Resp. sanitaria

MINORI - Il valore probatorio del rifiuto del test del DNA per l'accertamento giudiziale della paternità.

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Cass. Civ., Sez. I, Sent. 18.09/06.12.2012 n° 21980

La prova del DNA è stata ammessa dalla giurisprudenza di legittimità con l'oramai storica Sentenza n° 6400/1980, la quale ha sancito che il test del DNA rileva non solo al fine dell'esclusione, ma anche della positiva affermazione della paternità.
Invero, l'esito dell'esame del DNA sul sangue di soggetti viventi, infatti, dà una probabilità pari al 99,999% di compatibilità genetica, ai fini della determinazione della paternità naturale (R. Thomas, L'accertamento della filiazione naturale, Milano, 2001, p. 159).
Ma la Sentenza qui riportata ha di recente ribadito fermamente il principio di diritto per cui il rifiuto - che, ovviamente, deve essere ingiustificato (attesa l'illegittimità costituzionale delle norme processuali penali che consentono il prelievo ematico coattivo: cfr. Corte Cost., Sent. n° 238 e Sent. n° 257 del 1996) - di sottoporsi all'esame del DNA è pertanto sottoposto alla libera valutazione del giudice e, dunque, può costituire elemento "a carico" del presunto genitore renitente, soprattutto di fronte ad una istruttoria dalle cui risultanze emerga, comunque, la prova della paternità o del soggetto.

Del resto, come costantemente sottolineato dalla giurisprudenza della Suprema Corte (sin da Cass. Civ, Sez. I, Sent. 22.08.2006 n° 18224), il rifiuto ingiustificato di sottoporsi agli esami ematologici costituisce un comportamento valutabile da parte del giudice ai sensi dell'art. 116 C.P.C., anche [e persino] in assenza di prove dei rapporti sessuali tra le parti, in quanto è proprio la mancanza di riscontri oggettivi assolutamente certi e difficilmente acquisibili circa la natura dei rapporti intercorsi e circa l'effettivo concepimento a determinare l'esigenza di desumere argomenti di prova dal comportamento processuale dei soggetti coinvolti, potendosi, quindi, "trarre la dimostrazione della fondatezza della domanda anche soltanto dal rifiuto ingiustificato a sottoporsi all'esame ematologico del presunto padre, posto in opportuna correlazione con le dichiarazioni della madre".
Peraltro, secondo tale costante orientamento della Corte di legittimità (cfr. Cass. Civ, Sez I, Sent. 17.07.2012 n° 12198; Cass. Civ, Sez. I, Sent. 02.07.2007 n° 14976), la corretta interpretazione dell'art. 269 C.C., co. 2 e 4, ha condotto ad escludere che possa sussistere un ordine gerarchico delle prove riguardanti l'accertamento giudiziale di paternità e maternità.
Il comma II dell'art. 269 C.C., difatti, stabilisce espressamente che la prova può essere data "con ogni mezzo", con l'unico limite - stabilito nel co. IV - costituito dal fatto che il quadro probatorio non possa ridursi alle sole dichiarazioni della madre e nella sola esistenza di rapporti tra la madre e il preteso padre, all'epoca del concepimento. 
All'interno di questo perimetro, però, il giudice può liberamente valutare le prove, non sussistendo al riguardo limiti legali - come previsto dall'art. 116, co. 1, C.P.C. - e può trarre argomenti di prova dal contegno processuale delle parti (art. 116, co. 2. C.P.C.).
Prima che si cristallizzasse il suesposto orientamento ermeneutico, la vox iurisprudentiae considerava che il comportamento di non consentire qualsiasi indagine medico-legale sull'attribuzione della paternità, lungi dal produrre conseguenze dirette sulla questione, tuttavia "rileva[sse] sotto il profilo degli argomenti di prova desumibili ex art. 116 c.p.c." e che tale contegno processuale della parte può essere utilizzato dal giudice di merito quale mera presunzione o indizio, liberamente valutabile in unione con altri elementi probatori (Cass. Civ., Sez. I, 09.06.2005 n° 12166; Cass. Civ., Sez. I, 13.01.1982 n° 176; Cass. Civ., Sez. I, 07.02.1997 n° 1170).
Gli ermellini hanno per altro verso anche fornito risposta all'eccezione d'incostituzionalità degli artt. 269 e 270 C.C., per ritenuta violazione degli artt. 29, 30, 2, 3, 24, 32 Cost. (laddove essi non prevedono decadenza dall'azione o prescrizione del diritto) che era stata sollevata, e hanno dichiarato l'infondatezza della questione prospettata: approfittando della quaestio iuris sottopostale, la S.C. ha chiarito, invero, quale fosse la ratio nella mens legislatoris dietro la formulazione degli artt. 269 e 270 C.C., soffermandosi ad esplicare le ragioni giuridiche sottostanti all'attuale formulazione di tali due articoli di legge.   
Difatti, secondo il Collegio di Piazza Cavour, "il legislatore ha inteso, affermando il principio dell'imprescrittibilità dell'azione, privilegiare l'interesse del figlio, sicuramente preminente rispetto a quello del genitore. Ciò in piena conformità ai principi costituzionali: l'art. 30 Cost. prevede l'obbligo di mantenimento, educazione ed istruzione da parte dei genitori, indipendentemente dallo status filiationis, tanto che da più parti si è parlato di responsabilità dei genitori per il mero fatto di procreazione".
Al giorno d'oggi, il panorama probatorio in cui sono immerse le azioni giudiziali di dichiarazione e di accertamento di paternità o maternità naturale, quindi, conosce dentro di sé la possibilità che un semplice rifiuto possa tradursi in prova - seppur non decisiva - dell'eventuale paternità (o maternità).
Data l'indubbia delicatezza e importanza dell'argomento, sarebbe comunque auspicabile de iure condendo che il legislatore risolvesse il nodo gordiano, senza lasciarlo al solo diritto vivente, anche perché le già attuali tecniche e metodiche risultano per nulla invasive od offensive della dignità e del decoro della persona da sottoprre all'espletamento del DNA-Test.

 

Cass. Civ., Sez. I, Sent. 18.09/06.12.2012 n° 21980

Repubblica Italiana
In Nome Del Popolo Italiano
La Corte Suprema di Cassazione
Sezione Prima Civile

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Francesco Maria Fioretti, Presidente 
Dott. Massimo Dogliotti, rel. Consigliere 
Dott. Maria Rosaria Cultrera, Consigliere 
Dott. Antonio  Didone, Consigliere 
Dott. Massimo Ferro, Consigliere 
ha pronunciato la seguente:

Sentenza

sul Ricorso 29407/2008 proposto da:
Z.D. (omissis), elettivamente domiciliato in (omissis), presso l'Avv. J.L.D., rappresentato e difeso dall'avvocato D.M., giusta procura a margine del Ricorso;
(omissis)
contro
F.N. (omissis), elettivamente domiciliata in (omissis), presso l'avvocato D.P.N., rappresentata e difesa dall'avvocato S.F., giusta procura in calce al Controricorso;
(omissis)
avverso la Sentenza n° 881/2008 della Corte d'Appello di Venezia, depositata il 19.06.2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18.09.2012 dal Consigliere Dott. Massimo Dogliotti;
udito, per il ricorrente, l'Avv. D. J. L., con delega, che ha chiesto l'accoglimento del Ricorso;
udito, per la controricorrente, l'Avv. N. D. P., con delega, che ha chiesto il rigetto del Ricorso;
udito il p.m., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Rosario Giovanni Russo che ha concluso per la manifesta infondatezza del Ricorso e condanna aggravata alle spese ex art. 385 C.P.C., co. 4.

Svolgimento del processo
Con Sentenza in data (omissis), il Tribunale di Venezia dichiarava Z.D. padre naturale di F.N.
Z.D. impugnava tale Sentenza, con atto di Appello notificato in data 29.09.2006 F.N. si costituiva chiedendone il rigetto.
La Corte di Appello di Venezia, con Sentenza in data 15.02/19.06.2008, rigettava l'Appello.
Ricorre per Cassazione Z.D., sulla base di quattro motivi.
Resiste con Controricorso F.N.

Motivi della decisione
Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 269, 2697, 2729 C.C. nonchè vizio di motivazione riguardo all'esistenza di una relazione affettiva tra Z.D. e F. A., con rapporti sessuali, all'epoca del concepimento e alla nascita della figlia della F.N.
Il motivo va rigettato in quanto infondato.
Non si ravvisa violazione alcuna di legge relativamente alle norme indicate, affermata del tutto apoditticamente, senza adeguato svolgimento nel motivo.
Quanto al vizio di motivazione, il ricorrente in sostanza propone profili e situazioni di merito, non suscettibili di controllo in questa sede, a fronte di una Sentenza caratterizzata da motivazione adeguata e non illogica.
Analizza il giudice a quo compiutamente le prove testimoniali, da cui emerge l'esistenza di una relazione affettiva tra lo Z. e la F., nel periodo in cui avvenne il concepimento. Non è risultato che quest'ultima avesse rapporti con altri uomini nè che, all'epoca, lo Z. frequentasse altre donne. E' emerso altresì - come precisa la Sentenza impugnata - che nel paese in cui entrambi abitavano, tutta la comunità era a conoscenza della relazione, nonchè della circostanza che F.N. fosse figlia dello Z. Afferma, ancora, la Sentenza impugnata che i testi escussi appaiono attendibili, non rilevando che abbiano riferito di fatti avvenuti più di 50 anni prima.
Quanto alle prove contrarie dedotte dallo Z., secondo il giudice a quo, esse hanno riguardato profili di scarsa rilevanza, comunque non idonei ad inficiare le altre risultanze probatorie: ci si riferiva soprattutto ai tempi del fidanzamento dello Z. con altra donna; del resto, tra gli altri testi, Z.M., cugina dell'odierno ricorrente, aveva precisato che il fidanzamento era successivo al periodo in cui si cominciava a parlare di una gravidanza della F. ad opera dello Z.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione dell'art. 116 C.P.C. nonchè degli artt. 269, 2729, 2697 C.C.,e vizio di motivazione riguardo al mancato espletamento dei test emato-genetici.
Anche tale motivo appare infondato.
Il giudice a quo non fa che richiamare la giurisprudenza di questa Corte (per tutte Cass. Civ., Sez. I, Sent. 22.08.2006 n° 18224): il rifiuto di sottoporsi all'esame del DNA viene liberamente valutato dal giudice, e può costituire elemento a suo carico, soprattutto di fronte ad una istruttoria dalle cui risultanze, come nella specie, emerga comunque la prova della paternità del soggetto.
Nè si potrebbe parlare di "giustificazione" del rifiuto: con motivazione adeguata e non contraddittoria, il giudice a quo precisa che tale esame non è affatto invasivo, e non rileva dunque, a giustificazione del rifiuto, la tarda età o l'atteggiamento psicologico del soggetto, condizionato dall'azione proposta.
Con il terzo motivo, il ricorrente propone eccezione di incostituzionalità degli artt. 269 e 270 C.C. per violazione degli artt. 29, 30, 2, 3, 24, 32 Cost., là dove essi non prevedono decadenza dall'azione o prescrizione del diritto.
La questione appare manifestamente infondata. Il legislatore ha inteso, affermando il principio dell'imprescrittibilità dell'azione, privilegiare l'interesse del figlio, sicuramente preminente rispetto a quello del genitore. Ciò in piena conformità ai principi costituzionali: l'art. 30 Cost. prevede l'obbligo di mantenimento, educazione ed istruzione da parte dei genitori, indipendentemente dallo status filiationis, tanto che da più parti si è parlato di responsabilità dei genitori per il mero fatto di procreazione.
Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta violazione dell'art. 91 C.P.C. e vizio di motivazione, circa la condanna alle spese per il primo ed il secondo grado.
Anche tale motivo è infondato: con motivazione adeguata e non illogica, la Corte di merito ha condannato lo Z., in quanto soccombente, alle spese di secondo grado e, riconfermando la Sentenza di primo grado, per implicito, a quelle di prime cure.
Le spese seguono la soccombenza anche per il presente grado.
Non si ravvisano i presupposti per la condanna ex art. 385 C.P.C., co. 4, come richiesto dal P.G. in udienza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il Ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in € 2.700,00 per compenso ex D.M. n° 140 del 2012, oltre accessori di legge.
A norma del D.L.vo n° 196/2003, art. 52 in caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri atti identificativi delle parti, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 18 settembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2012.

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