Resp. sanitaria

MINORI - Consensus Conference sull'ascolto del minore testimone, Linee Guida Nazionali 06.11.10

Written by Avv. Salvatore Frattallone. Posted in RESPONSABILITÀ SANITARIA

L’ascolto del minore testimone

L’ascolto
 del 
minore 
testimone

Un minorenne che ha subito abusi sessuali dev'essere sentito appena possibile o è preferibile attendere che il ricordo sedimenti nella sua memoria? Chi deve procedere all'ascolto? Con che metodiche? Quali sono i meccanismi mnestici e come operano? Come misurare la capacità a deporre del minorenne? Quali i parametri di credibilità, attendibilità e veridicità del testimone minorenne? Quali i pericoli d'inquinamento della fonte di prova, dovuti a contaminazioni e manipolazioni, anche involontarie, provenienti dal mondo degli adulti e da altri minori con cui il teste si relazioni? Quali i fattori di stress e quali i nessi eziologici tra condotta di abuso e turbamento? A questi e ad altri quesiti cerca di rispondere la Consensus Conference approvata a Roma il 06.11.2010, individuando i criteri scientifici atti ad aiutare l'esperto, i giudici, i magistrati inquirenti e gli avvocati nell'interfacciarsi con il minore,

nell'elicitare le informazioni che, tramite il racconto e il ricordo che ne deriva, questi può fornire a giuristi ed esperti ai fini giudiziari. Il portato del vissuto del minore, del resto, gli appartiene e riemerge durante la testimonianza, anche in modo incosciente. Altre volte provoca le c.d. amnesie infantili.
Senza perdere di vista che l'attività dell'escutere il minorenne è, per sua natura, davvero peculiare e non può venire improvvisata, applicando categorie tipiche del processo degli adulti. In un ambito come questo, peraltro, i danni al minore e al processo, causati da procedure irregolari e non rispettose dei fondamentalia della materia, possono essere (e verosimilmente sono) irreversibili.
Così come non è il codice di rito penale ma la scienza e le leggi di copertura scientifica che indicano al giurista e all'esperto come trattare un reperto con tracce ematiche e come raccoglierlo e utilizzarlo a fini di prova, così le Linee Guida sull'Ascolto del Minore Testimone - lungi dal porre questioni d'utilizzabilità o nullità ex art. 191 C.P.P. - rappresentano l'insieme delle moderne e attuali regole, condivise dalla comunità scientifica di riferimento, per l'acquisizione d'una "idonea" prova processualmente valida, ex art. 189 C.P.P.

 

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La Consensus si è articolata in molteplici incontri e riunioni, dal 27.09.08 al 30.01.10. Ogni Società Scientifica era rappresentata da due studiosi, designati dai rispettivi organi direttivi. I lavori, presieduti dal prof. Catanesi, hanno previsto analisi, discussione ed approvazione per ogni singolo paragrafo del testo. Il testo è stato approvato all’unanimità. La bozza finale del documento è stata poi inviata a quattro esperti esterni al gruppo, scelti per comprovata e riconosciuta competenza sull’argomento. Il testo finale, che ha tenuto conto del parere degli esperti esterni, è stato inviato alle Società scientifiche di riferimento per la sua ratifica.
Fra le ragioni che hanno condotto le Società scientifiche firmatarie del documento ad affrontare questa Consensus vi sono condivise preoccupazioni per la limitata competenza di operatori che effettuano verifiche sulla capacità di testimoniare del minore e per il frequente ricorso, in ambito giudiziario, a metodi e tecniche non adeguate allo scopo.
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Esperti nominati dalle Società scientifiche:
- Società Italiana di Criminologia: Tullio Bandini (Genova), Roberto Catanesi (Bari)
- Società Italiana di Medicina legale: Piero Ricci (Catanzaro), Marco Marchetti (Molise)
- Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza: Ugo Sabatello (Roma), Giovanni Battista Camerini (Bologna)
- Società Italiana di Neuropsicologia: Giovanni Sartori (Padova), Andrea Stracciari (Bologna)
- Società Italiana di Psichiatria: Liliana Lorettu (Sassari), Francesco Scapati (Taranto)
- Società di Psicologia Giuridica: Guglielmo Gulotta (Torino), Luisella de Cataldo (Milano).
Esperti supervisori finali:
- Prof. Massimo Ammaniti, Ordinario di Psicologia dinamica, Univ. “La Sapienza” di Roma;
- Prof. Ernesto Caffo, Ordinario di Neuropsichiatria infantile, Università di Modena;
- Prof. Ugo Fornari, Ordinario di Psicopatologia forense, Università di Torino;
- Prof.ssa Giuliana Mazzoni, Department of Psychology, Università di Hull (UK).

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- Le linee Guida sull'Ascolto del Minore Testimone -

1. Premessa

1.1 Gli esperti chiamati a svolgere ruolo di perito/consulente devono mostrare di aver utilizzato metodologie e criteri in linea con le migliori e aggiornate evidenze scientifiche, così come attestate dalla più accreditata letteratura in argomento, distinguendoli da opinioni ed esperienze personali.
1.2 E’ metodologicamente corretta una procedura che rispetti una criteriologia scientifica ben definita e confrontabile, basata su principi verificabili di acquisizione, analisi e interpretazione di dati e fondata – laddove possibile - su tecniche ripetibili e controllabili.
1.3 L’esperto coinvolto in un accertamento tecnico deve essere in grado di dimostrare la specifica competenza in tema, da intendersi sia come conoscenza delle fondamenta scientifiche delle diverse discipline coinvolte sia dei criteri di riferimento giuridici. Deve essere inoltre in grado di produrre notizia documentata sulla sua specifica esperienza in ambito forense, sul suo curriculum formativo nel settore e su quello scientifico, incluse le eventuali pubblicazioni sull’argomento.

2. La Memoria nella testimonianza
Breve sintesi dalla letteratura scientifica.
La memoria autobiografica
2.1 Una riproduzione "fotografica" di un evento non è possibile, tanto nell’adulto quanto nel bambino. Ogni testimonianza, anche quando origina dalla percezione diretta dei fatti, è sempre il risultato di un processo – prevalentemente inconsapevole - di elaborazione soggettiva di un’esperienza. Quella che chiamiamo comunemente memoria è un processo dinamico che si articola in più fasi (percezione, codifica, immagazzinamento, recupero) ciascuna delle quali può essere modulata da elementi cognitivi, emotivi, affettivi, culturali ed ambientali.
2.2 I ricordi autobiografici non riguardano solo le caratteristiche spazio-temporali degli eventi vissuti ma includono anche informazioni concettuali e semantiche, nonché le influenze emotive e le ripercussioni nei rapporti sociali da essi prodotte.
2.3 Il ricordo di eventi vissuti è sempre incompleto. Il ricordo è il risultato del processo di recupero e riorganizzazione di informazioni incomplete, selettive e a volte distorte presenti in memoria. Ogni processo di rievocazione è caratterizzato da dettagli dimenticati e spazi vuoti anche se il risultato può apparire, ad un’analisi superficiale, completo e senza “buchi”, essendo il prodotto finale di un processo ricostruttivo. Processi di rievocazione non caratterizzati da dimenticanze e “buchi di memoria” devono essere valutati con prudenza; allo stesso modo devono essere valutati racconti di avvenimenti sempre eguali a se stessi, narrati con modalità ed espressioni meccaniche e ripetitive (“robot-like”).
2.4 Il ricordo di eventi vissuti tipicamente contiene solo pochi dettagli altamente specifici. Anche se il numero di dettagli in un ricordo recente e’ spesso considerato come indice di accuratezza del ricordo, come regola generale nel recupero a lungo termine il ricordare un alto numero di dettagli specifici è inusuale. I dettagli specifici di un avvenimento sono persi in tempi molto brevi e all’aumentare dell’intervallo di ritenzione di un evento aumenta il numero di informazioni perse in memoria. Di solito in memoria rimane il “nucleo centrale” di un’esperienza fatta, sebbene anche questo possa essere dimenticato col tempo.
2.5 In linea generale può dirsi che il recupero mnesico, oltre ad essere un processo basato sulla riproduzione delle informazioni recuperate, è sempre anche un processo costruttivo, che nel tempo può aggiungere elementi nuovi al fine di garantire coerenza e continuità ai ricordi. Per queste ragioni eventuali “vuoti” o “buchi” nel ricordo è facile che siano colmati con elementi “coerenti” con l’avvenimento oggetto del ricordo, anche se estranei alla percezione dei fatti. La necessità di mantenere coerenza interna nel racconto può divenire più forte nei bambini per influenza di pressioni esterne, il cui peso varia in ragione del contesto (aspettative dei genitori, coinvolgimento di parenti, sistema giudiziario e forze dell’ordine, stampa, etc).
2.6 Bambini e adulti spesso non focalizzano l’attenzione sugli stessi aspetti di un evento; ciò che per un adulto è considerato dettaglio centrale importante può non esserlo per un bambino, il quale quindi può, per questa ragione, non ricordarlo o ricordarlo meno facilmente.
2.7 Quando le persone ripetono frequentemente un’esperienza creano rappresentazioni mentali generali dell’evento dette script (copione). Gli script accomunano esperienze singole o specifiche e consentono di generalizzare le caratteristiche di eventi diversi. Essi aiutano la rievocazione della struttura generale dell’avvenimento, ma il racconto non e’ necessariamente accurato perché singoli dettagli possono essere inseriti pur non facendo parte degli avvenimenti vissuti.

L’accuratezza del ricordo
2.8 E’ più probabile che un ricordo sia accurato quando riguarda “comuni esperienze di vita” di una persona. La ripetizione di un’esperienza rende la rappresentazione mentale del nucleo centrale dell’avvenimento più forte e l’individuo meno suscettibile verso influenze suggestive esterne.
2.9 Non esiste correlazione diretta fra la convinzione di ricordare esattamente un avvenimento e la reale accuratezza nel ricordo. Il ricordo di dettagli molto specifici non garantisce che il ricordo sia accurato nell’insieme e neppure che l’evento sia realmente avvenuto.
2.10 L’accuratezza del ricordo può variare in relazione al ruolo assunto dal testimone dell’evento (ad es. se osservatore non coinvolto oppure autore o vittima), al grado di coinvolgimento emotivo, alla valenza traumatica dell’esperienza.

Il falso ricordo
2.11 Tutte le persone possono raccontare eventi che non hanno realmente vissuto. Ciò non dipende necessariamente da volontà consapevole di mentire né da processi patologici.
2.12 Nei bambini la formazione di ricordi inesatti o non corrispondenti a fatti realmente accaduti può essere il prodotto di confusione interna, acquisizione di ricordi e di esperienze di altri, acquisizione ed elaborazione di notizie da parte dei mezzi di informazione, processi di induzione più o meno consapevoli da parte di terzi. L’induzione può riguardare sia il fatto in sé che i suoi protagonisti.
2.13 Non sempre un ricordo che contiene evidenti inesattezze è di per sé falso; talvolta alcuni dettagli “periferici” sono falsi mentre il ricordo “centrale” è vero. Oppure l'evento è realmente accaduto così come il soggetto lo racconta ma può essere oggetto di false attribuzioni (ad es. riguardo l'intenzione dei partecipanti).

Il ruolo del vissuto emotivo
2.14 E’ difficile poter rievocare episodi psico-traumatici senza che contestualmente riemergano anche i vissuti emotivi di accompagnamento.
2.15 Nei bambini la risposta emotiva di fronte ad un evento non sempre rispecchia quella degli adulti. I bambini possono avere percezione emotiva diversa dell’evento a causa di differente o limitata comprensione della qualità e significatività del fatto e del non aver ancora maturato un giudizio morale adulto rispetto ad esso. Può accadere che il bambino non abbia percepito l’evento con elevata emotività e possa pertanto fornire un resoconto abbastanza lucido e “freddo” dell’accaduto; nei bambini più piccoli, poi, il vissuto emotivo può essere dissociato dal ricordo traumatico. Non deve meravigliare, dunque, che talvolta bambini abusati non mostrino particolare disagio quando parlano dell’abuso subito o, al contrario, che bambini possano far propri vissuti emotivi appartenenti ad altri.
2.16 Nel ricordo di un evento vissuto come negativo, un’altra possibile forma di distorsione mnesica può realizzarsi per la difficoltà di percezione corretta del tempo. In particolare nei bambini ciò può portare ad alterazioni anche notevoli nella esatta collocazione temporale di un evento, nella corretta stima della durata dell’esperienza o nella sua ricostruzione cronologica.

Fattori che influiscono sul ricordo
2.17 Quantità e qualità dei dettagli contenuti in una rievocazione sono condizionate da svariati fattori tra cui il tempo trascorso dall’evento e le capacità immaginative del soggetto, sia in termini di qualità delle immagini mentali che di capacità di memoria visiva. Lo stress moderato può favorire la qualità del ricordo, ma uno stress eccessivo può incidere sulla percezione e sul suo immagazzinamento.
2.18 Nella conservazione del ricordo ruolo chiave è svolto dalla ripetizione (rehearsal). Come regola generale, parlare di un determinato evento e pensare ad esso conferisce resistenza contro la dimenticanza. Allo stesso tempo, specie nel bambino la ripetizione è fattore di rischio di distorsione del ricordo e di formazione di possibili errori, che incorporati nel ricordo stesso e poi ripetuti ne divengono parte integrante al punto da essere percepiti soggettivamente come veritieri.

Il ricordo autobiografico nel bambino
2.19 I bambini non hanno un ricordo esplicito degli eventi occorsi nel periodo preverbale (prima dell’acquisizione delle competenze linguistiche, cioè prima dei 24 mesi). Ci sono comunque evidenze circa il fatto che qualche ricordo non verbale possa implicitamente influenzare il comportamento nel periodo in cui viene acquisito il linguaggio.
2.20 Bambini di 4-5 anni possono avere ricordi autobiografici specifici per eventi occorsi prima dei 3 anni, sotto forma di immagini visive e conoscenze concettuali, seppur poco dettagliate ed organizzate, la maggior parte delle quali poi non saranno ricordate da adulti.
2.21 La possibilità di ricordare successivamente fatti avvenuti fra i 4 ed i 7 anni è via via maggiore, ma è solo a partire dai 8-10 anni che i ricordi cominciano ad acquisire strutturazione, contenuto e organizzazione simili a quelli dell’adulto.
2.22 I bambini “ricordano raccontando”, nel senso che costruiscono il ricordo attraverso la sua narrazione. In bambini fino a circa sei anni questa narrazione avviene di solito in collaborazione con un adulto, che può quindi influenzarne il contenuto. Nelle narrazioni successive di un evento, ciò che il bambino presenta come “ricordo” può essere influenzato non solo da ciò che egli ha narrato la volta precedente, ma anche da fattori esterni, dal parlarne ad es. con coetanei o adulti, da informazioni o suggerimenti ricevuti, ecc. Da qui l’importanza della ‘prima dichiarazione e della modalità con cui viene assunta.
2.23 Esiste una fascia d’età critica per il ricordo nella quale agisce la cosiddetta amnesia infantile. Questa si definisce come l’incapacità di ricordare, da adulto, eventi autobiografici avvenuti prima di una soglia che la letteratura colloca tra i 2.5 e i 3 anni di età.

a) La capacità linguistica e di racconto
2.24 I racconti dei bambini devono essere congrui con la capacità di comprensione e codifica linguistica dell’evento all’epoca dei fatti. Quando ciò non accade significa che determinate conoscenze sono state aggiunte in un secondo momento: ad esempio formulare un giudizio morale – o un’attribuzione di significato – che richiama giudizi di valore che il minore ancora non possiede o non poteva possedere all’epoca. Ricerche sperimentali sul tema indicano come il bambino raggiunga solo dopo i 10 anni una capacità di comprensione assimilabile a quella dell’adulto. La capacità di espressione linguistica é influenzata dalla scolarizzazione e dal contesto socio-familiare di appartenenza.

b) La suggestionabilità
2.25 Il ricordo di ogni persona, adulto o bambino, é suscettibile di modifiche dovute a suggerimenti. Alcuni individui sono più suscettibili di altri all’influenza di suggerimenti; ciò è definito suggestionabilità.
2.26 Il livello di suggestionabilità nelle fasi dello sviluppo è inversamente proporzionale all’età. La suggestionabilità non rende di per sé il bambino incapace di rendere testimonianza, costituendo solo un fattore di rischio. Pur in presenza di suggestionabilità, se le domande sono poste correttamente il bambino può fornire risposte coerenti ai suoi contenuti di memoria.
2.27 La vulnerabilità alle domande suggestive aumenta col diminuire dell’età del testimone. Secondo alcune ricerche a 4 anni le domande suggestive inducono risposte errate in percentuale pressoché doppia rispetto a 10 anni e pressoché tripla rispetto all’adulto.
2.28 E’ frequente che l’adulto significativo intervenga per aiutare il bambino a selezionare certi ricordi ed a organizzarli. Questa influenza però non solo favorisce l’organizzazione e la coesione dei ricordi ma può talvolta modificarli o deformarli.

c) Il source monitoring
2.29 Per “source monitoring” (identificazione della fonte) si intende la capacità di identificare il contesto nel quale è avvenuto l’evento autobiografico oggetto del ricordo. Il “reality monitoring” è un particolare aspetto della identificazione della sorgente che descrive l’abilità a discriminare tra eventi “interni” (es. immaginati) ed “esterni” (es. visti o uditi). Una ridotta capacità di identificare l’origine del ricordo autobiografico, più evidente nel bambini prima dei 7 anni, può rendere difficoltosa la discriminazione fra evento percepito ed informazioni ricevute successivamente, facilitando la produzione di falsi ricordi.

d) Elementi critici
2.30 Talvolta i bambini possono fornire risposte imprecise a quanto chiesto loro perché: a) possono non comprendere le domande ma rispondono ugualmente perché desiderosi di cooperare o di non deludere l’intervistatore; b) comprendono che l’intervistatore si attende una particolare risposta e cercano di andare incontro alle sue aspettative; c) sono altamente sensibili alle suggestioni portate dall’intervistatore ed incorrono nella confabulazione. Se bambini non sanno rispondere ad una domanda, o non sanno fornire un dettaglio su cui l’intervistatore insiste, potrebbero “inventare” nel timore di non essere all’altezza delle aspettative dell’adulto.
2.31 Molteplici fattori sono in grado di modulare la possibilità di un bambino di riferire adeguatamente circa fatti di cui è stato testimone o protagonista, fra cui i più importanti sono: a) l’abilità dell’intervistatore nell’ottenere informazioni; b) l’abilità del bambino non tanto (o solo) nel ricordare, quanto nel saper esprimere ciò che ricorda. Svolge ruolo importante anche l’assetto cognitivo del minore, con particolare riguardo a: c) livello intellettivo; d) capacità attentive; e) capacità di giudizio morale (es. distinguere tra bene e male, tra bugia e verità). Particolare attenzione dovrà essere prestata poi in caso di veri e propri disturbi mentali dell’infanzia o dell’adolescenza.

3. Obiettivi e procedure metodologiche
Ruolo dell’esperto
3.1 Il ruolo dell’esperto riguarda, in primo luogo, la valutazione della capacità di testimoniare del bambino. Per questo motivo non vanno utilizzate dall’esperto espressioni come “attendibilità” e “credibilità” perché potenzialmente fuorvianti.
3.2 All’esperto non può essere demandato il compito - non delegabile perché di esclusiva competenza del Giudice - di accertare la veridicità di quanto raccontato dal bambino. Non possono essere egualmente formulati pareri per “validare” scientificamente contenuti della testimonianza (o parti di essa). Non esistono, difatti, “indicatori” psicologici, testologici o comportamentali in tal senso.
Compiti dell’esperto
3.3 La capacità di testimoniare comprende abilità “generiche” e “specifiche”. Le prime corrispondono alle “competenze” cognitive come memoria, attenzione, capacità di comprensione e di espressione linguistica, source monitoring, capacità di discriminare realtà e fantasia, verosimile da non verosimile, etc, oltre al livello di maturità psico-affettiva. Le “specifiche” corrispondono alle abilità di organizzare e riferire un ricordo in relazione alla complessità narrativa e semantica delle tematiche in discussione ed all’eventuale presenza di influenze suggestive, interne o esterne, che possono avere agito.
3.4 Il parere sulla capacità di testimoniare dovrà essere effettuato non solo in astratto ma anche con riferimento alle specificità del fatto oggetto di testimonianza. L’interazione fra caratteristiche personali e caratteristiche del fatto deve essere consideratonella formulazione del parere.
3.5 Lo studio della capacità di testimoniare non può prescindere dall’analisi dei contesti e delle dinamiche che hanno condotto il minore a riferire o rivisitare la propria esperienza, allo scopo di identificare eventuali influenze suggestive esterne.
3.6 Qualora più bambini risultino presunte vittime di abuso, l’esperto dovrà cercare di ricostruire eventuali reciproche influenze nelle dichiarazioni e le caratteristiche comunicative del contesto. E’ inoltre necessario che l’esperto effettui un preliminare intervento conoscitivo del contesto in cui si assume abbiamo avuto origine gli abusi.
3.7 Lo studio clinico della personalità del bambino, oltre alla comprensione del funzionamento psicologico ed alla qualità dell’esame di realtà, dovrà prestare particolare attenzione agli aspetti emotivi, affettivi e relazionali. Nel formulare un parere l’esperto dovrà tener conto del livello maturativo acquisito dal bambino in rapporto ad età e stadio di sviluppo psicologico.
3.8 Primario obiettivo di ogni accertamento in tema di idoneità a rendere testimonianza deve essere quello di valutare l’attitudine del bambino a: a) comprendere le domande poste dall’esaminatore; b) ricordare gli eventi oggetto della testimonianza; c) esprimerli in forma verbale in relazione alla complessità dell’evento.
3.9 L’accertamento dove comprendere l’esame della: a) capacità cognitiva generale, incluso il source monitoring; b) capacità di comprendere il linguaggio verbale relativamente a: b1) strutture grammaticali e sintattiche; b2) termini con differenze minime di significato; b3) contenuti assurdi (assurdità semantiche, storie assurde); c) memoria autobiografica. Particolare attenzione dovrà essere prestata ad eventuali costruzioni (più o meno plausibili) volte a colmare lacune mnesiche. E’ sempre opportuno in tal senso effettuare riscontri con testimoni adulti. d) capacità, commisurata all’età, di discriminare realtà da fantasia, verosimile da non verosimile, assurdo da plausibile. e) capacità discriminatoria ed interpretativa di stati mentali propri o altrui (funzione riflessiva). f) livello di suggestionabilità. Alcuni aspetti della suggestionabilità non possono essere valutati mediante test specifici ma solo apprezzati con indicatori anamnestici. La suggestionabilità costituisce fattore di rischio che deve essere valutato e ponderato nel parere finale.

Metodologia dell’accertamento
3.10 Ogni accertamento tecnico sul minore dovrebbe rispettare le seguenti regole minime: a) ridurre il più possibile il numero delle audizioni; b) garantire che gli incontri avvengano con modi e luoghi tali da assicurare la serenità del minore; c) rendere espliciti al minore gli scopi del colloquio, tenuto conto dell’età e della capacità di comprensione; d) comunicare al minore che è libero di correggere l’intervistatore, che se una cosa non la ricorda non deve inventare la risposta ma può dire di non sapere o di non ricordare; e) audio e/o videoregistrare le interviste; f) nel caso di pluralità di esperti o osservatori fare ricorso, salvo che non sia possibile, allo specchio unidirezionale o ad altri strumenti di osservazione a distanza; g) adottare modalità poco “pressanti” di intervista ed evitare, in particolare, il ricorso a domande suggestive o che diano per scontata la sussistenza di fatto oggetto di indagine; h) le modalità d’intervista devono attenersi ai protocolli di buona pratica suggeriti dalla letteratura internazionale i) verificare le modalità in cui si sono svolte le interviste precedenti. Tali accorgimenti dovrebbero essere assunti, ove possibile, in tutte le fasi di ascolto del minore, sia in corso di audizione protetta durante un incidente probatorio, sia in sede di raccolta delle sommarie informazioni testimoniali.
3.11 L’indagine psicologica potrà avvalersi di test (di personalità, neuropsicologici e proiettivi) basati su performance del soggetto (performance based) o sulla capacità di auto descriversi (self report); i test prescelti dovranno essere caratterizzati da elevata e comprovata affidabilità scientifica. La scelta dei test è affidata alla competenza dell’esperto che dovrà tener conto – ed essere pronto a riferire a Giudice e alle parti - del grado di validità ed accuratezza globale dello strumento prescelto.
3.12 I test proiettivi (performance based) possono fornire utili indicazioni in merito a struttura di personalità del minore, assetto relazionale ed eventuali disturbi psicopatologici. L’utilizzazione del disegno dovrebbe rivolgersi unicamente a favorire la comunicazione con il bambino. L’esperto dovrà sempre esplicitare il quadro teorico di riferimento, quali parti della valutazione del test sono il frutto di codifiche riconosciute e standardizzate e quali invece il frutto di ipotesi interpretative.
3.13 Ogni accertamento dovrà tener conto dell’eventuale presenza di fattori in grado di alterare/modulare/rinforzare il ricordo o le possibilità di ricostruzione verbale dell’accaduto. Lo studio di questi fattori dovrà essere discusso nell’elaborato, descrivendone il possibile ruolo avuto. Fra questi si segnalano, per importanza:
a) la distanza temporale dell’evento: per tutti vale il principio che il ricordo si affievolisce con il passare del tempo. Due buone regole sono: procedere all’ascolto del minore nel tempo più breve possibile; evitare di sollecitarlo più volte sul tema.
b) la complessità dell’evento, in termini di impegno cognitivo richiesto e di numero di dettagli periferici o centrali da ricordare;
c) la qualità dell’evento: il ricordo di eventi traumatici può avere maggiore persistenza
rispetto ad eventi indifferenti.
d) la complessità delle domande, che dovrebbero essere formulate tenendo presente il livello di sviluppo linguistico;
e) il ripetersi dell’evento nell’esperienza del bambino;
3.14 Il parere dovrà tenere conto delle modalità con le quali, prima dell’intervento dell’esperto, il minore ha rivelato i fatti a familiari, forze dell’ordine, magistrati, altri tecnici, etc. In particolare hanno importanza:
a) il numero di ripetizioni del ricordo, quante sollecitazioni sono state portate dal contesto per ottenere dal minore la rivelazione degli eventi;
b) tipo di domande utilizzate per sollecitare il ricordo (domande suggestive, induttive, “chiuse”, etc);
c) modalità di rivelazione del fatto (se spontanea o sollecitata; se riferita solo dopo ripetute insistenze da parte di figure significative etc);
d) eventuale presenza di un clima fortemente suggestivo, vuoi per reazione ambientale, vuoi per azione degli operatori deputati alla raccolta testimoniale;
e) contenuto e caratteristiche delle primissime dichiarazioni e loro modificazione nell’eventuale reiterazione della rievocazione.
3.15 La formulazione del parere tecnico finale dovrà tenere conto di tutti i fattori innanzi citati, utilmente integrati da informazioni anamnestiche e dalle caratteristiche di personalità del minore.
3.16 Particolare attenzione dovrà essere posta ai casi nei quali l’esistenza del fatto/reato è sostenuta dalla sola testimonianza del minore.

4. Raccomandazioni, avvertimenti.
4.1 In tutte le fasi del procedimento l’esperto deve scrupolosamente tutelare e garantire il diritto dei minori al rispetto della loro dignità e riservatezza, in conformità ai principi della Convenzione di New York.
4.2 E’ sempre preferibile, data la complessità delle tematiche in questione, il ricorso ad un incarico collegiale.

Sui cosiddetti “indicatori” di abuso
4.3 Le evidenze scientifiche non consentono di identificare quadri clinici riconducibili a specifica esperienza di vittimizzazione, né ritenere alcun sintomo prova di un’esperienza di vittimizzazione o “indicatore” di specifico traumatismo. In definitiva non è scientificamente corretto inferire dalla esistenza di sintomi psichici e/o comportamentali, pur rigorosamente accertati, la sussistenza di uno specifico evento traumatico.
4.4 Nessun test psicodiagnostico è in grado di provare una specifica esperienza di vittimizzazione, come pure di discriminare bambini abusati da quelli non abusati. Non è attualmente sorretto da copertura scientifica attribuire a singoli “segni” psicodiagnostici, in special modo se derivanti da interpretazioni simboliche, il ruolo di “indicatori” di specifiche esperienze traumatiche o di vittimizzazione.

Trauma ed esiti psicopatologici
4.5 La diagnosi di Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD) nell’infanzia e nell’adolescenza è oggetto di ampia revisione sistematica, non essendo gli attuali criteri del DSM stati verificati a sufficienza in soggetti inferiori a 15 anni.
4.6 Nelle indagini su supposti eventi traumatici è sempre necessario raccogliere informazioni nel modo più ampio ed approfondito possibile poiché altri eventi (allontanamento dalla famiglia, alti livelli di conflittualità genitoriale, malattie con alto livello di sofferenza o protratte cure mediche, utilizzo di procedure di ascolto/indagine invasive, etc) possono anch’essi contribuire alla produzione di sintomi psichici o comportamentali.
4.7 In caso di evento traumatico certo è possibile stabilire un nesso causale con determinati sintomi psichici e comportamentali, ma non è consentito procedere in senso inverso, identificando da sintomi l’esistenza di uno specifico evento traumatico. Non esistono sintomi clinici (e tanto meno dati psicodiagnostici) di per sé deponenti di uno specifico trauma; non è quindi corretto desumere l’effettivo accadimento di un determinato evento traumatico dalla loro presenza.
4.8 E’ altamente sconsigliato il ricorso, in ambito forense, alla nozione di Disturbo Post- Traumatico da Stress se l’evento traumatico non è stato prioritariamente accertato perché implica una correlazione causale ancora a determinarsi.

Sulla relazione con il minore
4.9 Creare un buon rapporto con il minore è premessa per un’efficace comunicazione. L’empatia rappresenta una qualità dell’atteggiamento dell’intervistatore atta a favorire la comunicazione ma non può divenire strumento diagnostico preponderante in un contesto giudiziario.
4.10 Se l’esperto è coinvolto come ausiliario di P.G. nella raccolta della testimonianza del bambino presunta vittima, questa va fatta, di preferenza, con protocolli d’intervista o metodiche ispirate alle indicazioni della letteratura internazionale. L’uso di tali tecniche richiede specifica preparazione e formazione clinica. Le procedure d’intervista dovranno adeguarsi, nella forma e nell’articolazione delle domande, alle competenze e allo stadio di sviluppo psicologico del bambino.

Sul ruolo dell’esperto
4.11 E’ altamente sconsigliato assumere ruolo di esperto in ambito penale ed aver svolto – o svolgere - attività psicoterapeutica o di sostegno psicologico alla presunta vittima.
4.12 Per evitare anche involontari condizionamenti nella conduzione delle interviste è opportuno che il ruolo di perito o consulente nella valutazione della capacità testimoniale, e quello di ausiliario del Giudice in sede di incidente probatorio, siano svolti da persone diverse.
4.13 L’avvio di un percorso terapeutico prima dell’acquisizione della testimonianza in sede di incidente probatorio può costituire elemento di influenzamento della genuinità della resa testimoniale.

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