Penale

PENALE - Artt. 171-bis l.d.a. e 615-ter C.P., duplicazione abusiva parziale di gestionale.

Scritto da Avv. Salvatore Frattallone. Pubblicato in Penale

duplicazione abusiva di programmi per elaboratore

Costituisce abusiva duplicazione di un programma informatico altrui anche la mera opera di adattamento del software a diverse esigenze in senso soltanto quantitativo, per essere stato il medesimo realizzato sfruttando, per lo sviluppo, essenzialmente la sequenza dei comandi del codice sorgente dell'originario programma.
La Cassazione ha escluso che il precetto di cui all'art. 171-bis l.d.a. riguardi solamente il fatto dell'integrale riproduzione di un programma per elaboratore, non anche la sua parziale utilizzazione senza il necessario consenso degli aventi diritto (inventori e titolari del diritto di sfruttamento economico dell'opera dell'ingegno, ai sensi degli art. 64-bis, 64-ter e 64-quater L. n° 633/41) ove il programma abusivo abbia finalità coincidenti con quelle sottese all'originaria utilizzazione del programma base.

Nella fattispecie, un gestionale originario era stato utilizzato dal duplicatore come base per le sue parziali modifiche:

allora - ha statuito la S.C. - non sussiste alcun "aliquid novi" nè originalità e il fatto, non trattandosi di opera dell'ingegno tutelata, è punibile penalmente.
Peraltro, la Cassazione ha precisato - con inaudito rigore - che sussiste tentativo di accesso abusivo a un sistema informatico o telematico ex art. 615-ter C.P. sol che vi sia "addirittura anche il semplice accesso ai locali nei quali siano collocati i computer": così pure, la sola digitazione di meri "user name" o "password" assurge ad
atto idoneo diretto in modo non equivoco a violare un domicilio informatico, poichè il delitto è di mera condotta ed è sufficiente il dolo generico.

 

Cass. Pen., Sez. V, Sent. 21.06/24.10.2011 n° 38325

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CALABRESE Renato Luigi, Presidente
Dott. OLDI Paolo, Consigliere
Dott. DE BERARDINIS Silvana, Consigliere
Dott. BRUNO Paolo Antonio, Consigliere
Dott. SABEONE Gerardo, rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:

Sentenza

sul ricorso proposto da: D.G., nato il (omissis);
avverso la sentenza n° 1911/08 della Corte d'Appello di Bologna, del 30.04.10;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in pubblica udienza del 21.06.11 la relazione fatta dal Consigliere Dott. Gerardo Sabeone;
Udito il Procuratore Generale, in persona del Dott. Enrico Delehaye, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

Svolgimento del processo
1. La Corte d'Appello di Bologna, con Sentenza del 30.04.10, ha confermato la Sentenza del Tribunale di Modena del 26.11.2007 con la quale D.G. era stato condannato per i reati di cui alla L. n° 633/41, art. 171-bis, per aver abusivamente duplicato, per trarne profitto, un programma per elaborazione dati per computer frutto dell'altrui creazione intellettuale; di cui all'art. 623 C.P. per aver rivelato e impiegato per profitto informazione segrete; e di cui agli artt. 56 e 615-ter C.P., per aver posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco ad introdursi in altrui sistemi informatici.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentando:
a) una erronea applicazione della legge in tema di abusiva duplicazione di opere originali dell'ingegno, di cui alla L. n° 633/41, art. 171-bis, posto che nella fattispecie si era verificata una ricompilazione dei materiali preparatori costituiti dai sorgenti per la creazione di un programma per elaboratore viceversa nuovo;
b) una erronea applicazione della legge penale e una motivazione illogica quanto alla sussistenza degli elementi oggettivi della fattispecie di cui all'art. 623 C.P.;
c) una erronea applicazione della legge penale in merito alla sussistenza dell'idoneità degli atti, con riguardo alla fattispecie tentata di cui all'art. 615-ter C.P.

Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato e non merita accoglimento.
2. Quanto al primo motivo, per dimostrarne l'infondatezza basta partire dall'esame, in punto di fatto, di quanto realizzato dal ricorrente e così come evidenziato dai Giudici del merito sulla base di una necessaria perizia tecnica.
Invero, a fronte dell'originario programma di gestione di una banca dati in favore di un notevole numero di farmacie e di proprietà del Consorzio (omissis), per il quale era stato utilizzato un particolare sistema software realizzato a sua volta da D.V., al ricorrente D.G., di converso, viene imputata l'abusiva duplicazione del suddetto sistema operativo e per la gestione di un minor numero di farmacie aventi dislocazione territoriale in un ambito particolare del territorio nazionale.
L'odierno ricorrente contesta, però, l'imputazione di abusiva duplicazione del suddetto programma, giungendo ad affermare come quanto da lui realizzato sarebbe stato, viceversa, un "aliquid novi" tale da legittimare, da un lato, la propria attività e, d'altra parte, da rendere inapplicabile il precetto penale di cui all'art. 171-bis della legge sul diritto d'autore, che non potrebbe estendersi ad ipotesi, quale quella da lui realizzata, in cui non vi fosse stata alcuna effettiva e completa duplicazione.
Nella specie, però, gli accertamenti tecnici effettuati hanno permesso di acclarare come il programma informatico gestionale realizzato dall'odierno ricorrente attraverso la creazione di un'apposita società, per le farmacie sarde che avevano receduto dal Consorzio (omissis), fosse stato realizzato utilizzando per la maggior parte "la sequenza dei comandi del codice sorgente dell'originario programma" e come tale programma fosse stato creato "nella medesima directory contenente il sorgente originale (omissis) che, pertanto, era stato utilizzato come base per operare le modifiche introdotte e relative solo ad una parte gestionale".
In altri termini, può legittimamente affermarsi come l'originario programma fosse stato "semplicemente" adattato alle diverse esigenze ma soltanto in senso quantitativo (con riferimento al numero dei destinatari del prodotto) e con diversa collocazione spaziale dei clienti.
Orbene, tutto ciò premesso in fatto occorre accertare, questa volta in diritto, se la condotta così evidenziata possa integrare una abusiva duplicazione di "programmi per elaboratore", così come imposto dalla L. n° 633/1941, art. 171-bis.
La risposta, conformemente a quanto già espresso dai Giudici del merito, non può che essere positiva.
Appare, infatti, alquanto restrittiva un'interpretazione del dato normativo che volesse comprendere nel dianzi indicato precetto, penalmente sanzionato, soltanto l'integrale riproduzione di un programma per elaboratore e non anche l'utilizzazione di tale programma, senza la necessaria approvazione dei soggetti aventi il diritto di farlo (inventori e titolari del diritto di sfruttamento economico dell'opera dell'ingegno), sia pur in senso parziale e non integrale, ma per finalità, all'evidenza, identiche a quelle nascenti dall'originaria utilizzazione del programma base.
Come affermato nel precedente di questa Corte, citato dalla Corte territoriale nell'impugnata sentenza (Cass. Pen., Sez. III 08.03.2002 n° 15968), fondamentale è, per l'appunto, che quanto realizzato dal c.d. "duplicatore" non sia soltanto la mera integrale riproduzione del programma altrui, ma ogni attività che pur partendo dal programma altrui ne abbia pur tuttavia realizzato uno sviluppo purché ciò sia stato posto in essere al di fuori delle forme consentite di cui agli art. 64-bis, 64-ter e 64-quater della citata l.d.a. n° 633/41, senza cioè che si sia avuta la necessaria autorizzazione del soggetto legittimato a concederla.
In via generale (v. l'art. 64-bis l.d.a.), l'eventuale riproduzione del programma o la sua trasformazione o modificazione da parte dell'utilizzatore dev'essere debitamente autorizzata dal legittimo titolare del diritto anche quando ciò sia necessario per l'utilizzo del programma.
Non vi è bisogno di autorizzazione (v. art. 64-ter e 64-quater l.d.a.) allorché il legittimo utilizzatore debba analizzare il programma o effettuarne una copia o una modificazione per caricarlo sul computer, eseguirlo, trasmetterlo o memorizzarlo, oppure nei casi in cui la copia e la modificazione sono necessarie per conseguire l'interoperabilità del programma stesso.
In altri termini, anche secondo questo Collegio, nel precetto di cui alla L. n° 633/41, art. 171-bis, deve ricomprendersi non solo l'attività dell'abusiva integrale duplicazione dell'opera informatica altrui, ma ogni attività che costituisca un abusivo - nel senso di mancante dell'autorizzazione del soggetto legittimato - sviluppo di tale opera, non avente in ogni caso le caratteristiche della novità e della originalità tali da far assurgere allo sviluppo la dignità di un'opera dell'ingegno tutelata.
3. Anche il secondo motivo del ricorso è infondato.
In punto di fatto è incontroverso come sui computer della società creata dall'odierno ricorrente fossero stati rinvenuti materiali informatici di proprietà del Consorzio (omissis) (v. nota 3 a pag. 8 del ricorso).
In punto di diritto si osserva (v. le citate Cass. Pen., Sez. V 18.05.2001 n° 25008, 04.07.2002 n° 36309 e 07.06.2005 n° 25174) come, a tutela della capacità produttiva, il legislatore abbia posto l'art. 623 C.P. e l'art. 2105 C.C. e, per quanto d'interesse del presente procedimento, come la fattispecie penale della "rivelazione di notizie sopra applicazioni industriali" richieda:
a) che le applicazioni industriali tutelate non siano soltanto quelle nuove;
b) che tra le suddette applicazioni rientri il know-how aziendale;
c) che per know-how debba intendersi il complesso delle informazioni industriali necessarie per la costruzione, l'esercizio e la manutenzione di un impianto.
Le conoscenze per le quali è questione sono, in sostanza, quelle che nell'ambito della tecnica industriale sono richieste per produrre un bene, per attuare un processo produttivo o per il corretto impiego di una tecnologia; e, altresì, le regole di condotta che, nel campo della tecnica mercantile, vengono desunte da studi ed esperienze di gestione imprenditoriale, attinenti al settore organizzativo o a quello "stricto sensu" commerciale (c.d. know how in senso ampio, v. Cass. Civ., Sez. I 20.01.1992 n° 659).
La pretesa esclusione del software dalla dianzi indicata tutela, nell'ipotesi di non consentita violazione dell'obbligo di correttezza e di fedeltà dei dipendenti di una società non ha fondamento, in quanto il concetto di industria non può limitarsi alla attività di realizzazione di manufatti in senso industriale stretto (macchinari o altre opere c.d. "pesanti", cioè hardware) ma qualsiasi prodotto di un'attività diretta alla realizzazione di beni destinati alla commercializzazione.
Non si evidenziano né sono state aliunde prospettate valide giustificazioni, in punto di diritto, per escludere, quindi, dalla tutela in favore del soggetto legittimato alla utilizzazione economica del prodotto del proprio ingegno anche beni c.d. "leggeri" (si pensi all'abbigliamento, ai prodotti tipici dell'alimentazione e, per l'appunto, ai programmi informatici di cd. software) nei quali il possesso della necessaria conoscenza per la loro realizzazione si appalesa come essenziale ai fini della produzione e della messa in commercio.
4. Anche il terzo e ultimo motivo del ricorso non merita di essere condiviso.
L'abusivo compimento di un'attività diretta ad introdursi nell'altrui sistema informatico e di qualsiasi tipo (sia mediante la digitazione di meri "user name" che di "password") vale ad integrare quegli atti idonei diretti in modo non equivoco a violare un domicilio informatico.
Secondo la pacifica giurisprudenza di questa stessa Sezione (v. Sentenze 06.02.2007 n° 11689 e 08.07.2008 n° 37322), infatti, si versa nell'ipotesi di un reato di mera condotta, connotato dal dolo generico e consistente nella violazione del domicilio informatico, per cui addirittura anche il semplice accesso ai locali nei quali siano collocati i computer può integrare gli estremi della fattispecie di cui all'art. 615-ter C.P.
5. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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