Penale

PENALE - Indagini difensive e verbale ex art. 391-ter C.P.P.

indagini difensive

La Cassazione, dopo aver qualificato come "pubblico ufficiale" il Difensore penalista che effettui indagini difensive, decide ora di declassarlo a mero ricettore "non imparziale" di dichiarazioni ed assunzioni di informazioni, ex art. 391-bis c.p.p., stabilendo che sono inutilizzabili in radice le investigazioni difensive il cui verbale non sia stato sottoscritto in ogni pagina.
Si applica, infatti, la disciplina per la redazione dei verbali da parte dei pubblici ufficiali, ma per costoro non scatta la sanzione dell'inutilizzabilità de qua, atteso che essi costituirebbero soggetti che effettuano le indagini "in ambito di giustizia istituzionalizzato", come tale operanti in un contesto "ontologicamente garantito da  imparzialità".
Secondo gli ermellini, l'
assenza di un pubblico ufficiale giustificherebbe, in carenza delle suddette sottoscrizioni su ciascun foglio dei verbali d'indagine difensiva, "'assoluto rigore costituito dalla sanzione della loro inutilizzabilità", costituente la censura più severa.

Cass. Pen., Sez. II, 20.01/22.02.2011, n° 6524

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE  
SEZIONE SECONDA PENALE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:  
Dott. Bardovagni Paolo, Presidente
Dott. Nuzzo Laurenza, Consigliere 
Dott. Prestipino Antonio, rel. Consigliere
Dott. Taddei Margherita, Consigliere
Dott. Bronzini Giuseppe, Consigliere
ha pronunciato la seguente

 

Sentenza

sul ricorso proposto da:  1) M.C., nato il (omissis), avverso l'Ordinanza n° 876/2010 Tribunale del Riesame di Catanzaro del 29.07.2010; sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. A. Prestipino; sentite le conclusioni del P.G., Dott. E. Delehaye; Udito il difensore Avv. G. Zumpano.

OSSERVA

Con ordinanza del 03.08.2010, il Tribunale della Libertà di Catanzaro, rigettava l'istanza di riesame proposta da M.C. avverso l'ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere emessa nei suoi confronti dal G.I.P. dello stesso Tribunale il 17.07.2010, per il reato di associazione mafiosa. Il Tribunale collocava i fatti all'interno del contesto criminale del (omissis), caratterizzato,secondo i giudici territoriali, dall'assenza di una leadership riconosciuta, e dall'esistenza di due fazioni in lotta tra di loro, facenti capo, rispettivamente, a (omissis) e (omissis), il primo legato al gruppo di zingari che verso la fine degli anni '90 erano riusciti a costituire una "locale" autonoma rispetto alla 'ndrina insediata sullo stesso territorio (i termini "locale" e "'ndrina" designano particolari articolazioni organizzative della criminalità organizzata del calabrese); il secondo legato, anche per personali rapporti di familiarità, a vecchi uomini "di rispetto" come (omissis) e (omissis), e al (omissis), figlio del più noto (omissis), da tempo in carcere per plurime condanne all'ergastolo.
Le due fazioni, in particolare, si sarebbero contese il monopolio del traffico di sostanze stupefacenti, settore di attività che vedeva il (omissis) in contatto con  fornitori di cocaina dell'area milanese, per il tramite della famiglia (omissis) di (omissis). Il Tribunale ricordava che l'esistenza di un'associazione per delinquere di stampo mafioso radicatasi nel (omissis) risultava da numerose sentenze passate in cosa giudicata, la prima emessa dal Tribunale di Rossano il 27.11.1995, che aveva accertato l'affermazione sul territorio della "locale di (omissis)" composta tra gli altri da (omissis) detto "(omissis)", (omissis) e (omissis).
Il gruppo si era emancipato dalla "locale" di (omissis), guidata da (omissis), verso la fine degli anni '80, e aveva attratto nella propria sfera di influenza criminale le 'ndrine di (omissis). Il Ca. aveva riorganizzato le 'ndrine conquistate ai propri progetti criminali, perseguendo i propri copi con la sistematica eliminazione fisica dei soggetti rimasti fedeli al (omissis), fino ad essere coinvolto in vicende giudiziarie che gli erano costate pesanti condanne e una non più interrotta detenzione.
Gli era succeduto tale (omissis), trovatosi però ben presto a fronteggiare l'opposizione interna del (omissis), sfociata nella faida criminale ricostruita dalla sentenza della Corte di Assise di Cosenza del 24.02.2001.
Le tappe successive della faida, nella ricostruzione "giudiziaria" del Tribunale, sono oggetto di una sentenza del Dicembre del 2005; al comando della cosca guidata  dal (omissis), decimata dai processi e dagli arresti, era subentrato, (omissis) detto "(omissis)", e il gruppo aveva perso la sua autonomia, cadendo sotto il controllo del locale di (omissis), costituito da (omissis) con l'autorizzazione della cosca di (omissis). Uscito dal carcere, (omissis) aveva tentato di risollevare le sorti della locale (omissis), ma era stato ucciso. 
Le indagini più recenti, infine, avevano ricostruito gli affari della cosca (omissis), impegnata soprattutto in estorsioni in danno di proprietari terrieri attraverso l'imposizione delle guardianie, nella conquista del monopolio della vendita di video- giochi, in fatti di usura, ecc.
Il Tribunale si soffermava quindi sulle fonti di prova relative all'assetto organizzativo del sodalizio, tra le quali le attività intercettative, i servizi di o.c.p., gli arresti, i sequestri di armi e sostanze stupefacenti e, infine, le dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia come (omissis).
I giudici esaminavano quindi gli essenziali aspetti organizzativi della cellula criminale in questione rilevando:
quanto alla disponibilità di armi comuni, che essa si desumeva dalle dichiarazioni rese da (omissis) il 10.10.2007 su un viaggio in (omissis) dallo stesso effettuato  insieme a (omissis) per l'acquisto di armi, una delle quali asseritamente corrispondente quella sequestrata su sua indicazione; riscontrate da quelle di (omissis) e dal contenuto della conversazione n° 170 del 02.11.2008, intercettata nei confronti del (omissis), riferita all'uso di una pistola a scopo intimidatorio da parte del (omissis); e della conversazione delle ore 17,47 del 05.10.2008, captata all'interno dell'autovettura in uso a (omissis) tra quest'ultimo, l'omonimo zio e (omissis), nel corso della quale il (omissis) ricordava di avere poco tempo trasportato a (omissis) armi e droga.
Peraltro, la disponibilità di armi era stata clamorosamente confermata, nel tempo, dai sanguinosi agguati che avevano caratterizzato le locali faide criminali. Secondo  il (omissis) e altri collaboratori, inoltre, la cosca disponeva di una cassa comune alimentata dai proventi delle illecite attività dei sodali e che a sua volta forniva i fondi per il pagamento di spese legali, per l'esercizio di attività usurarie, per l'acquisto di sostanze stupefacenti, per il pagamento degli "stipendi" degli associati ecc. 
La cosca sarebbe stata particolarmente attiva anche nel settore del taglieggiamento della attività commerciali e imprenditoriali, attraverso la sistematica imposizione del "pizzo", pratica criminale che oltre che dalle dichiarazioni dei collaboratori risultava dal contenuto di alcune conversazioni intercettate, come quella, già ricordata, n° 170 del 02.11.2008. L'analisi della gravità indiziaria per il reato di cui al D.P.R. n° 309/90, art. 74, procedeva, nelle valutazioni dei giudici territoriali, dalla considerazione della forma non particolarmente strutturata dell'associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti secondo il modello legislativo, e dei molteplici modi dell'esplicazione dell'affectio societatis.
Con riferimento allo specifico gruppo criminale oggetto di una delle imputazioni cautelari, cioè quello che sarebbe stato diretto da (omissis), il Tribunale ne riteneva l'esistenza sulla base di molteplici fonti di prova, tra le quali numerose intercettazioni telefoniche, sequestri di droga, arresti, dichiarazioni di collaboratori di giustizia ecc, ricordando tra le altre le dichiarazioni di (omissis).
Prima di procedere all'analisi degli indizi a carico del ricorrente, il Tribunale premetteva un'ampia digressione sui principi in materia di valutazione delle propalazioni accusatorie dei soggetti indicati dall'art. 210 c.p.p., e concludeva nel senso di una generale valutazione di attendibilità di tutti i collaboratori di giustizia autori di contributi dichiarativi nel corso delle indagini.
I giudici esaminavano quindi le specifiche indicazioni dell'inserimento di (omissis) nell'associazione mafiosa, provenienti dai collaboratori di giustizia (omissis)e dall'imprenditore (omissis).
Soprattutto il (omissis) aveva particolareggiatamente descritto i rapporti di natura criminale tra il ricorrente e (omissis), per conto del quale il (omissis) avrebbe "riciclato" assegni provenienti da attività usurarie, ottenendone in cambio dei finanziamenti per la propria attività imprenditoriale; in questo contesto di rapporti si sarebbe inserita la cessione di due appartamenti al (omissis) da parte del (omissis).
Il ricorrente si sarebbe inoltre occupato per conto di (omissis), di traffici di armi e di droga; avrebbe ricevuto somme di denaro provenienti da attività estorsive, in particolare quelle ai danni di alcune imprese costrette a dissimulare il versamento del pizzo, sotto forma di "sponsorizzazioni" di una società sportiva; avrebbe infine imposto sul mercato edile la presenza della propria impresa, come nel caso dei lavori effettuati nell'ambito della realizzazione di un complesso turistico di proprietà di (omissis), che glieli aveva affidati in sub-appalto su indicazione del (omissis), che gli aveva presentato il ricorrente come un amico.
Ricorre il difensore, rilevando con il primo motivo il vizio di violazione di legge del provvedimento impugnato, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) e c), in relazione agli artt. 192 e 195 c.p.p.
Il Tribunale non avrebbe sottoposto al necessario vaglio di attendibilità le dichiarazioni di (omissis), peraltro mosso alla sua scelta di collaborazione dal profondo rancore nutrito nei confronti di (omissis); avrebbe trascurato le numerose contraddizioni in cui il collaborante sarebbe incorso nei vari interrogatori in cui aveva formulato propalazioni accusatorie a carico del ricorrente, peraltro spesso del tutto generiche, come a proposito della presunta partecipazione del medesimo ricorrente alle attività usurarie del (omissis); il (omissis) sarebbe stato smentito riguardo all'affermazione del "regalo" di due appartamenti effettuato dal (omissis) al (omissis) come ricompensa per i continui finanziamenti ottenuti da costui per lo svolgimento della propria attività imprenditoriale nel settore edile, dal momento che il (omissis) per l'acquisto delle due unità immobiliari aveva fatto ricorso ad un mutuo bancario, e che, d'altra parte, di quei finanziamenti ricorrente non avrebbe avuto alcun bisogno, considerata la solidità della sua impresa; del viaggio in (omissis) per l'acquisto di armi, compiuto secondo il (omissis), dal ricorrente e dal (omissis), non ci sarebbe alcun riscontro, tale non potendosi considerare il rinvenimento di un pistola su indicazione dello steso collaborante, e non avendo del resto l'accusa contestato al (omissis) la detenzione e il trasporto delle armi in questione; la vicenda delle estorsioni mascherate da sponsorizzazioni a società sportive sarebbe smentita dagli esiti delle indagini difensive, illegittimamente ritenuti inutilizzabili dal Tribunale a causa della mancata sottoscrizione di ogni foglio del relativo verbale; le dichiarazioni a riscontro del (omissis) sarebbero in larga parte inutilizzabili in quanto intervenute oltre il termine di gg. 180 dalla scelta di collaborazione, in contrasto con la disposizione di legge, nè potrebbero ritenersi utilizzabili nemmeno limitatamente alla fase delle indagini preliminari, in quanto rese contra alios, mentre nella parte utilizzabile sarebbero del tutto irrilevanti.
Con il secondo motivo, la difesa denuncia comunque il vizio di motivazione del provvedimento ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. c), rilevando il travisamento della prova nella valutazione comparativa delle dichiarazioni di (omissis) e del (omissis), che avrebbe dovuto condurre a risultati diversi in base "ai principi di diritto". Il ricorso è manifestamente infondato.
Ciò deve dirsi, anzitutto, rispetto alle questioni sulla presunta inutilizzabilità di alcuni atti di indagine, o sulla utilizzabilità degli atti delle indagini  difensive.
Ed invero, quanto alla presunta inutilizzabilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, in quanto rese oltre il termine di centottanta giorni dalla  manifestazione della volontà' di collaborare la questione è stata ormai definitivamente risolta dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che il limite non opera nella fase delle indagini preliminari, in particolare ai fini della emissione delle misure cautelari personali e reali, nè nell'udienza preliminare e nel giudizio abbreviato (Corte di Cassazione SEZ. U., n° 01149 25/09/2008).
In ordine ai risultati delle indagini difensive, che dovrebbero confutare le indicazioni di prova a carico del ricorrente relative alle estorsioni mascherate da  sponsorizzazioni (imposte), correttamente il Tribunale ne ha ritenuto l'inutilizzabilità a causa dell'inosservanza delle formalità prescritte negli artt. 391 bis e 393 ter c.p.p., in particolare per la mancata sottoscrizione in ogni foglio del verbale delle dichiarazioni testimoniali assunte dal difensore.
L'art. 391 bis c.p.p., nel disciplinare le modalità di ricezione di dichiarazioni ed assunzioni di informazioni da parte del difensore, prevede, al comma 6, l'inutilizzabilità delle dichiarazioni ricevute o delle informazioni assunte in violazione di una delle disposizioni regolate ai commi precedenti. Fra tali  disposizioni, il comma due prevede che il difensore può chiedere alla persona in grado di riferire circostanze utili, di rendere informazioni, da documentare secondo le modalità previste dall'art. 391 ter c.p.p. Ne consegue che, se la modalità di documentazione non è in linea con la disposizione di cui all'art. 391 ter c.p.p., che rimanda all'osservanza delle disposizioni di cui al titolo 3 del libro 2 e quindi anche all'art. 137 c.p.p., che prescrive la sottoscrizione dei verbali in ogni foglio, l'informazione assunta è radicalmente inutilizzabile.
E' da escludere, infatti, che sia applicabile l'art. 142 c.p.p. che, in ragione della formazione del verbale in un ambito istituzionale ed ontologicamente garantito da  imparzialità, limita la sanzione alla nullità del "verbale" per l'assenza di sottoscrizione del pubblico ufficiale. Ciò perchè gli artt. 391 bis e 391 ter c.p.p. regolano una situazione che è caratterizzata dall'assenza di un pubblico ufficiale e non è gestita in ambito di giustizia istituzionalizzato.
All'assenza delle pregnanti garanzie di imparzialità che offre l'ufficio di giustizia si sopperisce, allora, con l'assoluto rigore costituito dalla sanzione di  inutilizzabilità; il ricorso alla censura più severa è ragionevolmente giustificato dal fatto che alla documentazione non procede il pubblico ufficiale, che tale qualità sicuramente non è ascrivibile al difensore ed al suo sostituto, nè rilevanza in tal senso assumono le persone di loro esclusiva fiducia che materialmente possono redigere il verbale (su tali principi cfr. Cass. Sez. 2, 25.06./17.07.2009, n° 30036, richiamata nell'Ordinanza impugnata). 
Ma le pregiudiziali difensive sull'utilizzabilità-inutilizzabilità di atti, si ripercuotono all'evidenza sullo spettro argomentativo dell'ordinanza del riesame  focalizzato in ricorso, che viene assunto alquanto riduttivamente rispetto al ben più ampio, logico e coerente percorso motivazionale del provvedimento sopra sintetizzato, com'è dato rilevare agevolmente tra le motivazioni dei giudici territoriali e le corrispondenti deduzioni difensive, che in concreto si limitano a qualche notazione marginale, come l'indicazione di un viaggio in (omissis) del ricorrente per acquistare armi, rispetto alla quale, secondo lo stesso difensore, le dichiarazioni del propalante non sarebbero state smentite, ma sarebbero al più rimaste prive di riscontri; ad indicazioni poco puntuali e non documentate in ricorso, sulle modalità di acquisto di due appartamenti da parte del M., all'apodittica affermazione della solidità dell'impresa del ricorrente, che avrebbe escluso la necessità del ricorso ai finanziamenti del (omissis); o appaiono del tutto infondate, come in ordine alla presunta genericità del contributo del ricorrente alle attività usurarie del (omissis), tutt'altro che vaga essendo l'indicazione che il (omissis) soleva occuparsi di "riciclare" gli assegni che il (omissis) riceveva dalle sue vittime; o, infine, rimaste prive del supporto probatorio dedotto, come ha proposito delle inutilizzabili indagini difensive.
Peraltro i giudici del riesame non mancano di citare, a conferma delle dichiarazioni dei collaboratori sui legami criminali tra il (omissis) e il (omissis), le incisive dichiarazioni di un teste "puro" come il (omissis).
La genericità del ricorso è massimamente accentuata nel secondo motivo, davvero "caratterizzante" in tal senso, in pratica riassumibile nell'osservazione, non  ulteriormente sviluppata, secondo cui "l'esame comparativo delle dichiarazioni dei due collaboratori (omissis)" avrebbe evidenziato, nel confronto con "i principi di diritto" "un travisamento della prova".
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma di € 1.000,00, commisurata all'effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
Il cancelliere dovrà provvedere agli adempimenti di cui all'art. 94 disp. att. c.p.p.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma di € 1.000,00; manda al cancelliere per gli adempimenti di cui all'art. 94 disp. att. c.p.p.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20.01.2011.
Depositato in Cancelleria il 22.02.2011

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