Ord. forense

ORD. FORENSE - La seconda vita del patto di quota lite.

patto di quota lite Il «patto di quota lite» è l’accordo tra professionista e cliente, in virtù del quale il compenso del primo viene calcolato in percentuale rispetto al risultato ottenuto dal proprio assistito: può accadere, ad esempio, che l'onorario  dovuto all'Avvocato venga commisurato in ragione dell'incasso dell'assistito oppure del risparmio di spesa concretamente ottenuto rispetto a quanto preteso da controparte.

Ciò non comporta affatto che l'obbligazione, in cui s'inserisce la prestazione professionale, si trasformi, dalla tipica obbligazione "di mezzi", nella ben diversa obbligazione "di risultato" (che solitamente contraddistingue le prestazioni commerciali).

Implica solo che l'onorario, se espressamente pattuito tra legale ed assistito, sia determinato in proporzione a un risultato concreto, fatto salvo che è comunque dovuto il rimborso delle spese e un minimo compenso (stante la permanenza della "regola" per cui un determinato accordo può risultare lesivo del decoro e della dignità della professione ove si preveda un compenso eccessivamente modesto, argomentando ex art. 2233, co. II, c.c.: "In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione).

Prima della L. 04.08.2006 n° 248, detta pattuizione era rigorosamente vietata dal co. III dell'art. 2233 c.c. e dal "vecchio" art. 451 del Codice Deontologico Forense, i quali rispettivamente così stabilivano:

ex "Art. 2233 c.c. (Compenso)

(omissis)
3. Gli avvocati, i procuratori e i patrocinatori non possono, neppure per interposta per sona, stipulare con i loro clienti alcun patto relativo ai beni che formano oggetto delle controversie affidate al loro patrocinio, sotto pena di nullità e di danni".

ex "Art. 45 C.D.F. (Divieto di patto di quota lite)

È vietata la pattuizione diretta ad ottenere, a titolo di corrispettivo della prestazione professionale, una percentuale del bene controverso ovvero una percentuale rapportata al valore della lite.
(omissis)".

In sé il patto di quota lite è sempre stato vietato (anche nella legislazione passata, con l'art. 1458 e, addirittura, considerato reato in alcuni codici preunitari), poiché la ratio della preclusione normativa era ravvisata nel considerare come offensiva del decoro, della dignità e del prestigio della professione forense l'eventuale "consentita partecipazione del professionista agli interessi pratici esterni alla prestazione" (Cass. Civ., Sez. II, Sent. 19.11.1997 n° 11485). In parole povere, era considerato dovere dell'avvocato evitare di rendersi in qualunque modo interessato all'esito della lite
Conseguentemente all'entrata in vigore del succitato dettato normativo del 2006, il III comma dell'art. 2233 c.c. è stato sostituito dall'attuale formulazione, al fine di - come precisato nell'art. 2 della citata legge - "assicurare agli utenti un'effettiva facoltà di scelta nell'esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato", perseguendo i principi comunitari di libera concorrenza e di libertà di circolazione dei servizi.
Sull'onda di tale scelta legislativa, anche il previgente art. 45 C.D.F. è stato "cancellato" e, allo scopo di soddisfare i predetti principi e necessità di asserito "respiro europeo", il 12.06.2008 è stato dal C.N.F. così  integralmente sostituito:

nuovo testo dell'"Art. 45 (Accordi sulla definizione del compenso)

È consentito all'Avvocato pattuire con il cliente compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti, fermo il divieto dell’articolo 1261 c.c. e sempre che i compensi siano proporzionati all'attività svolta, fermo il principio disposto dall'art. 2233 del Codice civile".

La nuova Legge Professionale (L.P. 247/2012) ha ulteriormente innovato la materia, disponendo quanto segue:

vigente "Art. 13 (Conferimento dell'incarico e compenso)

(omissis)
3. La pattuizione dei compensi è libera: è ammessa la pattuizione a tempo, in misura forfetaria, per convenzione avente ad oggetto uno o più affari, in base all'assolvimento e ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l'intera attività, a percentuale sul valore dell'affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a livello strettamente patrimoniale, il destinatario della prestazione.
4. Sono vietati i patti con i quali l'Avvocato percepisca come compenso in tutto o in parte una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa.
(omissis)".

Quindi, dal combinato disposto dei commi III (dove si ammette la pattuizione "a percentuale sul valore dell’affare" o su quanto si prevede possa giovarsene il destinatario della prestazione, fermo restando l’onere della forma scritta ex art. 2233, co. III, c.c.) e IV dell’art. 13 cit. (che viceversa esclude l'ammissibilità d'una pattuizione atta a legare il compenso pro quota con diretto riferimento al bene oggetto della prestazione o della ragione della lite) si evince che dunque esistono, a ben vedere, due differenti tipi di patto di quota lite lato sensu inteso:
- l'uno
convenuto ai sensi dell'art. 133 L.P. 247/2012 che è pienamente lecito, con il quale si stabilisce un compenso correlato al risultato pratico dell'attività svolta e, comunque, in ragione di una percentuale sul valore dei beni o degli interessi litigiosi (e tale patto deve essere redatto per iscritto, pena la nullità ex art. 2233, comma III, c.c.);
- l'
altro stipulato nei termini di cui all'art. 134 L.P. 247/2012 che è radicalmente viziato, perché affetto da nullità ex art. 1418 C.C., allorché risulti, in via diretta o anche traversa, che il professionista ha contratto col cliente di rendersi  cessionario del credito o della res litigiosa, integrandosi la violazione contra legem dell'art. 1261 c.c.

Quindi, saranno ancora leciti, validi ed efficaci tra le parti i patti scritti sui compensi professionali che siano stati proporzionati ai risultati raggiunti, con oggetto non una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa, ma soltanto un'astratta percentuale del valore della res sottoposta a controversia o del bene medesimo (non uno dei fondi in contestazione, ma una percentuale del valore d'uno di essi, per esemplificare, oppure l'onorario pari a una "fetta" del risarcimento danni chiesto dalla parte lesa).
Insomma l'attuale possibilità di stipulare col cliente legittimi patti di quota lite ex art. 13,  co. III, L. n° 247/12 risulta confermata proprio dalla preclusione di cui al successivo co. IV del medesimo articolo.
E si tenga presente che il CNF - con delibera (seduta amministrativa) del 03.05.13 rivolta al Governo, come da attribuzione contenuta nella recente L.P. n° 247/2012 - ha elaborato i nuovissimi parametri per la determinazione del compenso professionale, che sostituiranno quelli "generalisti" dell'estate scorsa (D.M. n° 140/12): essi sono destinati a valere, oltreché per le ipotesi di liquidazione giudiziale delle spese di lite a carico del soccombente e di "gratuito" patrocinio, anche in tutti quei casi in cui il cliente non abbia concordato alcunché col suo legale, con riferimento ad una certa "tariffa" praticata dallo Studio, ad un onorario forfetariamente predeterminato o, infine, alla quantificazione del compenso secondo il criterio della "percentuale".


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