INVESTIGAZIONE PRIVATA - E' protetto da captazioni illecite l'ufficio in sala riunioni? Il fornitore dell'apparecchio d'ascolto/visione patisce l'aggravante ex art. 615-bis, co. 3, c.p.?
Coloro che vendono e/o installano strumenti di registrazione audio e video, da utilizzare per procurarsi indebitamente notizie e immagini attinenti alla vita privata di una persona, sono punibili penalmente? E, se sì, per quale reato, semplice o aggravato? La Cassazione ha chiarito che la circostanza aggravante prevista dall'art. 615-bis, co. 3, c.p. necessita, per essere applicata, della verifica della sussistenza d’una qualche correlazione - funzionale o agevolativa - tra la posizione soggettiva dell’imputato e la commissione del delitto d’interferenza illecita nell’altrui vita privata. Invero, occorre che la consumazione delle condotte del procurarsi, del rivelare e del diffondere indebitamente notizie o immagini (attinenti alla vita privata svolgentesi in un luogo di privata dimora o nelle sue appartenenze) risulti connessa all’esercizio del potere o alla violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio ovvero all'esercizio della professione d’investigatore privato: segnatamente, bisogna che dette qualità debbano aver ‘almeno agevolato’ la commissione del reato. Del resto, la S.C. ha fatto riferimento sia al tenore letterale della disposizione di cui all'art. 615-bis c.p., co. 3, che richiama le figure del pubblico ufficiale e dell'incaricato di un pubblico servizio che abbiano commesso il fatto con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio (atteso che si tratterebbe della medesima formulazione normativa che si rinviene nell’art. 61, co. 1, n° 9, c.p. per il quale v’è consolidata giurisprudenza che esige qualcosa di più della mera qualifica funzionale dell'agente, occorrendo altresì che vi sia una correlazione tra la realizzazione della fattispecie di reato e l'esercizio del potere o la violazione del dovere, nel senso che detta qualità abbia almeno agevolato la commissione del reato: cfr. Cass. Pen. Sez. V, 07.11.2013, n° 50586, rv. 257842), sia al co. 3 dell'art. 615-bis c.p. che fa riferimento a chi esercita la professione d’investigatore privato, il che implica descrittivamente una connessione tra fatto-reato e l'esercizio della professione di detective privato. Anche perché, ha argomentato la Corte, una diversa lettura verrebbe a configurare una circostanza "di posizione", legata al mero dato soggettivo dell'esercizio da parte del reo dell'attività professionale, a prescindere dal fatto che esso qualifichi la concreta realizzazione del fatto di interferenza nella vita privata, e una tale dilatazione è ingiustificata. Se, invece, l'attività compiuta dall'imputato sia consistita soltanto nel limitarsi a fornire e a installare un sistema antintrusione e a montare la videosorveglianza senza però compiere alcun atto di natura investigativa’, allora siffatta distinta attività resta soltanto preparatoria, ovverosia semplicemente ‘prodromica’, rispetto all'uso di tali strumenti di captazione lesivi dell’altrui libertà individuale: infatti, l'aggravante si riferisce a chi abusa dell'attività d’investigatore privato, non di chi abusa delle competenze acquisite quale ausiliario di polizia giudiziaria, per aver costui in passato svolto attività per conto di uffici di procura. Ma, se non configura l’aggravante, dunque, l'aver offerto l'assistenza tecnica integrata relativa agli strumenti di ripresa visiva o sonora , per soddisfare l'esigenza del cliente volta all’illegale captazione, rimane un fatto non punibile? Il reato previsto dall'art. 617-bis c.p. anticipa la tutela della riservatezza e della libertà delle comunicazioni mediante l'incriminazione di fatti prodromici all'effettiva lesione del bene, punendo l'installazione di apparati o di strumenti (o di loro parti) per intercettare o impedire comunicazioni o conversazioni telefoniche, cosicché deve guardarsi alla sola attività di installazione, anziché a quella (successiva) di intercettazione o di impedimento delle altrui comunicazioni: queste ultime due attività rilevano soltanto come finalità della prima condotta, talché il reato si consuma anche se gli apparecchi installati (fatta salva ovviamente l'ipotesi di una loro inidoneità assoluta), non abbiano funzionato o non siano stati neanche attivati. Dunque, per ciò che attiene a questo diverso delitto, la condotta d’installazione è prodromica al fatto tipico di intercettazione o di impedimento di comunicazione, pertanto l'installazione (e, a fortiori, la fornitura) degli strumenti di ripresa visiva e sonora è, e resta, un fatto prodromico all'uso di detti strumenti, il quale uso non può dirsi realizzato nell'esercizio della professione d’investigatore privato. E’ ben vero, dunque, che la condotta integra un ‘mero antefatto materiale’ rispetto all’interferenza illecita e che perciò non è suscettibile d’essere applicata neanche la circostanza di cui all’art. 61, co. 1, n° 9, c.p. rispetto al fatto tipico di cui all'art. 615-bis c.p. Pur tuttavia resta in ogni caso ferma l’ipotesi d’un possibile concorso di persone nel reato, in relazione chi quelle condotta d’installazione abbia serbato, rispetto al responsabile primario del delitto, ai senso dell’art. 110 c.p. Ma la Corte ha anche statuito che la tutela accordata dall'art. 615-bis c.p., concerne anche una sala riunioni aziendale, ancorché essa sia stata adibita per necessità, per un certo periodo, ad ufficio. Infatti, la circostanza che quel locale non fosse di esclusiva pertinenza della p.o., non potendo essa accampare al riguardo alcuno ius excludendi, nulla toglie al fatto che la tutela è accordata ogniqualvolta si tratti di "domicilio", di "privata dimora" o di »appartenenze di essi" ovverosia allorquando sussista una particolare relazione del soggetto con l'ambiente in cui egli vive la sua vita privata, in modo da sottrarla ad ingerenze esterne, indipendentemente dalla sua presenza, mentre a detta peculiare tutela restano estranei i luoghi "destinati all'uso di un numero indeterminato di soggetti». Da ciò deriva l’illicietà della condotta d’ascolto (captazioni ambientali), volta asseritamente ad accertare se la p.o. fosse o no un fedele collaboratore del reo.
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Cass. pen. Sez. V, Sent. 31.03/28.07.2015, n. 33265
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LAPALORCIA Grazia, Presidente
Dott. MICCOLI Grazia, Consigliere
Dott. MICHELI Paolo, Consigliere
Dott. DE MARZO Giuseppe, Rel. Consigliere
Dott. CAPUTO Angelo, Consigliere
ha pronunciato la seguente:
Sentenza
sul Ricorso proposto dal P.G. presso la Corte d’Appello di Milano, nei confronti di:
B.V. N. IL (OMISSIS);
M.W. N. IL (OMISSIS);
D.S.R. N. IL (OMISSIS);
C.R. N. IL (OMISSIS);
S.R. N. IL (OMISSIS) inoltre:
B.W. N. IL (OMISSIS);
B.V. N. IL (OMISSIS);
avverso la Sentenza n° 5797/2013 della Corte d’Appello di Milano del 26.02.2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in pubblica udienza del 31.03.2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. A. Caputo;
udito il Sostituto Procuratore Generale della Repubblica presso questa Corte di Cassazione, Dott. M. Fraticelli, che ha concluso per il rigetto del ricorso del P.G., per l'annullamento con rinvio nei confronti di B.V. in ordine al capo A) e nei confronti di B.V. per il capo C);
uditi altresì: per D.S., l’Avv. A.A., che si è associato al P.G. e ha concluso per il rigetto del ricorso; per M.W., l’Avv. R.D.M, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso; per C.R., l’Avv. S.P., che ha concluso per la conferma della sentenza impugnata; per B.W., l’Avv. R.C., che ha concluso per l'accoglimento del ricorso; per B.V, l’Avv. D.P., che si è riportato ai motivi di ricorso chiedendone l'accoglimento; per S.R., in sostituzione dell’Avv. F., l’Avv. D.P. si è associato alle conclusioni del P.G.
Svolgimento del processo
1. Le persone interessate ai ricorsi che vengono all'esame di questa Corte sono state imputate dei seguenti reati:
A) B.W., M.W. e D.S.R. (in concorso con D.G., direttore generale di I.C.S. s.r.l., giudicato separatamente): artt. 110 e 615-bis c.p,. (con l'aggravante di cui al co. 3), perché, in concorso tra loro e nelle qualità di presidente del c.d.a. di G. s.p.a. e di consigliere di E. s.r.l., il primo, e di tecnici installatori di I.C.S. s.r.l., il secondo e il terzo), si procuravano indebitamente notizie e immagini attinenti alla vita privata di S.A., mediante l'installazione abusiva all'interno del suo ufficio di strumenti di registrazione audio e video (nel gennaio e febbraio 2008);
B) C.R. (quale titolare di uno studio dentistico), B.V. (quale amministratore di fatto di I.C.S. s.r.l.) e S.R. (quale tecnico installatore di I.C.S. s.r.l.): artt. 110, 81 e 615 bis c.p. (con l'aggravante di cui al co. 3), perché si procuravano indebitamente notizie ed immagini attinenti alla vita privata di dipendenti e di pazienti dello studio dentistico di C.R., mediante l'installazione abusiva di strumenti di registrazione audio e video (in data antecedente e prossima al 15.05.2008);
C) B.V., quale titolare di I.E.S. s.r.l. (in concorso con A.V., tecnico installatore della medesima società): artt. 110 e 615 bis c.p., (con l'aggravante di cui al co. 3), perché si procurava indebitamente notizie attinenti alla vita privata di D.L.M. e di R.L. (rispettivamente amministratore delegato e dipendente di I.E.S. s.r.l. mediante l'installazione all'interno di un locale destinato di fatto ad ufficio di D.L. di strumenti di registrazione audio (nel dicembre del 2006).
- Con sentenza deliberata il 22.03.2013, il Tribunale di Milano: riqualificato il fatto di cui al capo A) nei reati di cui agli artt. 110 c.p., e D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 114 e 171, e artt. 110 e 348 c.p., dichiarava non doversi procedere nei confronti di B. W., M.W. e D.S.R. in ordine al primo reato perchè estinto per prescrizione e assolveva i medesimi imputati dal reato di esercizio abusivo di una professione perchè il fatto non costituisce reato; esclusa la circostanza aggravante di cui al capo B), dichiarava non doversi procedere nei confronti di C. R., B.V. e S.R. per mancanza della condizione di procedibilità; riqualificato il fatto di cui al capo C) nei reati di cui all'art. 110 c.p., e D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 114 e 171, dichiarava non doversi procedere nei confronti di B.V. per essere il reato estinto per prescrizione e assolveva A.V. per non aver commesso il fatto.
- Investita dell'appello del pubblico ministero avverso tutti i punti della sentenza di primo grado ad eccezione dell'assoluzione di A.V., la Corte di Appello di Milano con sentenza deliberata il 26.02.2014: riqualificato il reato sub A) nei termini di cui all'originaria imputazione, ha dichiarato B.W. responsabile del reato ascrittogli, condannandolo alla pena di giustizia, mentre ha assolto M.W. e D.S.R. perchè il fatto non costituisce reato; riqualificato il reato sub C) nei termini di cui all'originaria imputazione, ha dichiarato B. V. responsabile dello stesso, condannandolo alla pena di giustizia; ha confermato nel resto la sentenza appellata.
2. Avverso l'indicata sentenza della Corte di Appello di Milano ha proposto Ricorso per cassazione B.V., attraverso il difensore Avv. E.D.P, articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p., co. 1.
2.1. Il primo motivo denuncia erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione. Il locale descritto come ufficio di D.L.M. è in realtà la sala riunioni di I.E.S. s.r.l., adibita per necessità, in quel periodo, ad ufficio dello stesso D.L., ma non di sua esclusiva pertinenza, che non poteva accampare, con riguardo ad esso, alcuno ius excludendi, rilievi, questi, validi tanto più per la posizione della R.. Intento delle captazioni ambientali era solo verificare se D.L. fosse o meno un fedele collaboratore dell'odierno ricorrente, come dimostrato dalla successiva presentazione di una denuncia-querela per ipotizzata violazione dell'art. 513 c.p.. Anche a voler ritenere luogo di privata dimora la sala riunioni aziendale, la volontà di controllare il lavoratore sul luogo di lavoro e in relazione all'attività lavorativa conduce a ritenere applicabile la disciplina di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 114 e 171, e non l'art. 615 bis c.p..
2.2. Il secondo motivo denuncia erronea applicazione della legge penale con riferimento alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 615-bis, co. 3, c.p. Le argomentazioni svolte dalla Corte di Appello riguardano non la valutazione se B. abbia o meno esercitato l'attività di investigatore privato, quanto quella sul fatto che l'imputato fosse o meno provvisto della relativa licenza e ne abbia superato i limiti: nel caso di specie, tuttavia, la persona destinataria delle registrazioni audio e il presunto investigatore privato coincidono, sicchè, a norma dell'art. 134 t.u.l.p.s., non è possibile che l'"autoraccolta" di informazioni trasformi l'agente in un investigatore privato.
3. Avverso la medesima sentenza della Corte di appello di Milano ha proposto ricorso per cassazione B.W., attraverso il difensore Avv. R.C., denunciando - nei termini di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1, - violazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 114 e 171, e vizi di motivazione. La sentenza impugnata adombra la liceità dell'intrusione in un luogo di privata dimora ove si dia un fatto integrante un reato. Posto che oggetto del divieto di controllo degli impianti audiovisivi o altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza è "l'attività dei lavoratori" (e la relativa violazione è sanzionata dal D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 114 e 171) non è comprensibile l'alternativa interferenza delle due previsioni incriminatrici a seconda che il dipendente lavori ad una catena di montaggio o in un ufficio. Il supplementare di fattispecie specializzante è costituito, più che dal suo verificarsi all'interno del rapporto e sul luogo di lavoro, dalla circostanza che l'autore il datore di lavoro, il che è considerato dal legislatore insidia meno grave al bene protetto. Non vale a ritenere l'applicabilità di una diversa norma incriminatrice la possibilità di controllo anche dell'attività di S. come dirigente di E s.r.l. così come l'eventuale percezione di episodi della sua vita privata. Ingeneroso pare il dubbio avanzato dalla Corte di appello sul rapporto di subordinazione di S. con il B., dimostrato dalla scrittura privata di transazione, risultando fuorviante la circostanza che il primo avesse una ragguardevole dotazione partecipativa in G., il che, da sola, non basta ad escludere il suo ruolo - anche - di lavoratore subordinato.
4. Avverso l'indicata Sentenza della Corte di Appello di Milano ha proposto Ricorso per cassazione il P.G. presso la medesima Corte, articolando tre motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
4.1. Con riferimento all'assoluzione di M.W. e di D.S.R. (capo A), il primo motivo denuncia inosservanza degli artt. 42, 43, 59 e 118 c.p., e vizi di motivazione. Il reato di cui all'art. 615 bis c.p., richiede il dolo generico e, nel caso di specie, entrambe le sentenze hanno riconosciuto che l'intercettazione "abusiva" nell'ufficio di S. è avvenuta prima dell'ineludibile provvedimento del magistrato competente, circostanza di cui erano a conoscenza M.W e D.S.R., a nulla rilevando le eventuali garanzie orali fornite da D. In ogni caso, i due imputati - abituati a lavorare per la magistratura e le forze di polizia - sapevano di non poter procedere ad un'intercettazione ambientale senza un provvedimento del magistrato, sicchè la loro condotta è stata notevolmente incauta e gravemente colposa.
L'aggravante di cui all'art. 615-bis, co. 3, c.p., si estenderebbe comunque al concorrente ex art. 118 c.p.. La motivazione della pronuncia assolutoria è viziata essendo del tutto inverosimile che i due imputati non si siano accorti che nessuna forza di polizia stava operando e non si siano posti il problema della mancanza di un collegamento "in remoto" con gli impianti della Procura della Repubblica di Milano; contraddittoriamente per B. si afferma il dovere di accertarsi che la società fosse stata autorizzata allo svolgimento dell'attività di intercettazione ambientale.
L'impugnazione del pubblico ministero avverso la sentenza di primo grado non difettava di specificità, tanto che è stata accolta dalla Corte di appello con riguardo alla sussistenza del delitto di cui all'art. 615 bis c.p..
4.2. Con riferimento all'assoluzione di C.R., B. V. e S.R. in ordine al reato di cui al capo B) per mancanza della condizione di procedibilità, il secondo motivo denuncia vizi di motivazione, anche con riguardo alla conversazione telefonica fra B. e C. del 09.05.2008, ore 10,59.
Confermando l'assoluzione dei tre imputati per l'esclusione della circostanza aggravante di cui all'art. 615-bis, co. 3, c.p., la motivazione della sentenza impugnata è intrinsecamente contraddittoria posto che la Corte di Appello ha condannato B. in relazione al capo C), senza escludere la circostanza in questione, sicchè I. s.r.l. e B. non erano in possesso di alcuna licenza prefettizia per l'esercizio dell'attività di investigazione privata.
D'altra parte, la stessa sentenza impugnata afferma che l'aggravante in questione ricorre anche se l'attività di interferenza illecita sia svolta da un investigatore privato regolarmente autorizzato, sicchè, avendo il pubblico ministero appellante evidenziato lo svolgimento di un'attività sostanziale di investigatore privato (secondo quanto previsto dall'art. 134 t.u.l.p.s.), non è comprensibile il motivo dell'assoluzione. La stessa sentenza di primo grado ha confermato la rilevanza della conversazione telefonica fra B. e C. del 09.05.2008, ore 10,59 richiamata dal P.M. appellante, conversazione dalla quale si evince che l'impianto installato nei locali di esecuzione delle operazioni odontoiatriche era funzionale ad intercettare anche le conversazione e, comunque, aveva lo scopo di verificare eventuali consegne di denaro al personale dipendente e non si trattava, dunque, di un sistema di antifurto ed antintrusione nei confronti di terzi. E' inoltre emerso che C. pretendeva un'assistenza di tipo qualitativo e che B. aveva garantito tale assistenza.
4.3. Con riferimento al medesimo capo di cui al secondo motivo, il terzo motivo denuncia erronea applicazione della legge penale sostanziale. Anche se B. e S. si fossero limitati a fornire e a montare le apparecchiature, si tratterebbe comunque di esercizio, in concreto di attività di investigatore privato, come si desume dagli artt. 617-bis e 623-bis c.p.. E' errato esigere la prova della violazione dei doveri inerenti la professione di investigatore privato, perchè il reato è aggravato per il solo fatto che a commetterlo sia un investigatore privato.
5. In data 16.03.2015, l’Avv. S.F., nell'interesse di S.R., ha depositato una Memoria con la quale chiede che il ricorso del Procuratore Generale sia dichiarato inammissibile o comunque rigettato.
Motivi della decisione
1. Il ricorso proposto nell'interesse di B.V. non presenta profili di inammissibilità, sicchè deve rilevarsi l'intervenuta prescrizione del reato di cui al capo C), che, risalendo il tempus commissi delicti al dicembre del 2006, si è perfezionata nel giugno del 2014. Non emergono, alla luce della sentenza impugnata, elementi che debbano comportare, ex art. 129 c.p.p., co. 2, il proscioglimento nel merito dell'imputato, dovendosi osservare, al riguardo, che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129 c.p.p., co. 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di "constatazione", ossia di percezione ictu oculi, che a quello di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (S.U., n° 35490 del 28.05.2009, T., rv. 244274), evenienza, questa, che non ricorre nel caso di specie. Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di B.V. in relazione al reato di cui al capo C), per essere lo stesso estinto per prescrizione.
2. Il ricorso proposto nell'interesse di B.W., che denuncia la qualificazione del fatto a norma dell'art. 615-bis c.p., in luogo della qualificazione D.Lgs. n. 196 del 2003, ex artt. 114 e 171, adottata dalla Sentenza di primo grado, non merita accoglimento. La Corte di Appello ha rilevato, in punto di fatto, che l'ufficio di S.A. all'interno del quale furono svolte le operazioni di cui al capo A) era nell'esclusiva disponibilità dello stesso S., il quale vi svolgeva non solo le funzioni di amministratore delegato di G. s.p.a. - in relazione alle quali la difesa prospetta la configurabilità di un rapporto di subordinazione con B. - ma anche quelle di amministratore unico di E. s.r.l., società che nulla aveva a che fare con la prima: la circostanza, osserva la Corte di merito, induce, da sola, a ritenere che l'interferenza con l'attività svolta da S. nell'ipotizzata veste di lavoratore subordinato fosse incompatibile con la diversa veste di legale rappresentante di altra società, con riferimento alla quale certamente non vi era alcuna possibilità di controllo. L'argomentazione della sentenza impugnata non è inficiata dai rilievi del ricorrente. Come questa Corte ha avuto modo di rilevare, la disciplina di cui all'art. 4, dello Statuto dei Lavoratori e al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 114, è "mirata e limitata al divieto di controllo della attività lavorativa in quanto tale ovvero al divieto di controllo della corretta esecuzione della ordinaria prestazione del lavoratore subordinato" (Sez. VI, n° 30177 del 04.06/12.07.2013, C. e altri, rv. 256640). Alla luce di tale rilievo, risulta in radice estranea alla disciplina invocata dal ricorrente l'interferenza realizzata all'interno di un locale in cui si svolgeva attività comunque non riconducibile al prospettato rapporto di subordinazione, sicchè prive di fondamento sono le doglianze che fanno leva sull'"attività dei lavoratori" alla quale viene correlata l'invocata applicabilità della disciplina di cui al d.lgs. n. 196 del 2003 e sul "rapporto di subordinazione" della persona offesa rispetto all'imputato. D'altra parte, come è stato messo in luce dalla giurisprudenza di legittimità, la tutela accordata all'art. 615-bis c.p., concerne, sia che si tratti di "domicilio", di "privata dimora" o "appartenenze di essi", una particolare relazione del soggetto con l'ambiente in cui egli vive la sua vita privata, in modo da sottrarla ad ingerenze esterne indipendentemente dalla sua presenza, tutela alla quale restano estranei i luoghi "destinati all'uso di un numero indeterminato di soggetti" (Sez. V, n° 44701 del 29.10/01.12.2008, P.M. in proc. C., rv. 242588): la Corte di merito ha - con motivazione non censurata dal ricorso sotto il profilo del travisamento della prova e, dunque, della ricostruzione dei fatti - escluso una siffatta destinazione con riguardo all'ufficio della persona offesa, ricompreso, invece, nel genus della privata dimora al quale è riconducibile ogni luogo non pubblico, che serva, tra l'altro, all'esplicazione della vita professionale (Sez. V, n° 6010 del 19.03/17.06.1985, B., rv. 169790).
3. Il ricorso del Procuratore Generale presso la Corte di appello di Milano investe, per un verso, l'assoluzione di M.W. e di D.S.R. dal reato di cui al capo A) (primo motivo) e, per altro verso, l'assoluzione di C.R., B.V. e S.R. dal reato di cui al capo B) (secondo e terzo motivo).
3.1. Con riferimento alla posizione di M.W. e di D.S. R. il ricorso non merita accoglimento. Al riguardo, la Corte di Appello ha rilevato l'assoluta genericità dell'appello del Pubblico Ministero con riferimento a dette posizioni; a tale rilievo, la Corte di merito aggiunge l'argomentazione relativa al dubbio sull'elemento soggettivo del reato in capo agli imputati. Il Procuratore Generale ricorrente, mentre si concentra sull'argomentazione da ultimo richiamata, si limita a dedurre, sotto il primo profilo, che il gravame - riportato in parte qua nel ricorso - non difettava di specificità, come comprovato dalla ritenuta sussistenza del reato di cui all'art. 615-bis c.p., la doglianza non è fondata: mentre la configurabilita della fattispecie ritenuta dal giudice di appello non smentisce la sua valutazione della genericità dell'appello con riguardo agli imputati M. e D.S., il tenore del gravame, così come riportato in ricorso, conferma la sua articolazione in termini specifici con riguardo alla posizione di B. (indicato come mandante di cui si richiama la piena confessione) e la sua genericità con riguardo ai coimputati.
3.2. Anche il secondo e il terzo motivo, che investono il proscioglimento di C.R., B.V. e S. R. dal reato di cui al capo B) per difetto di querela correlato all'esclusione della circostanza aggravante di cui all'art. 615-bis c.p., co. 3, non sono fondati. In premessa, rileva il Collegio che non viene in rilievo la possibile configurabilita nel caso di specie della fattispecie di installazione di apparecchiature atte a intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche (artt. 617-bis e 623-bis c.p.): la configurabilita di tale reato, non contestato agli imputati, non ha formato oggetto di ricorso nè di disamina da parte dei giudici di merito (avuto riguardo, in particolare, al dolo specifico), mentre il riferimento a tale fattispecie è svolto solo a sostegno della tesi sostenuta dal P.G. ricorrente con il terzo motivo.
Ciò premesso, mette conto osservare, in primo luogo, che le doglianze del pubblico ministero ricorrente incentrate sul "parallelismo" tra la condanna di B. per il reato di cui al capo C) e l'assoluzione per il capo B) in esame - "parallelismo" sul quale si innesta la denuncia di contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata - sono destituite di fondamento: al di là della divergenza delle due imputazioni quanto all'epoca dei fatti e al ruolo rivestito da B. nelle due vicende, la sussistenza, con riferimento al reato sub C), della circostanza aggravante de qua è stata argomentata dalla Corte di appello sulla base della ritenuta utilizzazione, per l'integrazione della fattispecie concreta, dei collaboratori e degli strumenti della I.E.S. s.r.l., così esercitando abusivamente la pur autorizzata professione di investigatore privato. E' proprio siffatta "utilizzazione" che, come si vedrà, la Corte di merito ha escluso con riguardo all'episodio di cui al capo B).
In secondo luogo, deve rilevarsi che le sentenze di merito hanno concordemente escluso - solo - la sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 615-bis, co. 3, c.p.: in altri termini, non è in discussione l'integrazione, attraverso la ritenuta condotta di fornitura e installazione delle apparecchiature utilizzate nello studio di C., della fattispecie concorsuale. Di conseguenza, le doglianze del ricorrente che valorizzano (attraverso, in particolare, il riferimento all'intercettazione del 09/05/2008) la consapevolezza in capo agli altri coimputati della funzione alla quale l'impianto era destinato non inficiano le argomentazioni sottese al proscioglimento, poichè, appunto, il concorso nella fattispecie semplice di cui all'art. 615-bis c.p., non è posto in discussione.
Sotto un ulteriore profilo, occorre mettere a fuoco la ratio decidendi della pronuncia impugnata. La Sentenza di primo grado ha rilevato che B. e S. si limitarono a vendere e a installare il sistema antintrusione e di videosorveglianza "senza compiere alcun atto di natura investigativa-; la sentenza di appello, nel confermare l'esclusione della circostanza aggravante di cui all'art. 615 bis c.p., comma 3, ha contestato la deduzione del p.m. appellante (secondo cui integra la circostanza in questione l'aver offerto l'assistenza tecnica integrata tipica del lavoro svolto dagli imputati per conto di uffici di procura per soddisfare l'esigenza del tutto illegale del cliente), osservando, per un verso, che l'aggravante si riferisce a chi abusa dell'attività di investigatore privato e non di chi abusa delle competenze acquisite quale ausiliario di polizia giudiziaria e, per altro verso, che la ricostruzione in fatto del giudice di primo grado (in forza della quale, come si è visto, la condotta dei due imputati si era limitata alla fornitura e all'installazione delle apparecchiature) non può essere superata. Dalla messa fuoco della ratio decidendi delle concordi sentenze di merito discende che le ulteriori argomentazioni della Corte di appello circa la mancata prova di prova del difetto di titolarità della licenza prefettizia in capo alla società risultano svolte ad abundantiam ("... anche a voler smentire la ricostruzione del Tribunale..."), sicchè i pur pertinenti rilievi al riguardo del ricorrente non possono comportare l'annullamento della sentenza impugnata, investendo essi incongruenze prive di carattere di decisività (Sez. II, n° 9242 del 08/27.02.2013, R., rv. 254988).
Resta, dunque, da valutare la questione oggetto del terzo motivo, riassumibile nel seguente interrogativo: se la mera condotta consistita nella fornitura e nell'installazione delle apparecchiature di captazione integri o meno la circostanza aggravante in esame. La risposta negativa a detto interrogativo si ricollega alla ricostruzione del rapporto tra la fattispecie - base, incentrata sull'uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, e quella circostanziale, che delinea una particolare connotazione della prima, rappresentata dall'uso di detti strumenti nell'esercizio (anche abusivo) della professione di investigatore privato. In questa prospettiva, viene in rilievo il tenore letterale della disposizione di cui all'art. 615-bis , co. 3, c.p., che, per un verso, richiama le figure del pubblico ufficiale e dell'incaricato di un pubblico servizio che abbiano commesso il fatto con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio: si tratta della medesima formulazione normativa che si rinviene nell'art. 61 c.p., co. 1, n° 9, a proposito del quale la consolidata giurisprudenza di questa Corte non si accontenta della mera qualifica funzionale dell'agente, ma esige una correlazione tra la realizzazione della fattispecie di reato e l'esercizio del potere (o la violazione del dovere), nel senso che detta qualità abbia almeno agevolato la commissione del reato (Sez. II, n° 20870 del 30.04/18.05.2009, B. e altro, rv. 244738; Sez. V, n° 50586 del 07.11/13.12.2013, G., rv. 257842); per altro verso, il terzo comma dell'art. 615-bis c.p. fa riferimento a chi esercita la professione di investigatore privato, espressione del pari descrittiva di una definizione della fattispecie circostanziale che esige una connessione, nel senso appena indicato, tra fatto-reato e l'esercizio della professione in questione.
Anche l'interpretazione sistematica della norma impone una ricostruzione in termini omogenei delle due ipotesi prese in considerazione dal terzo comma dell'art. 615 bis c.p., sicchè per entrambe la fattispecie circostanziale si perfeziona con l'uso di strumenti di ripresa visiva o sonora realizzato, nel primo caso, abusando dei poteri o violando i doveri inerenti alla funzione o al servizio e, nel secondo, esercitando la professione di investigatore privato: una diversa lettura (caldeggiata dal ricorrente) verrebbe a configurare - solo - l'ipotesi in esame come una circostanza, per così dire, "di posizione", ossia correlata al semplice dato soggettivo dell'esercizio da parte dell'agente dell'attività professionale, ma senza che detto esercizio qualifichi - necessariamente - la concreta realizzazione del fatto di interferenza nella vita privata, così determinando una ingiustificata dilatazione dei presupposti applicativi della seconda ipotesi rispetto alla prima, a fronte della univoca identità della ratio del trattamento sanzionatorio aggravato.
Chiarito, dunque, che l'esercizio (anche abusivo) della professione di investigatore privato deve essere connesso, nel senso indicato, alla condotta di interferenza, occorre stabilire, con riferimento al caso in esame, se detta connessione possa dirsi integrata dalla fornitura e dall'installazione delle apparecchiature utilizzate per la captazione. La risposta negativa al quesito discende, sotto un primo profilo, proprio dalla disciplina dettata dall'art. 617-bis c.p., richiamata dal ricorrente: secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, il reato previsto dall'art. 617-bis c.p., anticipa la tutela della riservatezza e della libertà delle comunicazioni mediante l'incriminazione di fatti prodromici all'effettiva lesione del bene, punendo l'installazione di apparati o di strumenti, ovvero di semplici parti di essi, per intercettare o impedire comunicazioni o conversazioni telefoniche, sicchè, ai fini della configurabilità del reato, deve aversi riguardo alla sola attività di installazione e non a quella successiva dell'intercettazione o impedimento delle altrui comunicazioni, che rileva solo come fine della condotta, con la conseguenza che il reato si consuma anche se gli apparecchi installati, fuori dall'ipotesi di una loro inidoneità assoluta, non abbiano funzionato o non siano stati attivati (Sez. V, n° 48285 del 10.11/15.12.2004, C., rv. 230515; conf.: Sez. II, n° 37710 del 24.09/03.10.2008, P., rv. 241456). Nell'interpretazione dell'art. 617-bis c.p., offerta dal diritto vivente, la condotta di installazione è prodromica al fatto tipico di intercettazione o di impedimento di comunicazione: mutuando tale insegnamento con riguardo al caso in esame, deve concludersi che l'installazione (e a fortiori la fornitura) degli strumenti di ripresa visiva e sonora è fatto prodromico all'uso di detti strumenti, uso che, pertanto, non può dirsi realizzato nell'esercizio della professione di investigatore privato. Ferma restando, come si è detto, la possibile valenza concorsuale della condotta di installazione rispetto al reato di interferenza illecita, tale condotta integra un "mero antefatto materiale" (così, escludendo la configurabilità della circostanza di cui all'art. 61 c.p., co. 1, n° 9, Sez. I, n° 24894 del 28.05/16.06.2009, P.G., P.C. e B., rv. 243805) del fatto tipico di cui all'art. 615-bis c.p., il che esclude la configurabilità, nel caso di specie, della circostanza aggravante in esame.
4. Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di B.V. limitatamente al reato sub C) in quanto estinto per prescrizione, mentre il ricorsi del Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Milano e di B.W. devono essere rigettati, con condanna di quest'ultimo al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la Sentenza impugnata nei confronti di B. V. limitatamente al reato di cui al capo C), per essere lo stesso estinto per prescrizione. Rigetta il Ricorso del P.G. e quello di B.W., condannando quest'ultimo al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 31 marzo 2015.
Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2015
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