Penale

PENALE - Truffa, assegni bancari e non corrispondenza della firma di traenza.

diversità intenzionale

Commette il reato di truffa colui che emette un titolo bancario senza copertura, sottoscrivendolo con una grafia intenzionalmente non corrispondente allo "specimen" dal lui stesso depositato nell'istituto di credito.
La Corte di Cassazione nella Sentenza di seguito riportata -  confermando la Sentenza della Corte d'Appello di Genova, circa la sussistenza delle condizioni per l'estradizione -
ha evidenziato come tale condotta costituisca un "artifizio" idoneo ad integrare l'elemento oggettivo della truffa.

La Sentenza in esame si pone in senso contrario all'orientamento prevalente che, sempre nell'ambito del mandato di arresto europeo, ha più volte rifiutato la consegna della persona ricercata per mancanza del presupposto della doppia punibilità richiesto per l'estradizione dall'art. 7 L. 22.04.2005 n° 69 (cfr. Cass. 18.06.2009, Hogea, CED 245589).
Nel nostro Ordinamento, infatti, il mero acquisto di merci con assegni scoperti è stato depenalizzato con D.L.vo 30.12.99 n° 507 e, pertanto, costituisce oggi un mero illecito amministrativo. 
Ai fini della sussistenza del delitto di truffa non basta, quindi, la mera emissione di assegni a vuoto, ma è necessario che tale comportamento sia accompagnato da artifizi o raggiri.
Tale quid pluris può essere costituito, come è stato ritenuto dal S.C. per il caso in esame, dalla non corrispondenza della firma di traenza a quella posta nel conto corrente bancario o postale o, ancora, dall'accertamento, in concreto, delle modalità di spendita del titolo, qualora il prevenuto abbia, ad esempio, fornito ampie rassicurazioni sull'affidabilità e copertura degli assegni o sulla sua solidità economica (cfr. Cass. pen., sez. V, 26.02/28.06.1980 n° 8199).
Un caso a sè è, invece, costituito dall'emissione di assegni "postdatati": per i giudici della S.C. non è sufficiente il semplice pagamento con tale modalità per trarre in inganno, perchè la post-datazione è già di per sè indice rivelatore della mancanza di copertura dell'assegno.
Serve, dunque, in questo caso, un ulteriore e diverso comportamento comportamento del traente, che sia idoneo a generare nel prenditore un ragionevole affidamento sull'onestà e sulla solvibilità del soggetto attivo (cfr. Cass Pen., Sent. 10.12.1987).

Sussiste, infine, delitto di truffa nel caso di rilascio di assegni bancari di cui viene poi falsamente presentata denuncia di "smarrimento" del carnet, poichè in tal modo viene ad essere reso inefficace proprio quel titolo raffigurato come valido al momento del rilascio (cfr. Cass. Pen., 23.09.2003 n° 41461).
Peraltro, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. VI Pen., 25.10/28.10.2011 n° 39237), in ordine alla sussistenza del delitto previsto e punito dall'art. 368 C.P., è stato esattamente precisato che "La falsa dichiarazione o denuncia a un ufficiale di p.g. di aver smarrito un assegno consegnato invece in pagamento a un altro soggetto integra il reato di calunnia, poiché simula ai danni del prenditore del titolo il reato di furto o quello di ricettazione, e non eventualmente quello di appropriazione di cosa smarrita. In proposito, è del tutto irrilevante l'evenienza che alla denuncia di smarrimento possa non aver fatto seguito la proposizione della querela per i reati di appropriazione indebita e di falso in assegno. Infatti, perché possa configurarsi il reato di appropriazione indebita di cosa smarrita è necessario che la cosa sia uscita definitivamente dalla sfera di disponibilità del legittimo possessore e che questi non sia in grado di ripristinare su di essa il primitivo potere onde, poiché è sicuramente e agevolmente possibile risalire, sulla base delle annotazioni contenute nell'assegno, al titolare del conto, chi si impossessa illegittimamente del titolo commette o il reato di furto o quello di ricettazione".
Conseguentemente la falsa denuncia di smarrimento di assegno rappresenta l'elemento materiale del reato di calunnia commesso dal denunciante.

Corte di Cassazione, Sez. VI Pen., Sent. 04/16.11.2011 n° 42385

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE VI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AGRÒ Antonio, Presidente 
Dott. LANZA Luigi, Rel. Consigliere
Dott. ROTUNDO Vincenzo, Consigliere
Dott. FAZIO Anna Maria, Consigliere
Dott. CALVANESE Ersilia, Consigliere
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul Ricorso proposto da: S.M., nata a (omissis);
avverso la decisione di estradizione della Corte di appello di Genova in data 27.05.2011.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il Ricorso.
Udita la relazione fatta dal Consigliere Luigi Lanza.
Sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale Enrico Delehaye che ha concluso per il rigetto del Ricorso.

Ritenuto in fatto e considerato in diritto

S.M. ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso la decisione della Corte di appello di Genova in data 27.05.2011 che ha dichiarato la sussistenza delle condizioni per l'estradizione verso lo Stato di Romania, deducendo vizi e violazioni nella motivazione nella decisione impugnata, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati.
1.) la vicenda processuale.
Agli atti risulta la seguente scansione dei fatti, rilevanti ai fini della chiesta estradizione:
a) la S. è stata tratta in arresto il 16.02.2011 al fine di estradizione in forza del mandato di arresto del 20.02.2007 n° 1006 emesso dalla Pretura di Piatra Neamt per l'esecuzione della condanna alla pena di anni 4 di reclusione, così determinata dalla Sentenza n° 679 del 07.06.2007 della Pretura di Piatra Neamt, confermata con Sentenza n° 899/2007 della Corte di Appello di Bacau;
b) convalidato l'arresto, la misura cautelare della custodia in carcere applicata è stata sostituita in data 25.02.2011 con la misura dell’obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria due volte alla settimana; l'estradanda, comparsa per l'identificazione avanti il Presidente della Corte ligure, ha espresso rifiuto alla estradizione;
c) la condanna complessiva di anni 4 di reclusione è il frutto del cumulo delle condanne: di anni 2 di reclusione, inflitti con Sentenza n° 1114 del 22.11.2001 della Pretura di Radauti per il reato di truffa; anni 3 di reclusione giusta Sentenza n° 574 del 25.10.2002 della Pretura di Humorului per il reato di truffa; anni 4 di reclusione inflitti con Sentenza n° 679 del 07.06.2007 della Pretura di Piatra Neamt, confermata con Sentenza n° 899/2007 della Corte di Appello di Bacau (decisione che ha operato anche il cumulo giuridico delle tre condanne) per i reati di omessa registrazione nelle scritture contabili dei redditi d'impresa o la registrazione di costi per operazioni inesistenti cui sia conseguito un minore debito d'imposta, nonchè di falso in bilancio.
La corte distrettuale ha precisato, quanto alle alterazioni contabili che comportano evasione dell’imposta sui redditi, che il Protocollo aggiuntivo alla Convenzione Europea di Estradizione, adottato a Strasburgo il 17.03.1978, consente l'estradizione anche per i reati di natura fiscale, mentre il principio della "doppia incriminabilità" specifica va inteso nel senso che fra le fattispecie delle due legislazioni deve sussistere equivalenza delle concezioni repressive, non essendo necessaria la totale sovrapponibilità (e quindi essendo irrilevanti le eventuali diverse soglie di punibilità) (si cita in proposito: Cass. sez. 6, n° 16198/2008 con riferimento ad estradizione richiesta dalla Romania).
Su tali premesse la Corte di appello ha dichiarato sussistenti le condizioni per la pronuncia di estradizione, subordinando la decisione al rispetto della condizione di specialità di cui all’art. 14 della Convenzione Europea di Estradizione e art. 699 C.P.P.
2.) i motivi di ricorso e le ragioni della decisione della Corte di legittimità.
Con un primo motivo di impugnazione si prospetta violazione di legge, rilevandosi preliminarmente che questa Corte con Ordinanza 5580/2011 ha ritenuto non manifestamente infondata, con riferimento all’art. 3 Cost., art. 27 Cost., co. 3 e art. 117 Cost., co. 1, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 705 C.P.P., nella parte in cui non prevede il rifiuto della consegna, e la conseguente possibilità di scontare la pena in Italia, in favore del condannato, cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea, residente o dimorante nel nostro territorio ed ivi stabilmente radicato, per il quale sia stata attivata l'ordinaria procedura di estradizione, e non quella della consegna sulla base di un mandato d'arresto europeo, in ragione dell’epoca del commesso reato, antecedente alla data del 07.08.2002 (sì da escludere l'operatività della condizione ostativa alla consegna prevista dalla L. n° 69 del 2005, art. 18, co. 1, lettera r), così come interpretato a seguito della pronuncia n° 227 del 2010 della Corte costituzionale) (Fattispecie relativa ad una domanda di estradizione esecutiva avanzata dalla Romania) (Cass. pen., sez. VI, Ordinanza 5580/2011).
In proposito il Ricorso evidenzia che la S. si trova in Italia dall’anno 2002 ed ivi si è stabilmente integrata: dispone di un regolare rapporto di lavoro come impiegata nel settore delle pulizie alle dipendenza della (omissis) e ha uno stabile e riconosciuto domicilio in (omissis), ove risiede. Inoltre, è fermamente intenzionata a conservare la propria posizione lavorativa e sociale.
lIl motivo non ha fondamento.
La Corte costituzionale, infatti, con Sentenza 17.10.2011 n° 274 (in G.U. 45 del 26.10.2011), ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimita' costituzionale dell’art. 705 C.P.P., sollevata dalla Corte di Cassazione, con Ordinanza del 14.02.2011 (r.o. n° 71 del 2011), in riferimento all’art. 3 Cost., art. 27, co. 3 Cost. e art. 117, co. 1 Cost.; ha altresi' dichiarato inammissibile la questione di legittimita' costituzionale dell’art. 705 C.P.P. e della L. 22.04.2005, n° 69, art. 40 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13.06.2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), sollevata dalla Corte di Cassazione, con Ordinanza del 25.03.2011 (r.o. n° 147 del 2011), in riferimento all’art. 3 Cost., art. 27, co. 3 Cost. e arti. 117, co. 1 Cost..
Il motivo va quindi rigettato.
Quanto ai reati di truffa contestati, si sostiene la mancanza di una denunzia-querela, citandosi in proposito l'art. 33, co. 1, lettera c), della Convenzione di estradizione tra la Repubblica Italiana e la Repubblica di Romania, conclusa a Bucarest l'11.11.1971 e ratificata con L. 20.02.1975, n°127.
La questione, superata dalla sopravvenienza del Protocollo aggiuntivo alla Convenzione Europea di Estradizione adottato a Strasburgo il 17.03.1978, in ogni caso non rileva posto che dalle decisioni allegate risulta che l'azione penale è stata radicata su iniziativa delle parti offese.
Per ciò che attiene poi all’elemento materiale del reato di truffa, si sostiene che il mero acquisto di merci pagate con assegni privi di copertura, senza evidenziare la presenza di artifici o raggiri, non è sussumibile nel reato di cui all’art. 640 C.P., bensì verrebbe a configurare l'ipotesi di cui alla L. 15.12.1990, n° 386, art. 2, depenalizzata dal D.L.vo 30.12.1999, n° 507, art. 29 (Cass. Pen., Sez. VI, Sent. n° 34624 del 27.06.2008).
L'argomento non è risolutivo per due ordini di ragioni.
Innanzitutto, perchè nella prima "truffa" alla dazione in pagamento di un titolo bancario senza copertura si è accompagnato l'artifizio della redazione di una sottoscrizione della traente con una grafia, intenzionalmente non corrispondente allo "specimen" dalla stessa depositato nell'istituto di credito.
In secondo luogo perché, ferma restando la regola che la mera dazione in pagamento di un assegno bancario privo di copertura non integra l'azione esecutiva del delitto di truffa, ciò non esclude affatto, come giustamente ritenuto dal giudice della Romania, che le modalità di spendita del titolo si siano in concreto accompagnate nella vicenda da condotte dell’imputata idonee a connotare una specifica intenzionale condotta truffaldina.
Da ultimo, per i reati fiscali si sostiene che per essi troverebbe applicazione la Convenzione tra Italia e Romania concernente l'assistenza giudiziaria in materia civile e penale, ratificata dallo stato italiano con L. 20.02.1975, n° 127.
La deduzione è palesemente infondata e comunque priva di specificità in quanto ignora quanto sul punto argomentato dalla corte distrettuale la quale ha precisato, quanto alle alterazioni contabili che comportavano evasione dell’imposta sui redditi, che il Protocollo aggiuntivo alla Convenzione Europea di Estradizione, adottato a Strasburgo il 17.03.1978, consentiva l'estradizione anche per i reati di natura fiscale.
Il Ricorso va quindi rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 203 disp. att. C.P.P.

P.Q.M.

Rigetta il Ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 203 disp. att. C.P.P.
Così deciso in Roma, il 04.11.2011.

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