Investigazioni

INVESTIGAZIONE PRIVATA - Reato ex art. 495 C.P. e falsa qualità di detective.

private detective

Va punita la condotta di colui che mente circa la propria qualifica d'investigatore privato che non gli appartiene, al fine d'ottenere certificati o autorizzazioni amministrative.
La mendace dichiarazione dello svolgimento di una certa professione, infatti, costituisce falsa dichiarazione di qualità personale rilevante ai fini dell'identificazione di una persona.
Essa comporta la commissione del reato di cui all'art. 495,
u.co., c.p.,

poichè per qualità personali debbono intendersi gli attributi e i modi di essere che servono ad individuare un soggetto nella collettività sociale, atti a distinguere un individuo nella personalità economica o professionale.
Il fatto di dichiararsi  falsamente investigatore privato ai fini del rilascio della carta d'identità è peraltro sanzionato a tutt'oggi, anche dopo che l'art. 495 c.p. è stato novellato nel 2008.

 

Tribunale di La Spezia, Sezione monocratica, 22/24.11.2010, n° 1069

Fatto
Con decreto di citazione in data 17.11.2008 il Pubblico Ministero disponeva la citazione a giudizio di S.M. quale imputato dei reati descritti in epigrafe.
All'udienza, previa verifica della regolarità della notifica del decreto di citazione, alla presenza dell'imputato, veniva dichiarato aperto il dibattimento e le parti avanzavano le rispettive richieste di prova.
Si procedeva poi all'istruttoria dibattimentale mediante escussione dei testimoni indicati dal P.M. ed ammessi con ordinanza.
Il Pubblico Ministero ed il difensore concludevano come da verbale.
All'esito questo Giudice affermava la penale responsabilità dell'imputato, in ordine al solo reato ascritto al capo di imputazione A), alla stregua delle risultanze processuali.
Dall'istruttoria sono infatti emerse le seguenti circostanze.
Il teste D.C. riferiva che il giorno 05.05.2007 era in servizio come steward presso lo stadio di calcio di La Spezia all'ingresso di una porta ad "accesso riservato" (il teste però non ha saputo precisare chi potesse effettivamente entrare per quella porta, sembrandogli di ricordare che vi potessero accedere i giornalisti oppure le forze dell'ordine o anche il pronto soccorso, vi è sul punto un contrasto fra le dichiarazioni dibattimentali e quelle rese in sede di sommarie informazioni testimoniali) e l'imputato si era presentato mostrandogli un tesserino e dichiarando di appartenere alle forze dell'ordine, al che il teste lo faceva entrare.
Il teste comunque, pressato dalle domande del difensore dell'imputato, mostrava di non avere un ricordo chiarissimo dell'episodio.
Il teste O.D'A., che era a capo del servizio di vigilanza presso lo stadio, riferiva che tramite le telecamere in servizio allo stadio era stato rilevato che l'imputato era entrato senza passare dai tornelli appositamente installati e dunque presumibilmente senza pagare. Si era dunque portato ove era seduto l'imputato, invitandolo ad esibire il biglietto di ingresso. L'imputato si era rifiutato di esibire il biglietto, erano stati allora chiamati i carabinieri. L'imputato aveva iniziato a raccontare che era presso lo stadio quale investigatore privato, cambiando tuttavia più versioni sull'incarico che stava effettuando ed assumendo un atteggiamento comunque intimidatorio.
La credibilità della testimonianza del D'A. è gravemente inficiata dal fatto che nel corso successivo de dibattimento, attraverso la produzione di giornali da parte della difesa e sentendo ex art. 507 c.p.p. il dirigente della Digos spezzina M.L., è in realtà emerso che sia le telecamere sia i tornelli sono stati installati presso lo stadio di La Spezia in epoca successiva ai fatti, sicché non è dato comprendere come in realtà si sia arrivati a chiedere all'imputato di esibire il biglietto di ingresso allo stadio.
I testi L.P. e A.V.., entrambi in servizio ai carabinieri, riferivano che l'imputato era stato loro portato dagli stewart perché non aveva il biglietto di ingresso allo stadio e di avere deciso di condurlo fuori dallo stadio per operare con più tranquillità. L'imputato aveva prima riferito di operare per il Presidente dello Spezia, poi diceva che stava lavorando come investigatore privato ad un caso di infedeltà coniugale e millantava poi alcune conoscenze in Questura. L'imputato veniva comunque identificato. Successivamente il maresciallo L.P. ritrovava l'imputato presso la caserma della Compagnia Carabinieri della Spezia e l'imputato si lamentava con il tenente CC A. del trattamento subito. In tale contesto l'imputato diceva al P. :"Se lei farà rapporto all'autorità giudiziaria io mi vedrò costretto a denunciarla".
Il teste P. nei giorni successivi faceva degli accertamenti sulla persona dell'imputato, verificando che la carta di identità rammostrata era autentica e che in occasione del rilascio di tale documento l'imputato aveva dichiarato di svolgere attività di investigatore privato. Accertamenti compiuti presso la Prefettura consentivano di accertare che l'imputato aveva effettivamente presentato domanda per esercitare l'attività di investigatore privato, ma la domanda era stata rigettata dalla Prefettura della Spezia (e tale provvedimento amministrativo era stato poi confermato sia dal Tribunale Amministrativo Regionale sia dal Consiglio di Stato).
Riferiva inoltre il P. che a richiesta dei documenti l'imputato esibiva un portafogli, che conteneva una placca recante la dicitura "investigatore privato", placca per certi versi simile a quelle delle forze dell'ordine.
Venivano prodotti i documenti concernenti la pratica per il rilascio della licenza di investigatore privato e la documentazione relativa al rilascio della carta di identità.
L'imputato riferiva che O.D'A. aveva un risentimento nei suoi confronti per un episodio di qualche settimana prima. Riferiva poi che quel giorno era entrato allo stadio regolarmente munito di biglietto di ingresso e che tale biglietto era omaggio, consegnatogli da un ispettore della Polizia Municipale della Spezia.
Il teste a difesa E.A. riferiva che quel giorno si era recata allo stadio con l'imputato e che erano entrati insieme dall'ingresso normale degli spettatori paganti.
Il teste a difesa A.P. , comandante della Polizia Municipale della Spezia, riferiva di avere frequentazioni con l'imputato e che questi gli aveva chiesto biglietti omaggio per assistere alle partite di calcio. Alcuni biglietti omaggio vengono effettivamente consegnati alla Polizia Municipale per cui il A.P. aveva indirizzato l'imputato ai dipendenti che si occupavano di queste cose, senza più interessarsi della vicenda.
Quasi tutti i reati contestati non sussistono:
non sussiste il reato di cui all'art. 347 c.p. (si contesta all'imputato di avere usurpato una funzione pubblica dichiarando falsamente di appartenere alle forze dell'ordine): si deve rilevare che detto reato richiede l'effettivo illegittimo svolgimento di una funzione pubblica (con il prendere possesso di un ufficio pubblico o quanto meno con il compimento di qualche atto dell'ufficio, Cass. Sez. VI, 04.06.1986) e non può consistere nella mera dichiarazione - sia pure falsa - di essere un pubblico ufficiale (si veda ad es. Sez. 6, Sentenza n. 13138 del 28.02.2001, che ha escluso il reato di cui all'art. 347 c.p. nel caso di un soggetto che, esibendo un tesserino del Ministero dell'Interno e riferendo falsamente di essere in servizio presso la Polizia di Stato, aveva chiesto informazioni riservate sul conto di una persona);
non sussiste il reato di cui all'art. 496 c.p. (si contesta all'imputato di avere falsamente dichiarato di essere un investigatore privato), perché l'imputato non ha affatto dichiarato di essere investigatore privato a domanda (su interrogazione) di un pubblico ufficiale (come recita l'art. 496 c.p. nel testo vigente all'epoca dei fatti), ma si è limitato a dire che era allo stadio per fare delle investigazioni e a consegnare un portafogli al cui interno era la placca con la dicitura "investigatore privato": il fatto è diverso da quanto previsto dalla norma contestata e non rientra nella stessa;
non sussiste l'art. 498 c.p. (si contesta all'imputato di avere mostrato segni distintivi da investigatore privato, per i quali è richiesta specifica abilitazione dello stato): si deve rilevare innanzitutto che la fattispecie di cui all'art. 498 comma 1 c.p. non è più un reato bensì un illecito amministrativo già dal 1999 (i fatti sono del 2007), in secondo luogo che, come appreso dai testimoni sentiti nel corso del processo, non esiste un segno distintivo "ufficiale" degli investigatori privati, per cui il possesso e l'esibizione di una placca recante la dicitura "investigatore privato" non integra gli estremi di alcun illecito, né penale né amministrativo;
non sussiste il reato di cui all'art. 348 c.p. (all'imputato si contesta di avere esercitato attività di investigatore privato senza abilitazione), perché in realtà l'imputato si è limitato a riferire che era allo stadio per fare investigazioni, ma - al di là delle parole - non è stato accertato che stesse compiendo alcuna effettiva attività;
non sussiste il reato di cui all'art. 336 c.p. (contestato all'imputato per avere detto al maresciallo dei carabinieri che se avesse fatto rapporto anche lui avrebbe proceduto): in effetti, si deve osservare che non è chiara la genesi dell'episodio per cui è processo, essendo smentita in buona parte la ricostruzione proposta dal teste D'A. , ed è ragionevole ritenere che l'imputato si sentisse oggetto di una condotta illegittima; in tal caso, l'orientamento giurisprudenziale è nel senso che non integrano reato le locuzioni intimidatrici espresse in forma condizionata quando siano dirette, non già a restringere la libertà psichica del soggetto passivo, ma a prevenirne un'azione illecita o inopportuna e siano rappresentative della reazione legittima determinata dall'eventuale realizzazione di dette azioni (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 29390 del 04.05.2007).
Diversamente deve dirsi per il reato di cui all'art. 495 c.p. contestato all'imputato per avere falsamente dichiarato all'atto del rilascio della carta di identità di essere un investigatore privato, fatto avvenuto in realtà in data 25.01.2007.
Sostiene l'imputato che lui avrebbe detto agli impiegati del comune di essere un praticante investigatore privato (come gli suggerirebbe la sentenza del TAR Liguria prodotta in atti) e di non avere scritto lui la dizione "detective privato" sul modulo relativo alla dichiarazione di professione ai fini del rilascio della carta di identità, dizione che peraltro risulta barrata. In sostanza l'imputato riconosceva solo la firma apposta in calce al modulo.
Osserva in punto di fatto il Tribunale che la dicitura "detective privato" risulta barrata perché non corrisponde a nessuna delle professioni inseribili nella carta di identità: la barratura della dizione "detective privato" va infatti correlata con l'apposizione a fianco della corretta dizione "investigatore privato" corredata a da apposto codice (02070).
Inoltre, pur se l'imputato sostiene che la scritta "detective privato" non è di suo pugno, non è pensabile che l'imputato non la abbia fatta propria firmando il modulo, visto che l'unico contenuto del modulo stesso è proprio la dichiarazione della professione svolta.

In diritto. Si osserva poi come, pur concordando con la difesa che la carta di identità non costituisca atto pubblico ma mera certificazione amministrativa, la condotta di chi dichiara il falso al fine di ottenere il rilascio di certificati od autorizzazioni amministrative è pur essa punita dall'ultimo comma dell'art. 495 c.p. (nel testo vigente all'epoca dei fatti). Si veda sul punto il simile caso preso in esame da Cass. Sez. 5, Sentenza n. 10905 del 05.10.1981: "La falsa dichiarazione diretta alla Questura e destinata ad essere riprodotta nel passaporto, di non essere sottoposto a procedimento penale integra l'ipotesi di reato di cui all'ultimo comma dell'art. 495 cod. pen. e non quella di cui al secondo comma dello stesso articolo relativo a dichiarazioni destinate ad essere riprodotte in atto pubblico, non essendo il passaporto un atto pubblico ma una autorizzazione amministrativa."
La falsa dichiarazione dello svolgimento di una professione rileva come falsa dichiarazione di qualità personale rilevante ai fini della identificazione di una persona: ai fini del reato di cui all'art. 495 c.p. per qualità personali debbono intendersi gli attributi e i modi di essere che servono ad individuare un soggetto nella collettività sociale (al di fuori degli elementi relativi all'identità e allo stato), come gli uffici pubblici ricoperti, la professione, i gradi accademici e simili (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 7462 del 19.04.1977); per qualità personali, ai fini del delitto di cui all'art. 496 c.p., devesi intendere ogni attributo che serva a distinguere un individuo nella personalità economica o professionale (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 7780 del 26.05.1983).
Per completezza si osserva che il fatto risulta sanzionato anche secondo il nuovo testo dell'art. 495 c.p. introdotto nel 2008 (che non fa più riferimento nella fattispecie base alla riproduzione delle false dichiarazioni in un atto) e che, per il principio del favor rei, devono applicarsi le sanzioni previste dal testo previgente, più lievi.
Alla luce dell'istruttoria svolta, si può dunque ritenere provata la responsabilità dell'imputato, al di là di ogni ragionevole dubbio, per il solo reato di cui al capo a) dell'imputazione.
Deve essere applicato aumento di pena per la recidiva, recidiva che tuttavia, procedendosi a condanna solo per il reato di cui all'art. 495 c.p., è solo infraquinquennale.
La situazione personale dell'imputato - gravato da precedenti penali - non lascia indurre alla concessione delle circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis c.p..
Valutati, quindi, tutti gli elementi di cui all'art. 133 c.p. pena adeguata al fatto, pare quella di mesi uno di reclusione (pena base giorni 20 di reclusione, pena aumentata nei termini predetti ex art. 99 c.p.).
Attesa la quasi incensuratezza dell'imputato (che ha riportato una sola condanna a pena pecuniaria), sussistono i presupposti per la concessione della sospensione condizionale della pena, formulando, così, una prognosi positiva con riguardo al fatto che il condannato possa, per il futuro, astenersi dal commettere ulteriori reati, anche della stessa specie, e del beneficio della non menzione del casellario giudiziario, trattandosi della prima sentenza di condanna riportata dall'imputato.
Segue la condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M

Il Tribunale, visto l'art. 530 c.p.p., assolve l'imputato dai reati ascritti ai capi di imputazione B), C), D), E) e F), in quanto il fatto non sussiste; visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara l'imputato colpevole del reato ascritto al capo di imputazione A), ritenuta l'ipotesi di cui all'art. 495 u.c. c.p. vigente all'epoca dei fatti, e ritenuta altresì la sola recidiva infraquinquennale, lo condanna alla pena di mesi uno di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa. Visto l'art. 544, comma 3, c.p.p., fissa in giorni 30 il termine per il deposito della sentenza.
Così deciso in La Spezia in data 22.11.2010
Il Giudice
Dr. Mario De Bellis

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