Ord. forense

ORD. FORENSE - aiga.

CONGRESSO STRAORDINARIO A.I.G.A. - "Idea(re)Avvocatura", Benevento-Napoli 25/27.10.2012
Relazione di sintesi del Gruppo di lavoro: "Nuove professionalità - Il futuro dell'Avvocatura" (II Sessione)

Introduzione
L’Avvocatura, complice una congiuntura economica ormai in fase di recessione, sta vivendo da anni una profonda crisi che concerne il ruolo ed il reddito.
Nell’immaginario collettivo l’avvocato fatica a mantenere il ruolo sociale di sentinella a difesa dei diritti e paga una campagna denigratoria che lo dipinge ormai come un approfittatore piuttosto che come un difensore.
Nella scala sociale, poi, si considera “borghese”, unitamente ad imprenditori con almeno sette dipendenti, dirigenti e quadri. La stragrande parte degli avvocati non ha però redditi “borghesi”.
Gli ultimi dati resi noti dalla Cassa Forense sono allarmanti. Il 37,5% degli iscritti alla Cassa guadagna meno di 1.300 euro al mese.
Decresce la percentuale dei legali che, per scelta o per reddito, si iscrivono alla Cassa e, conseguentemente, continua ad ampliarsi la forbice di coloro che, pur iscritti all’albo, non sono iscritti alla Cassa, con le gravi conseguenze che ne derivano in termini di assoluta mancanza di tutela previdenziale ed assistenziale. Aumenta, inoltre, il numero di coloro che sono in mora con il versamento dei contributi.
La condizione dei Giovani Avvocati, in particolare, si innesta in una situazione generale assai difficile per coloro che attendono di entrare nel mondo del lavoro.
La disoccupazione giovanile è al 39,3 % (dati primo trimestre del 2012) e la mobilità sociale, tanto intragenerazionale che infragenerazionale, è un concetto che manca ormai di esempi concreti fondati sulle capacità e sul merito.
Le opportunità per i giovani sono rarissime e le poche esistenti, purtroppo, appaiono ad esclusivo appannaggio di classi elitarie, tant’è che l’istituto di Statistica ritiene il nostro Paese letteralmente paralizzato.
Le ragioni della difficoltà dei Giovani Avvocati vanno ricercate nelle politiche che hanno interessato le professioni ed in particolare la professione forense soprattutto in tema di formazione e accesso, ma anche nelle condizioni della giustizia la cui funzione è ben lontana, nonostante le numerose riforme, dall’efficienza e dal garantire processi di durata ragionevole.
Molti studenti negli ultimi decenni sono approdati alla facoltà di giurisprudenza non per passione o attitudine verso la tipologia di studi, bensì per ripiego o perché convinti di conseguire maggiori chance per l’inserimento nel mondo del lavoro, anche in termini di reddito.
Le avventate convinzioni degli studenti, privi di orientamento universitario, hanno lasciato il posto a situazioni che oggi sono spesso caratterizzate da croniche difficoltà.
Negli ultimi anni si registra un trend negativo relativamente al numero di iscritti alla facoltà di giurisprudenza che erano 219.522 per l’anno accademico 2007/2008, 216.697 per il 2008/2009, 214.816 per il 2009/2010 ed infine 213.437 per il 2010/2011 (la causa della diminuzione degli iscritti è forse da ricercare anche nel calo demografico). Tuttavia l’inversione di tendenza non determinerà nel breve o medio periodo una diminuzione del numero degli iscritti agli albi.
Sicuramente, l’introduzione del numero programmato per la facoltà di giurisprudenza, tra l’altro auspicato dal Ministro della Giustizia Severino e da anni richiesto dall’AIGA, potrebbe generare un contenimento dei numeri, rapportato alle reali esigenze del comparto, ma i benefici, è bene sottolinearlo, si registrerebbero esclusivamente nel lungo periodo.
La funzione della giustizia è appesantita da oltre nove milioni di giudizi penali e civili registrati agli inizi del 2012. In Italia processi sempre più lunghi scoraggiano i cittadini e minano il rapporto di fiducia con la giustizia. Alcuni dati: otto anni e tre mesi la durata media di un processo penale, il doppio rispetto al 2010 e con punte di oltre 15 anni nel 17% dei casi. Dati ancor peggiori in ambito civile dove, ad esempio, il 20% dei procedimenti si protrae dai 16 ai 20 anni. E' questo quanto emerge dal IV Rapporto PIT Giustizia presentato al Senato della Repubblica da Giustizia per i diritti-Cittadinanzattiva.
Lo stato attuale dell’Avvocatura si innesta in un momento delicato sotto il profilo normativo in ragione delle novità introdotte negli ultimi anni.
Da un lato, il Legislatore ha mirato palesemente al contenimento della domanda di giustizia formulata dinanzi all’Autorità Giudiziaria. In tale direzione, di certo, devono essere letti gli interventi quali l’aumento del contributo unificato e l’abolizione delle esenzioni previste per i procedimenti in materia di lavoro e di famiglia; l’istituto della mediazione obbligatoria per le controversie civili; le riforme in materia di condanna alle spese di giudizio; l’inammissibilità dell’appello nel caso in cui appaia “improbabile il suo accoglimento”; la riforma del giudizio di equa riparazione per l’eccessiva durata dei processi. Per non parlare di quanto previsto nel recente DDL Stabilità che nel caso di domanda improcedibile, inammissibile o rigettata integralmente, commina a carico del soccombente una sanzione consistente nel pagamento di un ulteriore contributo unificato, pari a quello già corrisposto per la medesima azione.
Dall’altro, lo Stato, spinto dal vento delle liberalizzazioni, ha imposto profondi cambiamenti all’esercizio della professione. In questa chiave vanno inquadrate le recenti disposizioni in tema di tirocinio, società di capitali, pubblicità e parametri, che hanno soppiantato le tariffe.
L’AIGA nutre il sospetto che gran parte dei cambiamenti non siano ispirati dalla volontà di perseguire una maggiore efficienza del sistema giustizia ed un miglioramento della qualità delle prestazioni professionali.
L’AIGA è sempre più convinta, invece, che gli obiettivi reali siano la diminuzione del numero dei giudizi, anche se questo dovesse determinare lo svuotamento dei diritti delle persone, nonché la riduzione del numero degli avvocati, considerati, a torto, quali moltiplicatori del numero delle cause.
Davanti a questi provvedimenti l’Avvocatura non è rimasta immobile e sono stati intrapresi vari giudizi diretti a paralizzare le politiche “contenitive” degli ultimi anni.
Chiariamo, ove ve ne sia il bisogno, che l’AIGA è favorevole alla deflazione del contenzioso: per anni si è confrontata con gli altri esponenti dell’Avvocatura e con la politica per elaborare idee capaci di sveltire i tempi processuali. E’ però contraria alla deflazione tout court destinata a creare cittadini di serie A e di serie B, incapaci di accedere alla giustizia a causa degli ostacoli (molto spesso economici) frapposti dal Legislatore.
La Giovane Avvocatura, quindi, è chiamata oggi a percorrere una strada molto stretta, nella quale però esiste lo spazio per una manovra finalizzata a creare opportunità di crescita.
In un’era di cambiamenti, intanto, è indispensabile abbandonare qualsiasi preconcetto o pregiudizio nei confronti dei nuovi strumenti pensati dal Governo, capace di incidere ancora ora sulle lacune.
Nel contempo, è necessario conservare le aree di professionalità riservate all’Avvocatura, puntando su formazione e specializzazione, ma anche immaginare nuovi spazi in cui, sull’onda delle liberalizzazioni, proporsi e poi imporsi.
Del resto, in una situazione di crisi, come quella evidenziata, i giovani non possono arrendersi, rinunciando al proprio futuro ed ai propri sogni, da coltivare invece tenacemente.
La Giovane Avvocatura, in particolare, deve trovare lo slancio per rilanciare la professione investendo, in primis, nell’organizzazione degli studi e nelle competenze che devono essere rivolte alle nuove esigenze del Paese.
L’organizzazione degli studi professionali
In tema di professioni, l’Unione Europea considerava l’Italia distante dall’obiettivo del mercato unico.
La Commissione Europea di Bruxelles, con la relazione del 09.02.2004, poi aggiornata al 05.09.2005, evidenziava la presenza di normative tendenti ad ostacolare l’ingresso di nuovi professionisti sul mercato, nonché la libera concorrenza.
Evidentemente, la previsione delle società tra professionisti di cui all’art. 24 L. 07.08.1997, n. 266, sembrava un timido quanto inutile tentativo di favorire l’aggregazione e quindi la concorrenza tra professionisti.
Cosicché, con il D.L. del 04.07.2006, n. 223, è stata prevista la possibilità di erogare all’utenza servizio professionali interdisciplinari da parte di società di persone e associazioni tra professionisti, sebbene con alcuni precisi limiti (a. l'oggetto sociale relativo all'attività libero-professionale doveva essere esclusivo; b. il medesimo professionista non poteva partecipare a più di una società; c. la specifica prestazione doveva essere resa da uno o più soci professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità).
La strada apertasi, sicuramente ancora sconosciuta ai più, potrebbe rilevarsi volano di sviluppo e di crescita, se opportunamente utilizzata.
La erogazione di servizi professionali, che si fonda sulla collaborazione di soggetti aventi diverse competenze, può indubbiamente contribuire ad innalzare notevolmente la qualità della prestazione in alcuni settori.
Da qui, il compito degli organi rappresentativi e associativi dell’Avvocatura di stringere accordi con le rappresentanze degli altri professionisti e della Pubblica Amministrazione affinché si avviino percorsi di cooperazione, non soltanto per valorizzare ed incrementare la qualità dei servizi, ma anche per aiutare la crescita di competitività dell’intero Paese.
In tema di aggregazione tra professionisti, la vera e propria rivoluzione è però scattata con la Legge di Stabilità n. 183/2011 la quale, pur conservando le STP e gli studi professionali associati (di cui alla vecchia L. n. 1815/1939), tra l’altro con non pochi problemi di coordinamento, ha introdotto la possibilità per gli avvocati di aggregarsi utilizzando lo strumento della società di capitali, con socio esterno avente quota non superiore ad un terzo del capitale.
La novità è stata accolta con vivo disappunto dalla gran parte dell’Avvocatura che ha ritenuto la previsione della società di capitali costituisse un vero e proprio attacco all’autonomia della professione forense. Nel DDL 3900 oggi in discussione alla Camera si è pensato ad una nuova formulazione della società tra avvocati senza socio finanziatore e senza la partecipazione di altri professionisti.
***
In verità, l’esperienza normativa d’oltralpe ci rassegna un quadro in cui le società di capitali non sono estranee.
Francia, Spagna, Germania e Regno Unito, consentono agli studi legali di organizzarsi in società di capitali. In particolare, Francia e Germania escludono la figura del socio di puro capitale, mentre il Regno Unito lo ammette senza limiti e la Spagna con non più di un quarto del capitale.
L’AIGA, che al proprio interno già da tempo aveva avviato la discussione intorno a questo tema, non è stata colta impreparata e, di certo, non si è approcciata alla questione con pregiudizi o peggio, con timore per il cambiamento.
Si sa, nel bene o nel male, a seconda dei casi, i giovani sono più propensi ad accettare il mutamento delle regole del gioco, tanto più nella professione forense, dove certi meccanismi risultano incrostati dall’immobilismo, per lo più a beneficio di coloro che detengono potere e redditi consistenti.
Chiariamo, i Giovani Avvocati non vogliono privare la classe forense – e quindi privarsi –dell’autonomia e dell’indipendenza; il danno che ne deriverebbe per la democrazia del Paese sarebbe incommensurabile.
I Giovani Avvocati intendono però distinguere il ragionamento sulla professione forense da quello sull’organizzazione degli studi legali, il cui ripensamento può contribuire allo sviluppo e alla crescita.
Quindi, ferma restando la necessità di mantenere le radici della professione forense, c’è da chiedersi se l’organizzazione dello studio legale in forma di società di capitali possa generare dei vantaggi a favore dell’avvocatura ed, in particolare, a favore della sua parte più giovane, che più di tutte sta pagando la crisi nella quale è piombato il nostro Paese, anche in termini di fiducia nel futuro.
Uno sguardo all’Europa, dove la società di capitali non è un tabù, ci induce a ridurre il tasso di preoccupazione nell’affrontare l’argomento, ma non ci esime dalla necessità di analizzare la disciplina introdotta nel nostro Stato, anche al fine di individuare le eventuali criticità e per chiederne la immediata eliminazione.
La società di capitali offre vantaggi sotto il profilo fiscale in quanto la tassazione del reddito da lavoro autonomo è superiore a quella prevista per le società di capitali.
Restano comunque da sciogliere importanti nodi quali: la tassazione da applicare al socio non professionista e la contribuzione alla Cassa Forense in quanto la fatturazione del compenso da parte della società, in luogo del
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professionista, potrebbe determinare una diminuzione dell’imponibile poi da riconoscersi a fini previdenziali.
Le criticità più ostiche sono invece legate alla figura dell’investitore il quale potrebbe rivelarsi un compagno di viaggio ingombrante e scomodo qualora voglia intervenire, ad esempio, sulle scelte professionali dello studio.
Il potere però del socio di capitali può essere opportunamente ridotto, attraverso la previsione di strumenti, già conosciuti dall’ordinamento e che ben potrebbero applicarsi alla struttura in discussione, quali: il divieto di delega del diritto di voto al socio investitore e di patti parasociali; le riserve di competenza ai soci professionisti nelle delibere assembleari; il rispetto delle norme di trasparenza per scongiurare infiltrazioni che compromettano il decoro e il rispetto della professione (vedi codice antimafia); la clausola di gradimento a favore del professionista in caso di cessione della quota del socio investitore ed il diritto di prelazione in caso di cessione della quota degli altri soci. Ma ciò che sembra più urgente è la regolamentazione di eventuali conflitti di interesse con la semplice previsione del divieto di svolgere qualsiasi attività professionale in favore del socio investitore, di sue controllate, collegate o semplicemente partecipate.
***
Un’ultima riflessione. Una buona parte dell’Avvocatura ha avversato la società di capitali nella convinzione che tale tipo di organizzazione potesse consentire ai poteri forti (tra questi banche e assicurazioni) di impossessarsi degli studi legali, riuscendo nel tentativo di abbattere i costi, attraverso il taglio dei compensi dei professionisti.
La critica è legittima, ma ricordiamo a noi stessi che recenti interventi legislativi hanno già consentito ai poteri forti di dettare le regole sui compensi; la possibilità di deroga alle tariffe prima e l’eliminazione delle tariffe stesse poi, hanno già consegnato un evidente assist.
In Italia, quindi, il vento europeo delle liberalizzazioni spira forte per garantire una maggiore competitività, ma sembra soffiare solo in certi ambiti.
***
Accanto alla normativa sulla società dei capitali, bene avrebbe fatto il Governo a occuparsi in maniera più incisiva dei praticanti e, ex novo, dei collaboratori degli studi legali.
Un’organizzazione che si rispetti, tanto più se assume la forma della società di capitali, non può prescindere dalle risorse umane, la cui utilizzazione deve essere disciplinata per evitare sacche di sfruttamento e disagio che purtroppo trovano spazio paradossalmente anche nel settore giustizia.
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Se l’Avvocatura intende davvero recuperare il ruolo di timoniere della società civile deve essere in grado di stabilire basi solide e regole di equità innanzitutto al proprio interno.
Per l’approfondimento del tema, illuminante risulta il confronto con le realtà di oltralpe.
In Francia, la legge disciplina la figura del collaboratore di studio, distinguendolo in collaborateur e salariè a seconda che espleti la propria prestazione intellettuale con o senza vincolo di subordinazione. In Spagna il legislatore ha regolamentato la posizione dell’avvocato che esercita la professione all’interno di uno studio legale utilizzando lo schema del contratto di lavoro subordinato, che può essere a tempo determinato o indeterminato, accompagnato dalle necessarie peculiarità (autonomia, indipendenza, anche rispetto alle eventuali pressanti direttive del titolare, e flessibilità).
In Italia, “in forza” dell’art. 26 codice deontologico, l’Avvocato deve fornire ai praticanti un compenso proporzionato all’apporto professionale. Il disposto ha avuto scarsa applicazione. Sul punto, basta raccogliere le testimonianze dei protagonisti che, anche su giornali e social network, raccontano di esperienze nelle segreterie degli studi piuttosto che di redazione di pareri, atti o partecipazione fattiva alle udienze. Il silenzio della politica e di parte dell’Avvocatura sui collaboratori di studio, invece, è oggi persino imbarazzante.
Lo sguardo oltre confine ci induce a ritenere che l’Italia è un esempio isolato e che la disciplina della figura del collaboratore di studio è improcrastinabile.
Si è consapevoli che prevedere obblighi a carico dello studio che fruisce della prestazione professionale di un praticante o di un collaboratore, significa “appesantire” il medesimo studio legale di oneri e costi, ma ci si chiede: è possibile battersi per i diritti altrui se si dimenticano in fretta i diritti e le tutele delle persone che con gli avvocati collaborano gomito a gomito?
Inoltre, è indispensabile sottolinearlo, gli studi legali che utilizzano la prestazione professionale dei propri collaboratori senza alcun riconoscimento, espletano un’evidente concorrenza sleale a scapito degli altri studi.
Bene sarebbe, quindi, disciplinare più dettagliatamente l’attività resa dal praticante, in quanto la recente normativa, di fatto, prevede il compenso (quanto?) per soli 12 mesi su 18; bene sarebbe, inoltre, disciplinare la figura del professionista collaboratore, ricorrendo, a secondo delle esigenze dello studio, al lavoro autonomo, parasubordinato o subordinato, senza esclusione dei contratti flessibili; il tutto, mantenendo vive le radici della professione (indipendenza ed autonomia) e, nel caso dei rapporti
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subordinati, escludendo ogni forma di collaborazione in part-time con altri soggetti (pubblici o privati).
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La rivisitazione dell’organizzazione degli studi legali deve pure passare attraverso un abbattimento dei costi dello studio per renderlo più competitivo.
Oggi gli avvocati cercano di contenere i costi della propria attività mediante la semplice ripartizione delle spese di affitto, utenze, banche dati, ect. Ma altri possono essere gli ambiti sui quali intervenire.
Auspicabile è innanzitutto l’utilizzo di open source; di estremo vantaggio sarebbe poi l’implementazione dell’utilizzo della pec e delle notifiche eseguite in proprio (L. 21.01.1994, n. 53), con ampio beneficio anche per il sistema giustizia.
In ultimo, un ripensamento dell’organizzazione degli studi legali non può prescindere da una politica che agevoli l’avvio degli studi legali ed il rapporto con il fisco.
Lo start up dello studio rappresenta un momento assai delicato, sotto il profilo professionale ed economico, per la mole di energie richieste.
In un’ottica di garanzia di pari opportunità, risultano quindi indispensabili idee per agevolare soprattutto giovani e donne, che costituiscono oggi la parte più debole dell’avvocatura.
L’AIGA rifiuta l’idea di finanziamenti o agevolazioni “a pioggia”, tra l’altro non attuabili in considerazione delle carenti risorse presenti nelle casse dello Stato (a questo punto, meglio avanzare precise proposte a Cassa Forense, ad esempio).
Occorre, pertanto, sostenere i progetti capaci di penetrare con successo nel mercato perché, ad esempio, caratterizzati da una struttura organizzativa aggregata o dalla peculiarità dell’idea professionale (ad esempio, basata su una specifica competenza).
Superato l’avvio, lo studio legale si imbatterà in un’imposizione fiscale che nel nostro Paese è tra le più alte al mondo.
Per le imprese la somma tra tasse e contributi sul lavoro raggiunge addirittura il 68%; più di Francia (65,7%), Germania (46,7%) e Gran Bretagna (37,3%). Ma il peso della tassazione grava fortemente anche sui lavoratori e tra questi il più vessato risulta il lavoratore autonomo; ed invero, la tassazione a carico del lavoratore subordinato è di circa il 30%, mentre quella del lavoratore autonomo, senza cassa ed iscritto alla gestione separata INPS, arriva al 59%.
Alla pesantezza del fisco, si associa un alto numero di incombenti (comunicazioni, modelli di versamento, dichiarazioni, atti da registrare e documenti da presentare), che gravano sui contribuenti producendo un costo di 5milioni di euro.
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L’Agenzia delle Entrate, conscia della assai difficoltosa situazione, ha inoltrato una richiesta di consultazione su 108 adempimenti fiscali alle associazioni di categoria, le quali, a breve termine, dovranno far pervenire suggerimenti per correzioni che l’Agenzia delle Entrate potrà dettare in via amministrativa e per deregulation mediante un intervento legislativo.
L’invito dell’Agenzia delle Entrate suona come una dichiarazioni di intenti, ma non rallenta la crescente ed impellente necessità di una semplificazione.
E’ quindi oggi necessario, da un lato introdurre misure dirette ad alleggerire il fisco (maggiore deducibilità dei costi, ivi compresi quelli per l’acquisto dello studio; compensazione dei crediti maturati per il gratuito patrocinio con le versande imposte), dall’altro prevedere una seria semplificazione (gli studi di settore, ad esempio, sono oggi troppo farraginosi).
Approfondimento specifico meritano poi le difficoltà relative alla riscossione dei crediti, vera nota dolente anche per professionisti.
Sul punto, potrebbe rivelarsi determinante la Direttiva UE del 16.02.2011, n. 7, la quale ha previsto l’obbligo a carico degli enti pubblici di pagare le imprese nel termine di 30 giorni (eccezionalmente 60). Ricordiamo che, ai sensi dell’art. 2 della citata direttiva, per “impresa” deve intendersi ogni soggetto organizzato, diverso dalla pubblica amministrazione, che agisce nell’ambito di un’attività economica o professionale indipendente, anche quando tale attività è svolta da una sola persona.
E’ quindi auspicabile che l’applicazione della normativa riguardi anche i professionisti in quanto, ove ciò non avvenga, si profilerebbero violazioni di rilevanza costituzionale (artt. 3 e 117 Cost.).
Quanto al rapporto tra i privati, occorrerebbe avviare una riflessione sulla possibilità di stringere con i clienti dei veri e propri patti che, ferma restando le nuove modalità di calcolo dei compensi (non più agganciati alle tariffe), stabiliscano a favore del professionista garanzie di pagamento, chiaramente fissando regole deontologiche che non consentano abusi.
Nuove aree di professionalità
Le liberalizzazioni in Italia sembrano da lungo tempo un leit-motiv, capace di giustificare interventi assai sgraditi anche a larghe parti di popolazione.
Accanto al termine “liberalizzazione” compare poi spesso quello di “Avvocatura”.
Il binomio ci sembra totalmente fuori luogo in ragione di un semplice esame dei numeri. La presenza di oltre 240mila avvocati negli albi e redditi medi in costante calo negano l’esistenza della paventata chiusura,
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tanto più se, come ricordato nella parte introduttiva della presente relazione, circa 60mila iscritti sono invisibili per la Cassa Forense.
E’ quindi giunto il momento di capire se le professionalità, acquisite dopo anni a prezzo di consistenti investimenti economici e sacrifici personali, debbano dissolversi nel nulla, creando le basi di un grave problema sociale, o possono servire al Paese attraverso un ripensamento della professione forense e della gestione delle aree in cui occorrono competenze legali.
E’ altresì arrivato il momento di intervenire sugli spazi esistenti, affinché appartengano anche ai giovani, e dall’altro sui nuovi spazi, da ricercare attraverso uno sforzo progettuale completo, che comprenda l’individuazione delle aree ed il percorso formativo per accedervi.
Gli avvocati devono essere capaci di far valere con maggiore fermezza le proprie competenze negli spazi giurisdizionali già oggi esistenti, ma purtroppo spesso ad appannaggio di altre categorie professionali. Ci riferiamo a fallimenti, deleghe e custodie nelle esecuzioni immobiliari, esecuzione per consegna o rilascio, gestione dei beni confiscati o sequestrati alla criminalità organizzata, amministrazioni di sostegno.
In relazione agli spazi esistenti, inoltre, sia in ambito giudiziario che extra giudiziario (P.A.), occorre però prevedere meccanismi di assegnazione di incarichi e consulenze fondati su trasparenza, rotazione e merito.
L’attuale quadro normativo presenta evidenti criticità.
In ambito giudiziario, e più precisamente con riferimento alle esecuzioni immobiliari, ricordiamo che l’art. 179 quater disp. att. c.p.c. impone: a) ai presidenti dei Tribunali di vigilare affinché, senza danno per l’amministrazione della giustizia, le deleghe per la vendita siano equamente distribuite tra gli iscritti nell’apposito elenco; b) al cancelliere di annotare in un apposito registro tutte le deleghe che gli iscritti ricevono e i relativi compensi liquidati.
Allo stato, però, mancano i controlli sull’applicazione della disciplina e, soprattutto, non vi è traccia delle conseguenze nel caso in cui le deleghe non vengano assegnate “equamente”.
Disposizioni analoghe, magari anche più efficaci, dovrebbero in ogni caso trovare inserimento in tutti i casi in cui l’Autorità Giudiziaria chiama a collaborare i professionisti, soprattutto per garantire maggiore trasparenza possibile in un settore delicato come la giustizia.
Quanto agli incarichi ed alle consulenze assegnati dalla P.A., l’ostacolo alla trasparenza è rappresentato dall’“elemento fiduciario”. Non è un mistero che talvolta incarichi e consulenze della P.A., ispirati apparentemente dalla “fiducia”, svolgano nella sostanza una funzione puramente clientelare e determinino una gestione “allegra” delle risorse pubbliche, come recenti inchieste stanno dimostrando.
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L’applicazione dei principi costituzionali espliciti (imparzialità e buon andamento) e immanenti (primo tra tutti la trasparenza), hanno indotto ad un serio miglioramento della disciplina che, per l’assegnazione di incarichi e consulenze, oggi prevede: 1) la rispondenza dell’incarico agli obiettivi dell’amministrazione; 2) l’inesistenza all’interno della propria organizzazione della figura professionale idonea allo svolgimento dell’incarico; 3) l’indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell’incarico; 4) l’indicazione della durata dell’incarico; 5) la proporzione fra il compenso corrisposto all’incaricato e l’utilità conseguita dall’amministrazione; 6) la comprovata specializzazione universitaria; 7) l’obbligo di motivazione della determinazione con la quale viene affidato l’incarico esterno; 8) la valutazione del revisore o del Collegio dei revisori; 9) l’obbligo di seguire procedure comparative; 10) l’obbligo di pubblicazione nei siti web di coloro che hanno ricevuto l’incarico (Corte dei Conti della Lombardia, 04.04.2012).
Il lungo elenco di elementi citati però non è servito ad eliminare la diffusa opacità e pochi (amministratori ed addetti ai lavori) pare ne abbiano contezza.
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Per favorire l’inserimento dei giovani, inoltre, occorre poi individuare nuove aree di professionalità, sia all’interno che all’esterno della giurisdizione, nelle quali valorizzare la figura dell’avvocato, anche in un’ottica di miglioramento del servizio giustizia e di abbattimento dei costi a carico della collettività.
Nel giudizio di separazione coniugi ad esempio, si potrebbe prevedere che le parti, assistite dal difensore, depositino il ricorso consensuale presso il Tribunale competente; quest’ultimo procederà all’omologa senza la fissazione dell’udienza di comparizione o indicherà l’udienza di comparizione solo nel caso di violazioni di legge o contrasto con gli interessi di una delle parti o dei figli.
Nella causa di cognizione ordinaria, invece, si potrà introdurre il tentativo di conciliazione endoprocessuale, da esperirsi terminata l’istruttoria e per le cause che siano pendenti davanti al Giudice di primo grado da oltre tre anni dalla notifica dell’atto di citazione o dal deposito del ricorso introduttivo (la proposta elaborata dall’AIGA, per la verità, risale già al 2008)
Le novelle legislative determinerebbero un abbattimento dei tempi processuali ed uno sgravio di lavoro a favore dei Tribunali.
***
In ambito extragiudiziario, invece, non è più procrastinabile la modifica dell’art. 2703 c.c. al fine di consentire l’autentica delle firme nelle scritture private non soltanto ai notai, ma anche agli avvocati
Congresso Straordinario 25 – 26 – 27 ottobre 2012
• Associazione Italiana Giovani Avvocati
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Presidente: Avv. Dario Greco – 90141 Palermo – Via F.sco Ferrara, n. 8 – Tel. +39091332058 – fax +39091611115 e-mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
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L’AIGA da tempo ha formulato con forza la richiesta alla classe politica, la quale, pur manifestando attenzione ed interesse, non ha accolto la proposta.
Sulla questione, qualche breve riflessione, fondata sui dati, è più che doverosa.
In Italia i notai sono 4.697 e dichiarano un reddito medio annuo pari a € 280mila. Tenuto conto della popolazione (60.483.521), si giunge alla conclusione secondo cui vi è un notaio ogni 12.877 abitanti.
I numeri esposti divengono ancor più rilevanti se raffrontati con quelli del notariato europeo e dell’avvocatura.
I notai in Francia sono 9.231 (uno ogni 7.028 abitanti), in Spagna 3600 (uno ogni 6.000 abitanti), in Germania 7.934 (uno ogni 10.297 abitanti).
Gli avvocati in Italia sono circa 240mila (uno ogni 252 abitanti) e dichiarano un reddito medio annuo di poco più di € 47.000 circa (dati Cassa Forense relativi al 2010, che però non tengono in considerazione i redditi dell’avvocatura che non dichiara quanto necessario ai fini dell’iscrizione, pari ad € 10.100 per l’IRPEF e € 15.100 per volume d’affari).
In ultimo ricordiamo che in moltissimi Paesi, soprattutto di common low, anche gli avvocati possono autenticare le firme.
Non si comprende, quindi, quali siano le ragioni in base alle quali le liberalizzazioni debbano interessare soltanto alcune aree, sebbene l’analisi del tema imporrebbe un comportamento legislativo repentino ed incisivo, tanto più in un periodo storico ed economico come quello in cui stiamo vivendo.
L’AIGA ha già avviato la racconta delle firme per la modifica dell’art 2703 c.c. ed, anche sulla scorta di quanto è già stato fatto, chiede oggi alla classe politica di sottoscrivere la proposta e di procedere alla modifica dell’art. 2703 c.c. nel senso richiesto (alcuni parlamentari hanno già dichiarato la propria disponibilità ed anzi presentato disegni di legge che viaggiano nella direzione segnata).
Tanto gioverebbe innanzitutto alla popolazione che potrebbe usufruire, in considerazione di una maggiore concorrenza, di costi sicuramente più contenuti per i servizi notarili.
***
Sempre in ambito extragiudiziario, gli avvocati devono aumentare la propria attenzione per i servizi di consulenza in materie già esistenti (lasciate oggi a soggetti con minori competenze di base), ma soprattutto in materie nuove, che tra l’altro possono rivelarsi volano di sviluppo per l’intero Paese.
Sono pochi oggi gli studi legali che si dedicano alla consulenza legata ai fondi provenienti dell’Unione Europea.
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Sono quasi inesistenti gli studi legali che riescono a seguire l’imprenditore italiano negli investimenti all’estero, tanto più nei Paesi extracomunitari (in Cina, India e Brasile, ad esempio) , o l’imprenditore straniero che decide di investire in Italia. In tale ultima ipotesi, più che auspicabile date le condizioni del nostro Paese, la consulenza legale potrebbe essere garantita dagli Enti locali (ai fruitori gratuitamente), in ragione di apposite convenzioni con gli avvocati specificamente preparati, magari chiamati a collaborare unitamente ad altri soggetti dotati di adeguata preparazione.
Uno spazio di professionalità per le donne è poi rappresentato dalla L. n. 121/2011 che impone la presenza di genere nei cda di aziende quotate ed in quelle a controllo pubblico (almeno un quinto dal primo rinnovo e almeno un terzo a partire dal 2015).
Conclusioni
Il lavoro che caratterizza la seconda sessione del Congresso Straordinario di Napoli ha un unico comune denominatore costituito dai seguenti elementi: formazione, specializzazione e aggiornamento professionale.
La Giovane Avvocatura intende dotarsi di un’organizzazione al passo con i tempi e chiedere spazio per costruire il proprio futuro, anche nell’interesse del Paese, ma nel contempo è pienamente convinta che la propria professionalità, tanto più se spesa in aree nuove, necessiti di competenze specifiche.
L’AIGA, come è noto, ha chiesto con forza l’introduzione dell’obbligo della formazione continua, ma al di là dei risultati applicativi, a dire il vero in certi casi piuttosto deludenti, ritiene che i principi sottesi siano sempre validi e di indiscutibile rilevanza.
Da qui la responsabilità enorme della dirigenza dell’Avvocatura che deve guadare lontano, immaginare il futuro e creare le premesse della crescita (e non della mera sopravvivenza).
Accanto ai percorsi formativi classici, occorre quindi ideare percorsi nuovi ed orientati alle esigenze della società, non soltanto in ambito giurisdizionale.
Le specializzazioni in diritto civile, amministrativo, penale ect., devono cedere il passo (o accompagnarsi) a percorsi formativi più settoriali (diritto europeo, dell’ambiente, della navigazione, dell’informatica, del turismo, delle transazioni transfrontaliere ect.) o capaci di consentire l’acquisizione di nuovi ambiti (diritto del commercio europeo). Il diritto europeo, in particolare, ha implicazioni importantissime per il nostro
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ordinamento sia sotto il profilo sostanziale che processuale, ma in molti ne sconoscono i principi basilari.
Il successo delle moderne specializzazioni potrebbe poi essere connesso alla capacità di interloquire direttamente con imprenditori, pubblica amministrazione e rappresentanze della società civile, al fine di comprenderne le reali esigenze, anche in relazione ai territori. All’occorrenza, anche il diritto può trasformarsi da globale a glocale.
L’Avvocatura ha mille sfide davanti a sé e tutti, giovani e meno giovani, siamo chiamati ad affrontarle senza pregiudizi e con coraggiosa lungimiranza.
“Quelle che conducono e trascinano il mondo non sono le locomotive, ma le idee”
(Victor Hugo)

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ORD. FORENSE - XXXI Congresso Nazionale Forense, Bari 22-24 novembre 2012

XXXI Congresso Nazionale Forense, Bari

Il Consiglio Nazionale Forense ha convocato per i giorni 22/24.11.2012 il
XXXI CONGRESSO NAZIONALE FORENSE
presso il Teatro Petruzzelli, Bari, Corso Cavour
L’AVVOCATURA PER UNA DEMOCRAZIA SOLIDALE - IL CITTADINO PRIMA DI TUTTO
Diritti dei cittadini e ragioni dell’economia. Giurisdizione e diritti del cittadino. Ruolo dell’Avvocatura: proteste e proposte

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ORD. FORENSE - Assistenza stragiudiziale e nullità del contratto con l'agenzia d'infortunistica, per svolgimento di attività riservata.

nullità del contratto con l'agenzia infortunistica

L'attività stragiudiziale è riservata oppure no?
De iure condito quali sarebbero, nel caso di risposta affermativa, i criteri da applicare per considerarla tale?
Il Tribunale di Cagliari, nell'interessante sentenza qui sotto riportata, ha scandagliato la problematica della natura riservata o meno delle prestazioni extragiudiziali da parte di soggetti estranei alla categoria forense e ne ha tratto la seguente conclusione:

"Non può ritenersi che sia individuabile nell’ordinamento un principio incondizionato di libertà di assistenza e consulenza legale stragiudiziale, in generale e, in specie, nella cosiddetta materia della infortunistica stradale [...]

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ORD. FORENSE - Le azioni per il riconoscimento del credito dell'Avvocato e riflessi deontologici sul patto di quota lite.

Cagliari, la sella del diavolo

LE AZIONI PER IL RICONOSCIMENTO DEI COMPENSI PROFESSIONALI ALLA LUCE DELLE RECENTI MODIFICHE NORMATIVE. RIFLESSI DEONTOLOGICI

(relazione illustrata il 26.10.2012 dal Collega Giampaolo Manca, Avvocato del Foro di Cagliari, in occasione del Convegno "Dal preventivo al contratto scritto col cliente")

Il tema che mi è stato assegnato è particolarmente attuale ma voglio mettere le mani avanti per non essere alla fine di questo intervento, tacciato d’aver fatto la scoperta dell’acqua calda. Infatti, per quanto la suggestione del titolo stimoli la curiosità e l’attenzione degli uditori debbo preannunciarvi che non ho da proporvi cose nuove, ovvero, formule magiche o corsie preferenziali ai più sconosciute. Anzi, alla luce delle recenti novità normative che si sono succedute in questi mesi, paradossalmente, gli strumenti giudiziali volti al riconoscimento del credito professionale si sono ridotti, rispetto al passato.

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ORD. FORENSE - Parametri e contratto col cliente, il Dossier n. 10/2012 del C.N.F.

parcellazione

DETERMINAZIONE DELL’OGGETTO DEL CONTRATTO E CRITERI DI CALCOLO DEL COMPENSO PROFESSIONALE FORENSE

Commento al d.l. 24.01.2012 n° 1 2012, convertito con modificazioni in Legge 24.03.2012 n° 27, e al d.m. Giustizia 20.07.2012 n° 140

(tariffe e parametri)

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