Privacy

PRIVACY - Interferenze illecite nella vita privata e ostacoli alla visione.

Scritto da Avv. Salvatore Frattallone. Pubblicato in Privacy

Cassazione penale, Sezione V, 11.12.2009 n° 47165

La S.C. è tornata a pronunciarsi in materia di videoregistrazioni.
In particolare, di quelle effettuate nelle pertinenze dell'altrui domicilio dall'esterno.
Niente delitto d'interferenze illecite nella vita privata, per aver eseguito le riprese ai figlie dei vicini di casa mentre giocavano nel giardino confinante, se la visione era possibile ad occhio nudo.
La questione presuppone, in fatto, l'accertamento dell'esistenza di preclusioni all'altrui ripresa, poiché viceversa, la sfera privata non può ritenersi attinta dalla captazione d'immagini attuata senza dover ricorrere ad «accorgimenti volti a superare infissi, recinzioni» e ogni altro ostacolo (tendaggi, alberi o cespugli folti, o steccati) che precluderebbe «naturalmente la visione».

Presuppone, altresì, la verifica - attesa l'antigiuridicità speciale dell'art. 615-bis C.P. - che non sussistano cause di giustificazione alla captazione de qua e, nondimeno, che non sia stato accordato il consenso alla ripresa.
Invero, tutte le volte in cui le riprese abbiano luogo in zone visibili da tutti e senza che ricorrano tentativi di superare o rimuovere ostacoli, le persone inquadrate nelle riprese possono essere considerate parte integrante del paesaggio ripreso, in quanto “necessariamente” consapevoli della loro esposizione.
Vanno bilanciate le contrapposte esigenze della riservatezza e dell'altrui diritto o la tacita, ma inequivoca, rinuncia al diritto stesso, come accade nel caso di persona che, pur fruendo di un sito privato, si esponga in posizione visibile da una pluralità indeterminata di soggetti, ad esempio stando al balcone.
Del resto, dal 2008 è notorio che il fotografo viola il domicilio dell’interessato - per tale dovendosi intendere anche il parco, quale pertinenza dell’abitazione - se ricorre all'utilizzo di mezzi tecnici particolarmente invasivi, costituiti da potenti teleobiettivi.
Insomma, non sempre può dirsi rispettosa della privacy l'acquisizione d'immagini di scene di vita quotidiana per il solo fatto che la stessa si svolge all'aperto.
 

Corte Suprema di Cassazione
Cassazione penale, Sezione V, 11.12.2009
n° 47165

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPPI Aniello, Presidente
Dott. BEVERE Antonio, Consigliere
Dott. OLDI Paolo, Consigliere
Dott. SCALERA Vito, Consigliere
Dott. SANDRELLI Gian Giacomo, rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da: 1) W.I. , n. il (omissis); 2) S.A.H., n. il (omissis);
avverso la Sentenza della Corte d'Appello di Genova del 2.3.2009;
sentita la Relazione svolta dal Cons. Dott. Gian Giacomo Sandrelli;
sentite le requisitorie del Procuratore Generale (nella persona del Cons. Francesco Salzano), che ha chiesto dichiararsi l'annullamento senza rinvio perché il fatto non costituisce reato.
IN FATTO
I ricorrenti S.H.A. e W.I. sono stati condannati dal Tribunale di Imperia, il 23.02.2006, quali responsabili della violazione dell'articolo 615-bis C.P., per avere effettuato riprese dei movimenti delle figlie dei vicini di casa a mezzo di telecamera, mentre esse giocavano nel giardino antistante la proprietà dei ricorrenti. La Corte d'Appello di Genova ha confermato, in data 02.03.2009, la prima decisione. L'impugnazione avanzata dalla difesa eccepisce:
- l'erronea applicazione della legge penale, poiché - come già dedotto in sede di appello - le scene captate dai prevenuti erano agevolmente percepibili ad occhio nudo, non esistendo ostacoli fisici alla visione del giardino confinante da parte dell'abitazione degli stessi;
- la violazione della legge processuale (articolo 192 C.P.P.), per non avere accolto criticamente le dichiarazioni della persona offesa P., protagonista di una lite giudiziaria per ragioni di vicinato, e il travisamento della prova, nell'aver accolto in guisa distorta le dichiarazioni testimoniali degli ufficiali di P.G. (l'oggetto da costoro intravisto nelle mani degli imputati non poteva con sicurezza identificarsi in una telecamera, ma più facilmente in un binocolo, strumento che i ricorrenti hanno ammesso di avere usato);
- la violazione della legge processuale, nell'avere omesso di applicare l'articolo 533 cpv. C.P.P., in una situazione sorretta da prove assai incerte.
All'atto di appello (ma anche al presente ricorso) risulta allegato lungo memoriale a firma degli imputati.
IN DIRITTO
La motivazione della decisione impugnata è singolarmente esile e sbrigativa, soprattutto carente nella considerazione del motivo di diritto affacciato dalla difesa (come 1° motivo, risultando gli altri inammissibili o perché manifestamente versati in fatto o perché insistenti nell'area discrezionale del giudice), verso cui i giudici genovesi non rivolgono attenzione alcuna, ancorché la doglianza fosse stata già dedotta con il gravame di appello (e già era presente nelle argomentazioni avanzate al dibattimento di primo grado) ed il quesito posto non si presentasse come manifestamente infondato, sì da non meritare cenno di sorta nell'apparato giustificativo.
La domanda che la difesa formula è se integri la violazione dell'articolo 615-bis C.P., la ripresa di scene - svolgentesi nel perimetro delineato dall'articolo 614 C.P. - la cui visione non sia esclusa dallo sguardo, per la presenza di qualche ostacolo. E' un quesito giustificato anche perché segue meditati arresti giurisprudenziali di questa Corte (Cass. 1 ottobre 2008, Apparuti, CED Cass. 241213; Cass. sez. 5, 21 ottobre 2008, Gottardi, Ced. Cass., rv. 241745), che hanno escluso, in questo caso, l'integrazione della fattispecie. Ed è domanda che - tuttavia - impone una ben definita premessa di fatto, dovendosi bilanciare l'esigenza di riservatezza (che trova presidio nella normativa costituzionale, articolo 2 Cost., quale espressione della personalità dell'individuo, nonché la protezione del domicilio, pur esso assistito da tutela di rango costituzionale, articolo 14 Cost., ed assoluta tutela civilistica, grazie alla Legge 22 aprile 1941, n. 633, articolo 96, che dispiega severa protezione dell'immagine), e la naturale compressione del diritto imposta dalla concreta situazione di fatto (cfr. Cass., Sez. 5, 15.10.2004, Mazzieri; Cass. Sez. 5, 8.12.2006, Ghionzoli) o, ancora, la tacita, ma inequivoca rinuncia al diritto stesso, come accade nel caso di persona che - pur fruendo di un sito privato - si esponga in posizione visibile da una pluralità indeterminata di soggetti (es. sul balcone aggettante e visibile dalla pubblica via).
Conseguentemente, per consentire adeguata valutazione delle condotte dei ricorrenti, è imprescindibile accertare se - all'atto dell'intrusione nella sfera privata dei querelanti - si frapponessero preclusioni alla ripresa ovvero se, per conseguire la captazione essi abbiano dovuto adottare accorgimenti volti a superare infissi, recinzioni, ecc. che avrebbero naturalmente precluso la visione. Dettagli che, né la sentenza impugnata, né quella del primo giudice chiariscono.
Del pari, dal momento che la fattispecie prefigura una forma di antigiuridicità speciale, sottesa all'avverbio "indebitamente" con allusione sia al profilo oggettivo (eventuale causa di giustificazione riscontrabile per una finalità riconducibile ad un diritto del soggetto) sia a quello soggettivo (eventuale convinzione di un consenso accordato alla ripresa, ecc.), il giudice dovrà fornire ragguaglio puntuale, secondo le risultanze processuali.
Pertanto, l'irrimediabile assenza di argomentazione al riguardo di tutti questi profili impone l'annullamento della decisione, con rinvio alla Corte territoriale genovese.

P.Q.M.

Annulla la Sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'Appello di Genova per nuovo esame.

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