il co. 5, inoltre, chiarisce che la non punibilità si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante. La rispondenza ai limiti di pena rappresenta, tuttavia, soltanto la prima delle condizioni per l'esclusione della punibilità, che infatti richiede (congiuntamente e non alternativamente, come si desume dal tenore letterale della disposizione) la particolare tenuità dell'offesa e la non abitualità del comportamento. Il primo degli «indici-criteri» (così li definisce la relazione allegata allo schema di Decreto legislativo) appena indicati (particolare tenuità dell'offesa) si articola, a sua volta, in due «indici-requisiti» (sempre secondo la definizione della relazione), che sono la modalità della condotta e l'esiguità del danno o del pericolo, da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall'articolo 133 c.p. (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed ogni altra modalità dell'azione, gravità dei danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato intensità del dolo o grado della colpa). Si richiede pertanto al giudice di rilevare se, sulla base dei due «indici-requisiti» della modalità della condotta e dell'esiguità del danno e del pericolo, valutati secondo i criteri direttivi di cui al co. I dell'art. 133 c.p., sussista l'«indice-criterio» della particolare tenuità dell'offesa e, con questo, coesista quello della non abitualità del comportamento. Solo in questo caso si potrà considerare il fatto di particolare tenuità ed escluderne conseguentemente, la punibilità.
11. Date tali premesse, va rilevato, procedendo alla preliminare verifica della possibile sussistenza delle condizioni di applicabilità dell'art. 131-bis c.p. al caso in esame, che il reato contestato al ricorrente è quello previsto e sanzionato dall'art. 11 del D.L.vo n° 74\2000, commesso il 25.02.2009, data di costituzione del trust, cosicché, avuto riguardo alla pena prevista dalla menzionata disposizione nella formulazione vigente all'epoca dei fatti (prima dell'intervento modificativo ad opera dei D.L.vo n° 78/2010, convertito con modificazioni, dalla legge 30.07.2010 n° 122 la sanzione era quella della reclusione da sei mesi a quattro anni) i limiti di pena indicati dall'art. 131-bis, co. 1, c.p. non risultano superati.
Va quindi accertata la sussistenza delle ulteriori condizioni di legge per l'esclusione della punibilità. Nell'effettuare tale apprezzamento, il giudice di legittimità non potrà che basarsi su quanto emerso nel corso del giudizio di merito tenendo conto, in modo particolare, della eventuale presenza, nella motivazione dei provvedimento impugnato, di giudizi già espressi che abbiano pacificamente escluso la particolare tenuità del fatto, riguardando, la non punibilità, soltanto quei comportamenti (non abituali) che, sebbene non inoffensivi, in presenza dei presupposti normativamente indicati risultino di così modesto rilievo da non ritenersi meritevoli di ulteriore considerazione in sede penale.
12. Alla luce di tali considerazioni, rileva il Collegio che, nel provvedimento impugnato, emergono plurimi dati chiaramente indicativi di un apprezzamento sulla gravità dei fatti addebitati all'odierno ricorrente che consentono di ritenere non astrattamente configurabili i presupposti per la richiesta applicazione dell'art. 131-bis c.p. Invero, la Corte territoriale, come si è già detto, ha ritenuto pienamente giustificata l'irrogazione di una pena in misura superiore al minimo e il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e la non reiterazione dei benefici di legge operando quindi una valutazione che esclude a priori ogni successiva valutazione in termini di particolare tenuità dell'offesa. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Presidente: Mannino
Relatore: Ramacci

 

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