Investigazioni

INVESTIGAZIONE PRIVATA - Inammissibilità dell'esame di investigatore privato "a scatola chiusa".

violenza sessuale
Cassazione penale, Sez. III, 23.06.2010/28.09.2010, n° 35041
Fascicolo del difensore e inammissibilità di deposizione dell'investigatore con istanza probatoria "a scatola chiusa"

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MAIO Guido - Presidente -
Dott. PETTI Ciro - Consigliere -
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere -
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere -
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da: D.G. nato il (OMISSIS), avverso la sentenza del 30.6.2009 della Corte di Appello di Genova;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dr. Silvio Amoresano;
sentito il P.G., Dr. Guglielmo Passacantando, che ha per il rigetto del ricorso sentito il difensore di parte civile, avv. Simona Perrone, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
sentito il difensore dell'imputato, avv. Marini Andrea, in sost. Avv. Mirko Mozzali, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
Fatto
OSSERVA
1) La Corte di Appello di Genova, con sentenza del 30.6.2009, confermava la sentenza del Tribunale di Savona del 6.6.2005, con la quale D.G. era stato condannato, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generi che dichiarate equivalenti alla contestata aggravante, alla pena di anni otto di reclusione per il reato di cui all'art. 81 cpv., art. 609 quater, comma 1, n. 1, art. 61 c.p., n. 11, "perchè, abusando delle relazioni domestiche dovute al rapporto sentimentale intrattenuto con la madre della minore, della assidua frequentazione della casa ove la minore viveva, dei periodi di convivenza con la minore e con la di lei madre, e del fatto che la minore gli veniva frequentemente affidata per ragioni di cura, custodia ed educazione, compiva atti sessuali con B. I., nata il (OMISSIS), e in particolare in ripetute e frequenti occasioni la baciava e toccava sul corpo e nelle parti intime e aveva rapporti sessuali completi con lei"; con condanna al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili e con attribuzione alle stesse di provvisionale immediatamente esecutiva.
Premetteva la Corte che, con l'atto di appello, erano stati svolti rilievi esclusivamente in relazione ai rapporti sessuali completi, senza tener conto che l'eventuale esclusione di questi non avrebbe comportato l'assoluzione dell'imputato, essendo la contestazione ampia. Assumeva poi che correttamente il Tribunale, con ordinanza del 16.3.2005, non aveva ammesso il teste C.. Pur potendo il difensore anche non presentare la documentazione relativa alle indagini difensive, il Tribunale avrebbe dovuto essere posto in condizione di valutare la rilevanza e la pertinenza della testimonianza ex artt. 468, 187 e 190 c.p.p.. A maggior ragione non si poteva far luogo a rinnovazione del dibattimento non essendo stato, neppure nel giudizio di appello (quando non sussistevano più esigenze di segretezza), fornito alcun elemento di valutazione ex art. 603 c.p.p..
Confermava, altresì, la Corte tutte le ordinanze con le quali il Tribunale non aveva ammesso le ulteriori richieste istruttorie avanzate dalla difesa dell'imputato. Rigettava poi le doglianze difensive di "merito", avendo i primi giudici fondato l'affermazione di responsabilità sulla valutazione, pienamente condivisa, di attendibilità delle dichiarazioni precise, circostanziate, reiterate, spontanee della parte offesa.
2) Ricorre per cassazione il difensore del D., denunciando con il primo motivo la omessa decisione e motivazione in ordine alla impugnazione dell'ordinanza 16.3.2005, con cui il Tribunale aveva negato alla difesa di procedere al controesame dei testi indicati ai nn. 1, 3, 6, 9, 19 della propria lista. Benchè l'ordinanza in questione fosse stata specificamente impugnata (pag. 4 motivi di appello), la Corte ha omesso completamente di motivare. Eppure, come affermato anche dalla giurisprudenza di legittimità, impedire il controesame costituisce grave violazione dei diritti di difesa e determina la nullità della sentenza.
Con il secondo motivo denuncia la violazione dei diritti di difesa in relazione alla mancata ammissione del teste C.O., indicato al n. 20 della lista, e, comunque, l'omessa assunzione di una prova decisiva.
La Corte incorre in equivoco, confondendo tra la fase cautelare, in cui è necessario produrre la documentazione relativa alle indagini difensive affinchè questa sia valutata, ed il dibattimento. Non c'è dubbio che il giudice debba valutare la congruità e rilevanza della prova, ma ciò deve fare sulla base degli elementi da lui conosciuti o conoscibili (e tra questi non rientrano gli atti compiuti nelle indagini preliminare come si evince dal disposto dell'art. 493 c.p.p.).
Con il terzo motivo denuncia la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla irrilevanza della circostanza relativa alla prova del congiungimento carnale. La motivazione della sentenza sul punto non tiene conto che la ricostruzione di quanto effettivamente accaduto tra imputato e parte offesa incideva sulla attendibilità delle complessive dichiarazioni della medesima e quindi si rifletteva anche sulle altre parti dell'imputazione. La Corte territoriale procede, invece, ad una ingiustificata frammentazione delle dichiarazioni della medesima parte offesa.
Con il quarto motivo denuncia la violazione dell'art. 597 c.p.p. e comunque la illogicità della motivazione in ordine alla identificazione del devolutum, nonchè la contraddittorietà della motivazione stessa. Secondo la Corte territoriale si sarebbe formato una sorta di giudicato sulle condotte diverse dalla congiunzione carnale. La difesa invece contestava con l'appello sia l'attendibilità intrinseca che estrinseca delle complessive dichiarazioni della p.o., nonchè l'assoluta inverosimiglianza delle stesse.
Con il quinto motivo, infine, denuncia la illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine ai criteri adottati nella valutazione delle dichiarazioni della parte offesa. La forte territoriale prescinde da qualsiasi elemento di riscontro, tanto più necessario nel caso di specie, essendosi la predetta costituita parte civile ed avendo avanzato notevoli pretese economiche.
3) Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato.
3.1) Vanno preliminarmente esaminate le eccezioni di nullità di cui al primo e secondo motivo di ricorso, in ordine alle quali, venendo denunciata la violazione di norme processuali, il giudice di legittimità è giudice anche del fatto e deve compiere direttamente gli accertamenti necessari alla decisione.
3.1.1) Quanto alla denunciata violazione dell'art. 178 c.p.p. per violazione del diritto di difesa per non aver il Tribunale consentito il contro esame dei testi indicati ai n. 1, 3, 6, 9 e 19 della lista, va innanzitutto rilevato che la Corte territoriale, davanti alla quale era stata già proposta l'eccezione, ha motivato per relationem avendo, comunque, richiamato "la correttezza delle ordinanze" del 16.3.05 e 23.5.05.
Con la lista, depositata in cancelleria in data 23.3.2004. la difesa dell'imputato aveva richiesto l'esame, tra gli altri, dell'isp. S.G. (n. 1 della lista), di G.G. (n. 3), di F.S. (n. 6), di R.E. (n. 9), di S.G. (n. 19).
Il Tribunale, con ordinanza in data 16.3.2005, ammetteva i predetti testi ed altri indicati nella lista, precisando però "che i testi delle rispettive liste possono essere sentiti solo con esame diretto se indicati comunemente".
Tale decisione, già contestata con la memoria difensiva del 4.4.2005, non è censurabile, non tenendo conto il ricorrente che, a norma dell'art. 498 c.p.p., il controesame dei testimoni è previsto per "le parti che non hanno chiesto l'esame".
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, ".. non essendo espressamente contemplata dalla legge la ipotesi della richiesta concorrente delle parti (nella specie pubblico ministero e imputato) di esaminare un testimone sulle stesse circostanze, deve ritenersi in tal caso che, non potendosi in concreto distinguere sul piano logico un esame diretto e un controesame, il contraddittorio resta assicurato sempre che la accusa e la difesa siano messe in grado di procedere all'esame ..." (cfr. Cass. pen. sez. 6 n. 9901 dell'8- 7.1998.
Non è minimamente contestato che la difesa abbia potuto esaminare i testi indicati nella propria lista, secondo l'ordine indicato dall'art. 496 cod. proc. pen., comma 1;
sicchè il contraddittorio è rimasto pienamente assicurato.
In ogni caso la violazione delle prescrizioni riguardanti l'esame testimoniale non rende le dichiarazioni assunte Inutilizzabili, "trattandosi di prove assunte non in violazione dei divieti di legge, bensì con modalità diverse da quelle previste dalla legge", nè nude in difetto di una specifica previsione di nullità, e non rientrando fa fattispecie in alcuna delle nullità di ordine generale previste dall'art. 178 cod. proc. pen." (Cass. Sez. 2 n. 7922 del 5.2.2008).
3.1.2) Con la medesima lista, depositata il 23.4.2004, la difesa indicava al n. 20 C.O. - Investigatore privato il quale avrebbe dovuto deporre "in ordine alla attività investigativa svolta, finalizzata alla ricerca di elementi fattuali e storici, nonchè sulla raccolta di informazioni relative alla ricostruzione dei fatti per cui è processo".
Il Tribunale, con la stessa ordinanza del 16.3.2005, non ammetteva il teste "in quanto non essendo stato rispettato l'art. 391 octies c.p.p., atteso il mancato deposito degli atti che documentino l'attività investigativa, non è possibile valutare la rilevanza della prova offerta".
3.1.2.1) Non c'è dubbio che in un sistema processuale come quello vigente, caratterizzato dalla dialettica delle parti, alle quali compete l'onere di allegare le prove a sostegno delle rispettive richieste, il giudice debba limitarsi a valutare soprattutto la pertinenza della prova al thema decidendum. Ogni diversa valutazione, collegata alla attendibilità della prova e quindi al "risultato" della stessa, esula dai poteri del giudice (l'art. 190 prevede invero che le prove sono ammesse a richiesta di parte) e finirebbe per espropriare le parti del diritto alla prova.
Tale diritto alla prova non è, però, "assoluto", ponendo lo stesso legislatore dei limiti:
il giudice è tenuto infatti ad escludere le prove vietate dalla legge e quelle che manifestamente sono superflue o irrilevanti (art. 190 c.p.p., comma 1).
Tali principi sono stati reiteratamente ribaditi dalla giurisprudenza di questa Corte secondo cui "il diritto all'ammissione della prova indicata a discarico sui fatti costituenti oggetto della prova a carico, che l'art. 495 cod. proc. pen., comma 2, riconosce all'imputato incontra limiti precisi nell'ordinamento processuale, secondo il disposto degli artt. 188, 189, art. 190 cod. proc. pen. e, pertanto, deve armonizzarsi con il potere-dovere, attribuito al giudice del dibattimento, di valutare la liceità e la rilevanza della prova richiesta, ancorchè definita decisiva dalla parte, onde escludere quelle vietate dalla legge e quelle manifestamente superflue o irrilevanti" (cfr. Cass. pen. sez. 2 n. 2350 del 21.12.2004).
Per quanto riguarda il giudizio di secondo grado è altrettanto indubitabile che "... il giudice d'appello, dinanzi al quale sia dedotta la violazione dell'art. 495 cod. proc. pen., comma 2, debba decidere sull'ammissibilità della prova secondo i parametri rigorosi previsti dall'art. 190 citato codice, mentre non può avvalersi dei poteri meramente discrezionali riconosciutigli dal successivo art. 603 in ordine alla valutazione di ammissibilità delle prove non sopravvenute al giudizio di primo grado" (cfr. Cass. sez. 6 n. 761 del 10.10.2006).
Laddove, invece, non venga dedotta la violazione dell'art. 495 c.p.p., il giudice di appello, in presenza di una richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, a norma dell'art. 603 c.p.p., comma 1, dispone l'integrazione istruttoria solo se ritenga che il processo non possa ere deciso alto stato degli atti. La rinnovazione del dibattimento nella fase di appello ha, infatti, carattere eccezionale, dovendo vincere la presunzione di completezza dell'indagine probatoria del giudizio di primo grado. Ad essa può, quindi, farsi ricorso solo quando il giudice la ritenga necessaria ai fini del decidere.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte "in tema di rinnovazione, in appello, della istruzione dibattimentale, il giudice, pur investito con i motivi di impugnazione di specifica richiesta, è tenuto a motivare solo nel caso in cui a detta rinnovazione acceda;
invero, in considerazione del principio di presunzione di completezza della istruttoria compiuta in primo grado, egli deve dar conto dell'uso che va a fare del suo potere discrezionale, conseguente alla convinzione maturata di non poter decidere allo stato degli atti. Non così viceversa, nella ipotesi di rigetto, in quanto, in tal caso, la motivazione potrà essere implicita e desumibile dalla stessa struttura argomentativa della sentenza di appello, con la quale si evidenzia la sussistenza di elementi sufficienti alla affermazione, o negazione, di responsabilità" (cfr. Cass. sez. 5 n. 8891 del 16.5.2000; Cass. sez. 6 n. 5782 del 18.12.2006).
Nel caso in cui, invece, le nuove prove siano sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, il giudice di appello dispone la rinnovazione dell'istruzione nei limiti previsti dall'art. 495, comma 1 (art. 603 c.p.p., comma 2).
La netta distinzione tra le due diverse ipotesi è pacificamente riconosciuta, per cui quando in appello venga richiesta l'assunzione di nuove prove, il giudice di appello è obbligato a disporre la rinnovazione del dibattimento se le nuove prove di cui si chiede l'assunzione siano sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, mentre negli altri casi solo se ritenga di non essere in grado di decidere allo stato degli atti.
3.1.2.2) La Corte territoriale ha, innanzitutto, ritenuto che non vi fosse stato alcuna violazione, da parte del Tribunale, del diritto alla prova.
A prescindere dal richiamo (indubbiamente erroneo) al mancato deposito del fascicolo dette indagini difensive di cui all'art. 391 octies, ha rilevato la Corte territoriale, ineccepibilmente, che la difesa non ha adempiuto, comunque, all'onere di consentire di accertare la rilevanza e la pertinenza della prova di cui si chiedeva l'ammissione. La difesa stessa ha infatti preteso l'ammissione di una prova "a scatola chiusa", "a prescindere"; pretesa questa fuori dal sistema, in quanto idonea a svuotare di significato il combinato disposto degli artt. 468, 187 e 190 c.p.p.. Ed in effetti l'estrema genericità della stessa indicazione delle circostanze, su cui il C. avrebbe dovuto deporre, non consentiva (in mancanza di qualsiasi ulteriore elemento) di valutare la rilevanza della prova.
La Corte territoriale ha poi, adeguatamente e correttamente motivato in ordine alla palese insussistenza dei presupposti richiesti dall'art. 603 c.p.p., comma 1, per disporre la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale per l'esame del teste C.. Ha rilevato, infatti, che ".. non si dice neppure se vi siano stati risultati e quali in altre parole, secondo la stessa prospettazione dei difensori appellanti, il C. dovrebbe venire a raccontare che cosa ha fatto per evidenziare t'innocenza del D. e per smentire la tesi dell'accusa pubblica e privata, non per indicare elementi concreti in appoggio all'estraneità del D. e all'inattendibilità delle accuse".
3.1.2.3) Tantomeno può essere denunciata, in questa sede l'omessa assunzione di una prova decisiva ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d).
E' assolutamente pacifico che "il vizio di mancata assunzione èi prova decisiva è configurabile soltanto allorchè la denegata prova, confrontata con le ragioni addotte a sostegno detta decisione, sia al tal natura da poter determinare una diversa conclusione del processo, ma non quando trattasi di fatto insuscettibile di incidere effettivamente e, quindi, in concreto, sulla formazione del convincimento del giudice..".
(ex multis Cass. pen. sez. 1^ n. 11302 del 9.12.1993). Anche la giurisprudenza successiva ha ribadito che il vizio di mancata assunzione di una prova decisiva rileva "quando la prova richiesta e non ammessa, confrontata con le argomentazioni addotte in motivazione a sostegno della decisione, risulti decisiva, cioè tale che, se esperita, avrebbe potuto determinare una diversa decisione" (Cass. sez. 4, 8.5.2007 n. 27738; conf. Cass. sez. 6 n. 14916 del 25.3.2010).
Il ricorrente non ha neppure indicato i motivi per cui la testimonianza del C. avrebbe potuto determinare una diversa decisione del processo.
3.2) Gli altri motivi sono inammissibili.
3.2.1) Non vi è stata, innanzitutto, alcuna violazione dell'art. 597 c.p.p. nella identificazione del "devolutum".
La Corte territoriale si è limitata, invero, ad affermare che con i motivi di appello erano stati svolti rilievi soltanto in ordine alla insussistenza dei rapporti sessuali completi, a fronte di una imputazione che comprendeva anche altre aggressioni alla sfera sessuale della parte offesa ".. in ripetute e frequenti occasioni la baciava e toccava sul corpo e nelle parti intime".
3.2.2) Ne è esatto che non abbia esaminato detti rilievi sotto il profilo della dedotta inattendibilità della parte offesa. Dopo aver ampiamente esposto i motivi di appello con i quoti si contestava fa attendibilità intrinseca detta B. in ordine ai presunti congiungimenti carnali, la Corte territoriale ha motivato adeguatamente e correttamente in ordine alle ragioni che l'hanno indotta ad escludere che le risultanze processuali smentiscano sul punto la medesima parte offesa. Non ha ritenuto quindi irrilevante "aprioristicamente" la questione in relazione all'esistenza dei denunciati rapporti sessuali completi.
Nell'esaminare le richieste istruttorie avanzate sia in primo grado che in appello, la Corte ha evidenziato che la dr.ssa B. aveva inteso il proprio compito come volto alla individuazione di possibili conseguenze patologiche in termini di contagio per via sessuale, non ritenendo di doversi specificamente occupare dell'imene (accertamento demandato alla Clinica (OMISSIS)). Effettuò, quindi, un'indagine di tipo internistico con uno "speculum virginis", che non comporta evidentemente "nessuna specifica ammissione, da parte del sanitario, di una accertata situazione di verginità e neppure la sottintende..". Il mancato specifico esame dell'imene da parte della Dr.ssa B., esclude, quindi, secondo fa Corte di merito, che dalla sua testimonianza possano trarsi argomenti a sostegno della tesi difensiva (pag. 15 sent.).
La Corte ha ribadito quanto già affermato dal Tribunale secondo cui la tesi difensiva (l'imene della ragazza si presentava integro e non poteva esserci stata perciò penetrazione) non emergeva affatto dalle dichiarazioni della B., la quale non aveva accertato che l'imene fosse integro, nè che avesse - o non avesse - caratteristiche di elasticità (pag. 26 sent. Trib.).
Quanto alle dichiarazioni della G., la Corte, dopo aver ricordato che la contestazione oggi vale non come prova dei fatti in essa affermati, ma solo ai fini della credibilità della teste" ha rilevato che la tesi di una reticenza della G. medesima appariva frutto di mera illazione, avendo la teste fornito plausibili spiegazioni in ordine al suo "non ricordo" (pag. 15 sent.).
In ordine alla questione del "coitorca" ha ritenuto, da un lato, che "non si può scindere quanto riportato in cartella clinica a proposito di un rapporto sessuale completo già avvenuto .." e, dall'altro che la stessa difesa non spiega "come conciliare la propettazione di coscienza e veridicità di una risposta data dalla B., che necessariamente presuppone una pregressa deflorazione al momento della visita, con la strenua propettazione di integrità dell'imene ..." (pag. 16).
La Corte territoriale, quindi, con motivazione articolata ed immune da vizi logici, ha escluso la fondatezza delle prospettazioni difensive e, perciò, implicitamente, ha riconosciuto la piena attendibilità delle dichiarazioni della B. anche in ordine ai rapporti sessuali completi.
3.2.3) E' assolutamente pacifico che le dichiarazioni della persona offesa dal reato possano essere assunte quali fonti del convincimento senza necessità di riscontri esterni. Il giudice, tuttavia, non può sottrarsi ad un esame dell'attendibilità del dichiarante, che deve essere particolarmente rigoroso quando siano carenti dati oggettivi emergenti dagli atti, che confortino l'assunto accusatorio. E' quindi necessario, stante l'interesse che ha la parte offesa verso l'esito del giudizio, vagliare le sue dichiarazioni con ogni cautela, compiendo un esame particolarmente rigoroso anche attraverso una conferma di altri elementi probatori.
I giudici di merito si sono attenuti a tali consolidati principi. La Corte territoriale, nel rinviare all'ampia motivazione del Tribunale ha esaminato e confutato tutti i rilievi contenuti nell'atto di appello non solo, come si è visto, in ordine alla pretesa insussistenza dei riferiti rapporti sessuali completi, ma anche, in particolare., in relazione alla pretesa assurdità delle dichiarazioni della B. sulla "teoria del D. di normalità di rapporti intimi tra stretti congiunti" (pag. 24 e 25) e sull'atteggiamento psicologico della ragazza (pag. 25-26). A conforto della piena attendibilità delle dichiarazioni della B. la Corte di merito ha sottolineato la reiterazione e costanza del racconto, la spontaneità, la commozione e sofferenza mostrata nel ricordare certi particolari (pag. 28). Per di più il Tribunale aveva rilevato che "Ad abundatiam le dichiarazioni di I., già di per sè assolutamente logiche, coerenti e sufficienti a supportare l'accusa, hanno trovato conferme estrinseche, nelle ricevute di albergo recuperate dalla P.G. e versate in atti, nel racconto della madre, nelle testimonianze degli specialisti ascoltati in aula e non sono state smentite dai testi a difesa che hanno reso dichiarazioni in buona parte inconferenti rispetto ai fatti oggetto di imputazione" (pag. 29-30 sent. Trib.).
Con i motivi di ricorso vengono riproposte le medesime doglianze già motivatamente disattese dal Corte di merito e, attraverso una formale denuncia di contraddittorietà ed illogicità della motivazione, si prospetta, sostanzialmente, una diversa e più favorevole al ricorrente interpretazione delle risultanze processuali.
3.3) Il ricorso va pertanto rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute in questa fase dalle costituite parti civili e che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili, liquidate in Euro 2.500,00 per B.I. ed in Euro 2.000,00 per G.G., oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 23 giugno 2010.
Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2010

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