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PENALE - Art. 615-ter C.P. e mantenimento per curiosità nel sistema informatico.

Scritto da Avv. Salvatore Frattallone. Pubblicato in Penale

mantenimento illecito in sistema informatico o telematico

Allorquando la Cassazione si è occupata del mantenimento abusivo in un sistema informatico o telematico le decisioni avrebbero preso le mosse da situazioni riconducibili a persona propriamente corrotta oppure all'utilizzo dei dati nell'ambito dell'agenzia di investigazione privata con cui la stessa cooperava o, ancora, ad attività riconducibili al fenomeno della concorrenza sleale: sempre, però, l'agente era mosso da "finalità illecite" che travalicavano la mera permanenza nel sistema cui era abilitato ad accedere.
Quindi, secondo il G.U.P. bresciano che ha pronunciato la sentenza di non luogo a procedere qui sotto riportata, non pare punibile - perchè "il fatto non è previsto dalla legge come reato" - la condotta che si sostanzi in accessi al sistema informatico per finalità diverse da quelle consentite ma che si esauriscano nella semplice curiosità dell'operatore,

al di fuori dell'altrui istigazione criminosa o di altri comportamenti costituenti almeno violazione di norme disciplinari poiché contrastanti con una specifica previsione di legge o  regolamentare.

 

Torna in voga, così, la tesi che richiederebbe, per il perfezionarsi d'una condotta, anche un quid pluris, che "colori" l'elemento materiale del reato.

 

La Cassazione, con Ordinanza di rimessione n° 11714/2011 (relativa al diverso procedimento rubricato al R.g. n° 20928/2010), ha peraltro affidato alle Sezioni Unite Penali la decisione del seguente quesito: "Se integri la fattispecie criminosa di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico la condotta di accesso ad un sistema informatico protetto, posta in essere da soggetto abilitato ma per scopi o finalità estranei a quelli per i quali la chiave di accesso gli è stata attribuita".
Dell'importante provvedimento sarà relatore il Cons. Dott. A. Fiale.

Tribunale di Brescia
Sentenza 03/30.03.2011 n° 293

 (G.U.P. Dott. Lorenzo Benini)

Motivi di fatto e di diritto
1. A seguito della richiesta di rinvio a giudizio depositata dal Pubblico ministero si giungeva all'odierna udienza preliminare, ove il Pubblico ministero e i difensori degli imputati concludevano come in epigrafe trascritto.
2. Ritiene il Giudice che gli atti di indagine contenuti nel fascicolo del Pubblico ministero impongano di pronunciare sentenza di non luogo a procedere nei confronti di F.L. con riguardo all'unica imputazione formulata, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
La contestazione ha riguardo al delitto di cui all'art. 615-ter c.p. per essersi l'imputato introdotto, nella sua qualità di appartenente alla Sezione di polizia giudiziaria della Procura della Repubblica di Brescia e quindi all'uopo abilitato, nel sistema informatico denominato RE.GE, effettuando interrogazioni sui nominativi M. C. e C. G, senza che la ricerca fosse giustificata da alcuna motivazione d'ufficio, ma per scopi meramente personali, così accedendo ai dati di registrazione del procedimento R.G.N.R. …, che vedeva indagati proprio i predetti.
Le risultanze della consulenza disposta dal Pubblico ministero (fd 9, fg 674) impongono di ritenere provata la contestazione, peraltro ammessa dallo stesso imputato negli interrogatori del 28/7/2010 e del 27/9/2010. F.L. ha voluto però precisare che l'interrogazione sui nominativi di cui sopra era il frutto di una semplice curiosità, trattandosi di colleghi a suo dire 'chiacchierati'.
Il Pubblico ministero ha, in sede di requisitoria, dichiarato di non dubitare che tale fosse effettivamente la finalità dell'atto, non risultando che di quanto appreso con la consultazione sia stato fatto alcun uso. Si è però richiamato alla prevalente giurisprudenza della Corte di Cassazione, per la quale commette il reato previsto dall'art. 615-ter c.p. non solo chi non abbia titolo per accedere al sistema, ma anche chi, pur avendo titolo, lo utilizzi per finalità diverse da quelle consentite; tanto che anche la semplice curiosità sulla situazione di un collega integrerebbe un accesso abusivo e quindi penalmente rilevante.
 Ritiene il Giudice di non poter consentire con tale soluzione interpretativa. 
Il principio di diritto, per essere correttamente inteso, va considerato alla luce dei casi concreti con riguardo ai quali si è formato; ed in nessuno di essi l'accesso al sistema informatico per finalità diverse da quelle consentite si era esaurito in quanto tale, essendosi il soggetto attivo introdotto su altrui istigazione criminosa nel contesto di un accordo di corruzione propria (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 19463 del 16/02/2010 - Rv. 247144); o per utilizzare le informazioni acquisite in agenzie di investigazione privata nelle quali prestava la propria attività (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 18006 del 13/02/2009 - Rv. 243602); o allo scopo di estrarre copia dei dati ed utilizzarli per attività di concorrenza sleale (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2987 del 10/12/2009 - Rv. 245842; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 37322 del 08/07/2008 Ud. (dep. 01/10/2008) Rv. 241201).
 Pare evidente, quindi, come il concetto di 'finalità diverse da quelle consentite' vada necessariamente circoscritto alle finalità illecite: ad accessi che costituiscano quanto meno comportamenti sanzionabili sotto il profilo disciplinare, in quanto contrastanti con una specifica previsione di legge o di regolamento. 
Nulla di questo può dirsi realizzato con riguardo a quanto posto in essere da F.L.; va quindi pronunciata sentenza di non luogo a procedere, non essendo il fatto previsto dalla legge come reato.
3. Ritiene il Giudice che gli atti di indagine contenuti nel fascicolo del Pubblico ministero impongano di pronunciare sentenza di non luogo a procedere nei confronti di C.S. in relazione ai reati di cui ai capi 29 e 30, perché il fatto non sussiste.
Come correttamente argomentato dal Giudice per le indagini preliminari nell'ordinanza 20/9/2010, nessun atto di disposizione patrimoniale, con conseguimento di ulteriori erogazioni ad opera dello Stato, si è verificato in conseguenza dell'esibizione dei modelli F24 al personale dell'I.N.P.S. e della Guardia di Finanza da parte dell'imputato.
Né può ritenersi la falsità di detti modelli, poiché, come emerge dalla stessa ordinanza, essi si limitavano a non indicare, nella sezione erario, gli importi a credito con il codice tributo 6751, cosa che avrebbe determinato un saldo della delega pari a zero; operazione ben diversa dalla contestata falsificazione.

P.Q.M.

Il Giudice
, visto l'art. 425 c.p.p., dichiara il non luogo a procedere nei confronti di F.L. perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, nei confronti di C.S. in relazione ai capi 29 e 30 dell'imputazione perché il fatto non sussiste.

Motivazione riservata in giorni trenta.

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