Privacy

PRIVACY - Nome e generalità del titolare di una utenza telefonica mobile sono dati personali segreti, la cui acquisizione indebita è reato.

Cass. Pen., Sez. VI, Sent. 05.12.2012/14.02.2013 n° 7370, rv. 254686

La divulgazione delle generalità e dei dati personali identificativi del titolare di un'utenza mobile, da parte di un dipendente di una società di gestione di servizi telefonici, costituisce rivelazione di segreto di ufficio: ai fini della configurabilità del delitto, infatti, tale divulgazione assurge a rivelazione di notizie riservate e, dunque, coperte dal segreto d'ufficio, rilevante ai fini della configurabilità del reato di violazione del segreto.
Al detto dipendente della compagnia telefonica va infatti riconosciuta la qualifica di "incaricato di pubblico servizio"
, nell'ambito dei reati contro la pubblica amministrazione: costui, invero, avendo la possibilità di accesso ad informazioni riservate (siccome attività di carattere intellettivo) e non altrimenti trattabili se non con il consenso esplicito degli interessati, non era qualificabile come soggetto avente soltanto mansioni meramente materiali o solo d'ordine, nell'ottica della ascritta qualifica di incaricate di pubblico servizio ex art. 358 c.p.
Così ha statuito la Sesta Sezione Penale della Cassazione, in fattispecie di rivelazione e utilizzazione, a fini di profitto, del segreto d'ufficio concretatasi nella comunicazione, all'investigatore privato che aveva commissionato l'illecita richiesta, d'informazioni di pertinenza di una compagnia di gestione di servizi telefonici.

Segnatamente, i dati relativi all'intestazione delle utenze cellulari erano nella disponibilità d'una impiegata, complice del detective privato ed essi - ha inequivocabilmente sentenziato la Suprema Corte - sono notizie d'ufficio coperte dal segreto, poiché riservati per loro intrinseca natura e anche per disposizione normativa (cfr. D.L.vo n° 196/2003, c.d. Testo Unico Privacy), tanto che, in assenza del consenso del titolare, la loro acquisizione dalla postazione di lavoro della dipendente della compagnia telefonica e la successiva trasmissione e rivelazione al mandante (rectius, l'istigatore, che era "persona non autorizzata" a ricevere quei dati, veicolati, nel caso in esame, tramite sequnza di sms sull'utnza dell'investigatore, che era oggetto di autonoma attività captativa) configurano quel pericolo effettivo sotteso alla tutela penale apprestata dall'art. 326, co. 1, c.p.
In pari tempo. ha precisato la Corte, la funzione d'interesse pubblico correlata al servizio espletato dal dipendente della compagnia telefonica fa sì che resti penalmente del tutto indifferente che allo svolgimento dello stesso concorrano, anche in via non esclusiva, enti ed imprese concessionarie aventi natura privata: è sufficiente che la funzione sia "comunque colorata da interessi pubblici".
Del resto, ha osservato la Corte, "l'accesso ai dati identificativi dell'utente, al pari di quelli afferenti il traffico (principalmente i tabulati) e di quelli inerenti la stessa ubicazione per la localizzazione degli apparecchi di trasmissione e ricezione - pur se con una regolamentazione meno pregnante di quanto attiene al contenuto delle comunicazioni, soggetto alla disciplina codicistica dettata per le intercettazioni - vedono esclusivamente limitata la possibilità di accesso ad un intervento dell'autorità giudiziaria".
Inoltre, è indifferente il fatto inerente alle modalità di acquisizione del dato de quo da parte dell'operatrice del gestore di telefonia mobile ("attraverso chi e come ebbe a procurarsi la notizia coperta dal segreto"), atteso che si trattava "di informazione che la stessa poteva conoscere e riferire solo accedendo anche indirettamente agli archivi" della compagnia telefonica.

Cass. Pen., Sez. VI, Sent. 05.12.2012/14.02.2013 n° 7370, rv. 254686

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AGRO' Antonio, Presidente
Dott. IPPOLITO Francesco, Consigliere
Dott. ROTUNDO Vincenzo, Consigliere
Dott. DI STEFANO Pierlui, Consigliere
Dott. PATERNO' RADDUSA B., Rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:

Sentenza

sul Ricorso proposto da:
1) D.A.A., nato il (omissis);
2) S.C., nata il (omissis);
3) F.M., nata il (omissis);
avverso la Sentenza n° 1923/2008 della Corte d'Appello di venezia, del 08.03.2012;
visti gli atti, la Sentenza e il Ricorso;
udita in pubblica udienza del 05.12.12 la relazione fatta dal Consigliere Dott. Benedetto Paternò Raddusa;
Udito il Procuratore Generale, in persona del Dott. Nicola Lettieri, che ha concluso per annullamento senza rinvio per il D.A.A. e con rinvio per gli altri;
Udito il Difensore, Avv. C. per D.A.A., che ha concluso per l'accoglimento del Ricorso e l'Avv. A.C. per S.

Svolgimento del processo
1. Con Sentenza del 08.03.12 la Corte di Appello di Venezia, in parziale riforma della Sentenza resa in primo grado dal Gup del Tribunale di Padova nel procedimento distinto dal n° 8961/05 RGNR, riqualificati i fatti ascritti ai capi L), M), e O) della rubrica nella violazione di cui al co. 1 dell'art. 326 c.p., riduceva le pene determinate in primo grado e per l'effetto condannava alla pena ritenuta di giustizia D.A.A. e F.M. Confermava per contro la Sentenza emessa ai danni di S.C.
2. Nei due giudizi di merito il D.A.A. è stato condannato (capi I ed L) in primo luogo per aver istigato, in violazione degli artt. 110 e 615-ter c.p., V.D., appuntato dei carabinieri, separatamente giudicato, ad introdursi abusivamente nel sistema informatico in uso alle FF.PP, protetto da misure di sicurezza, e a mantenersi all'interno dello stesso contro la volontà di chi aveva il diritto di escluderlo, per acquisire informazioni poi veicolate all'imputato, fatto aggravato dall'esercizio da parte del D.A.A. della professione di investigatore privato oltre che caduto su sistema informatico relativo all'ordine e alla sicurezza pubblica; ancora, per aver, in violazione dell'art. 110 e art. 326 c.p., co. 1 (in esito alla riqualificazione in tal senso operata in grado di appello), istigato o comunque concorso con il V.D. nella rivelazione e utilizzazione a fini di profitto del segreto d'ufficio concretatosi nelle informazioni acquisite per il tramite del contestato accesso di cui al capo precedente.
3. Il D.A.A., in uno con la S.C. (capi M e O), questa ultima nella sua qualità di incaricata di pubblico servizio perchè impiegata presso la società di gestione telefonica (omissis), sono stati ritenuti colpevoli della ipotesi di reato di cui agli artt. 110 e 326, co. 1 (così riqualificata già in primo grado) per aver il primo istigato o comunque concorso con la seconda alla comunicazione di dati di pertinenza della società di gestione telefonica costituenti notizie d'ufficio coperte dal segreto.
4. Analoga imputazione costituisce infine il fondamento della condanna emessa per i capi M e O della rubrica ai danni del D.A.A. in concorso con la F.M., impiegata presso le società di gestione telefonica (omissis), anche in tal caso per la ipotesi di reato di cui all'art. 110 e art. 326, co. 1 (così qualificata in grado di appello) sempre con riferimento al concorso nella comunicazione di dati costituenti notizie d'ufficio coperte dal segreto.
5. Secondo la prospettazione accusatoria, riscontrata con doppia valutazione conforme nei due gradi di merito, quanto alle ipotesi delittuose ascritte al D.A.A. in concorso con il V.D., quest'ultimo avrebbe consultato e fornito al primo informazioni tratte dalla banca dati in dotazione delle forze di polizia; informazioni riservate riferite a soggetti autori di una truffa perpetrata ai danni di un cliente del D.A.A., di poi servite per proporre una querela nei confronti degli asseriti truffatori.
6. Quanto alle ipotesi ascritte al D.A.A. in concorso con la S.C. e la So., la comunicazione destinata, con condotta autonoma e separata, dalle due concorrenti in direzione della sfera ricettiva del D.A.A. afferiva alla individuazione delle generalità di riferimento di alcune utenze telefoniche; informazioni la cui divulgazione ha integrato, ad opinione dei giudici del merito, l'ipotesi delittuosa contestata, riqualificata nei termini di cui all'art. 326 c.p., co. 1, perchè afferente a dati che, per loro intrinseca natura e per disposizione normativa (il D.L.vo n° 196/2003) sono riservati e la cui comunicazione è destinata, in assenza del consenso del titolare, ad integrare il pericolo effettivo sotteso alla tutela apprestata dall'art. 326 c.p.
Quanto alla F.M. il giudizio di responsabilità trova fondamento negli esiti delle intercettazioni relative alle utenze nelle disponibilità dei due concorrenti in forza alle quali tramite sms il D.A.A. ebbe a chiedere notizia delle generalità di una utenza, informazione prontamente fornita dalla concorrente (peraltro non in servizio in quel frangente e dunque resa avvalendosi della collaborazione di una terza persona estranea al processo, comunque impiegata presso la medesima azienda di gestione telefonica); quanto alla S.C., con riferimento alla quale la comunicazione attiene a diverse occasioni informative, la responsabilità ascritta ha trovato conferma, malgrado l'assenza di un contatto diretto tra i due concorrenti, nei momenti di collegamento tra le attività di interesse del D.A.A. avuto riguardo alla dette utenze di interesse e i controlli operati sui terminali di riferimento della [compagnia telefonica] (omissis) quanto all'accesso ai dati afferenti le utenze stesse (accessi operati sistematicamente dalla postazione di lavoro della S.C. pur se per il tramite di una user-Id di titolarità di altra impiegata della [compagnia telefonica] (omissis), estranea ai fatti perchè nelle relative occasioni non presente sul luogo di lavoro).
7. D.A.A., per il tramite del suo difensore fiduciario, propone Ricorso articolando al fine sei diversi motivi di impugnazione.
7.1 Con il primo motivo lamenta violazione della legge penale avuto riguardo al disposto di cui all'art. 326 c.p. in relazione al fatto attribuito in concorso con il coimputato V.D.
Segnala al fine che il concorrente, separatamente giudicato, è stato assolto, con la formula perchè il fatto non sussiste, dalla Corte di Appello di Venezia avuto riguardo alle contestazioni, parallele a quelle articolate nei confronti del ricorrente, mosse ai sensi dell'art. 326 c.p. e art. 615-ter c.p.
Deduce in conseguenza che, guardando alla imputazione ex art 326 cp, trattandosi di concorso in reato proprio, venuta meno la responsabilità del concorrente qualificato deve coerentemente escludersi anche la responsabilità del concorrente extraneus.
7.2 Con il secondo motivo adduce violazione della legge penale in relazione agli artt. 110 e 615-ter c.p.p.
Sia la sentenza di primo che quella di secondo grado procedono ad un automatismo indebito nel pervenire al giudizio di responsabilità per l'ipotesi dell'art. 615-ter trasponendo al fine le valutazioni in fatto emerse con riferimento alla diversa violazione dell'art 326 c.p.
7.3 Con il terzo motivo si lamenta violazione di legge penale con riferimento all'art. 42 c.p.
L'intenzione del D.A.A. e del V.D., cristallizzata dalle emergenze processuali, era correlata alla attività di indagine funzionale alla individuazione degli autori della truffa subita dal cliente del ricorrente; essendo le informative strumentali alla querela di poi articolata, mancherebbe nella specie l'elemento soggettivo dei reati ex art. 326 e art. 615-ter c.p.
7.4 Con il quarto motivo si lamenta violazione di legge avuto riguardo agli artt. 110 e 326 c.p. con riferimento ai fatti contestati in concorso con la F.M.
Ed ancora motivazione illogica apparente e contraddittoria.
Deduce al fine che nella specie al più troverebbe applicazione il disposto di cui al D.L.vo n° 196/2003, art. 167 e non quella di cui all'art. 326 c.p.;
che la sentenza non risponde in alcun modo alla obiezione per la quale la F.M., in ferie nell'occasione dell'asserita comunicazione, non poteva rivestire il ruolo di incaricato di pubblico servizio;
che a fronte dei rilievi in ordine alle palesate discordanze di indagine in punto agli orari dell'intrecciato scambio di sms occorso tra i due concorrenti e la terza che nell'occasione avrebbe fornito alla F.M. i dati da questa poi veicolati al D.A.A., procede ad una ricostruzione a sua volta errata in sè oltre che basta su documenti (i tabulati della coimputata) non allegati in atti, pervenendo ad una conclusione illogica - quella della sostanziale indifferenza delle modalità con le quali la F. ebbe a procurarsi i dati chiesti dal D.A.A. non potendo provvedere diversamente se non tramite le informazioni riservate correlate al suo ambiente lavorativo - essendo indiscutibile che sistemi per ottenere tali risultati sono comunemente usati senza la commissione di alcun illecito.
7.5 Con il quinto motivo si deduce violazione di legge avuto riguardo agli artt. 110 e 326 c.p. con riferimento ai fatti contestati in concorso con la S. nonchè difetto di motivazione.
La sentenza sul punto motiva in modo contraddittorio, apparente, in violazione del principio che spetta all'accusa mostrare l'esistenza del fatto reato contestato e la prova che l'imputato abbia fattivamente concorso a determinare l'autore del reato proprio a commetterlo.
Manca la prova di un contatto diretto tra il ricorrente e la S.C.;
non v'è prova che la S.C. sia stata contatta dall'intermediario, tale S., mai identificato, che aveva promesso le informazioni al D.A.A.; non v'è prova che tale S. avrebbe poi contattato la S.C. per poi riversare le informazioni al D.A.A.;
si inverte l'onere probatorio allorquando si ascrive al ricorrente l'onere di indicare i mezzi leciti attraverso i quali è entrato in possesso delle informazioni in questione, non esclusivamente ricavabili attraverso gli archivi dell'ufficio della [compagnia telefonica] (omissis) dove prestava attività lavorativa la S.C.
7.6 Con il sesto motivo, infine, si deduce violazione di legge in relazione agli art. 69 c.p., co. 2, art. 545 e art. 546, co. 1, lett. f).
Si evidenzia al fine che tra la motivazione e il dispositivo sussiste contraddizione in punto al riconoscimento delle generiche ritenute prevalenti nel giudizio di comparazione con le aggravanti contestate in relazione alla ipotesi delittuosa di cui all'art. 615-ter c.p.
8. F.M. impugna la sentenza in oggetto per il tramite del difensore fiduciario.
8.1 Articola al fine due diversi motivi il primo dei quali ricondotto alla ipotesi della violazione di legge avuto riguardo al disposto di cui all'art. 326 c.p., nonchè motivazione manifestamente illogica.
Segnala in particolare che le informazioni veicolate al D.A.A. non risultavano coperte dal vincolo di segretezza correlato alla tutela dettata dall'art 326 c.p.;
piuttosto si tratterebbe di dati personali, da non veicolare, nelle forme della comunicazione o della diffusione, in violazione del diritto alla riservatezza, in ordine ai quali la tutela apprestata dall'ordinamento si pone a presidio di posizioni soggettive, seppur costituzionalmente protette, di natura privata senza coinvolgere il buon funzionamento della Pubblica amministrazione, bene giuridico tutelato dalla norma erroneamente applicata alla specie.
Al più nella specie troverebbe applicazione il disposto di cui al D.L.vo n° 196/2003, art. 167, non senza tralasciare che altro giudice, separatamente chiamato a valutare le posizioni di altri coimputati per fatti diversi ascritti nel medesimo processo al medesimo titolo di reato, aveva escluso la ricorrenza della ipotesi delittuosa contestata negando a monte il carattere segreto e finanche riservato delle informazioni in oggetto, atteso che l'agenzia investigativa poteva ricavarne i contenuti per altre vie, presumibilmente meno immediate.
8.2 Con il secondo motivo denunzia contraddittorietà della motivazione nella parte in cui la Corte perviene al giudizio di responsabilità ascritto alla F.M. pur dando atto che l'imputata, al momento della propalazione delle informazioni riversate al D.A.A., non si trovava in servizio;
ed ancora pur in assenza della prova in forza alla quale la notizia in questione venne fornita, quale materiale esecutrice della condotta dalla B., collega della F.M.
9. S.C. impugna per il tramite del suo difensore fiduciario.
9.1 Con il primo motivo lamenta violazione di legge per erronea interpretazione dell'art. 326 c.p..
Sulla linea tracciata dalla F.M. ed anche qui riferendosi all'assoluzione emessa nel procedimento parallelo che ebbe a coinvolgere il V.D. ed altri coimputati sempre in ragione dell'art. 326 c.p., lamenta sia l'indimostrata sussistenza del pericolo concreto che comunque deve sempre riscontrarsi per ritenere integrata la fattispecie contestata e, ancora più a monte, la confusione operata dalla Corte distrettuale tra notizia riservata, quale quella in esame, tutelata dalla normativa sulla privacy e notizia segreta, sanzionata dalla ipotesi erroneamente applicata nel caso in esame.
9.2 Con il secondo motivo deduceva violazione di legge avuto riguardo al disposto di cui all'art. 192 c.p., avendo il Giudice distrettuale fondato la valutazione sottesa alla responsabilità ascritta alla S.C. su una interpretazione erronea dei dati probatori, pretermettendo le ragioni di contestazione sul punto sollevate in appello.
9.3 Con il terzo motivo denunzia difetto di motivazione per avere la Corte distrettuale ascritto alla S.C. la figura di incaricato di pubblico servizio richiamandosi, senza alcuna specificazione, ad un precedente conforme della Corte di Cassazione pur in presenza di apposito motivo di appello in tal senso formulato.
9.4 Con il quarto motivo, infine, denunzia carenza di motivazione in ordine alla mancata derubricazione della ipotesi contestata in quella meno afflittiva di cui all'art. 326 c.p., co. 2 ed alla mancata applicazione della attenuante di cui all'art. 62 c.p., n° 4, quest'ultima giustificata in virtù della natura e dell'oggetto giuridico del reato contestato oltre che del danno subito dalla persona offesa; considerazioni destituite di fondamento per come viepiù confermato nell'ottica della tenuità del danno anche alla luce della revoca di costituzione della parte civile da parte dell'ente di gestione della telefonia cellulare.

Motivi della decisione
10. Il ricorso del D.A.A. è fondato nei termini di seguito precisati limitatamente ai capi I) ed L) della rubrica.
Per contro, i ricorsi della F.M. e della S.C. meritano la reiezione, con conseguente conferma integrale della Sentenza impugnata quanto alle posizione delle dette ricorrenti.
11. Prendendo le mosse dai motivi di ricorso del D.A.A. immediatamente correlati ai capi di imputazione allo stesso ascritti in concorso con V.D., separatamente processato (motivi da 1 a 3, afferenti ai capi I ed L della rubrica), giova evidenziare come la difesa ha, con il primo motivo, evidenziato la intervenuta assoluzione del coimputato V. con la formula perchè il fatto non sussiste avuto riguardo alle contestazioni, articolate in concorso con l'odierno ricorrente ai sensi dell'art. 326 c.p., co. 1 e art. 615-ter c.p.
11.1 Siffatta decisione, con riferimento alla contestazione ex art. 326 c.p., co. 1, è destinata ad incidere anche sulla posizione dell'odierno ricorrente.
Nella specie si è in presenza di reato "proprio esclusivo"; ciò non esclude che possa configurarsi la fattispecie concorsuale di cui all'art. 110 c.p., qualora ricorrano elementi per ritenere il concorso di un extraneus, sotto il profilo della determinazione o della istigazione ovvero, ancora della cooperazione materiale alla commissione del reato.
Affinchè, tuttavia, possa sussistere la responsabilità dell'estraneo, è indispensabile però che l'intraneo esecutore materiale del reato sia riconosciuto responsabile del reato "proprio esclusivo", indipendentemente dalla sua punibilità in concreto per la eventuale presenza di cause personali di esclusione della responsabilità.
Solo l'assoluzione dell'intraneo per carenza dell'elemento soggettivo potrebbe di per sè essere tale da non escludere la responsabilità dell'estraneo allorchè ricorra una delle figure generali previste dagli artt. 47 e 48 c.p. ovvero, in ogni caso, laddove la mancanza dell'elemento soggettivo riguardi esclusivamente l'autore diretto del reato e non sia estensibile all'extraneus (cfr. in questi termini Cass. Pen., Sez. V, Sent. n° 35884/09; id., Sez. I, Sent. 18.01.04, B.).
Nella specie il concorrente qualificato è stato assolto in ragione di una ritenuta insussistenza del reato perchè le notizie veicolate dal V.D. non erano connotate dalla segretezza imposta dalla norma penale assertivamente violata.
Ne consegue, in linea con quanto sopra, il venir meno della tipicità dell'offesa ed in radice della correità imputabile nel caso al D.A.A.
In parte qua, dunque, la sentenza impugnata va annullata.
11.2 A soluzione non diversa, seppur per altra via, si perviene con riferimento al capo i) della rubrica, relativo alla contestata ipotesi di cui all'art. 615-ter c.p., sempre in concorso con il V.D.
Nel caso, la sentenza di assoluzione del concorrente, diversamente dalla ipotesi precedente, non determina alcun effetto pregiudicante in quanto non esiste nell'ordinamento processuale alcuna disciplina in ordine alla efficacia del giudicato penale nell'ambito di un altro procedimento penale, a differenza di quanto avviene nei rapporti tra processo penale e giudizio civile, amministrativo e disciplinare, mentre l'art. 238-bis c.p.p. consente l'acquisizione in dibattimento di sentenze divenute irrevocabili, ma dispone che siano valutate a norma degli artt. 197 e 192, co. 3, c.p.p.
Ciò precisato in linea di principio, è tuttavia a dirsi che di fatto la detta statuizione finisce comunque per incidere anche sulla situazione processuale che occupa quantomeno nell'ottica dell'elemento soggettivo ascritto al ricorrente quanto al contegno nella specie contestato.
Se, infatti, al D.A.A. è stato contestato di aver istigato il V.D. ad accedere alla banca dati in uso alla FF. PP, per trarre le notizie poi propalate dal concorrente, secondo l'asserto accusatorio, di interesse per gli affari investigativi dell'odierno ricorrente; se, ancora, l'accesso in questione, secondo la valutazione passata in giudicato resa nei confronti del V.D. non è stato tuttavia ritenuto "abusivo" nel processo parallelamente svolto; ne consegue, infine, che già in radice possa escludersi la responsabilità del D.A.A. quantomeno sul piano dell'atteggiamento volitivo.
Anche con riferimento al capo i) della rubrica, pertanto, deve annullarsi la sentenza impugnata.
12. Meritano una trattazione unitaria i ricorsi del D.A.A., della S.C. e della F.M. con riferimento ai fatti rispettivamente contestati alle lettere m), p), o) avuto riguardo al tema comune della configurabilità della ipotesi di reato di cui all'art. 326, co. 1, c.p. laddove, come nella specie, le notizie rivelate attengano alle generalità di riferimento del titolare di una utenza telefonica mobile. Ciò nel raffronto peraltro con la ipotesi di reato cui al D.L.vo n° 196/2003, art. 167, che le difese, in particolar modo quelle delle ricorrenti S.C. e F.M., ritengono meglio attagliarsi alla fattispecie in disamina.
In parte qua, ritiene la Corte che la sentenza impugnata non meriti censura.
Va ricordato come per la giurisprudenza di questa Corte (da ultimo vedi Sez. Un., Sent. n° 4694 del 27.10.2011, rv. 251271) il delitto di rivelazione di segreti d'ufficio previsto dall'art. 326 c.p., comma 1, importa per la sua configurabilità sotto il profilo materiale che sia portata a conoscenza di una persona non autorizzata una notizia destinata a rimanere segreta e si configura come un reato di pericolo, nel senso che sussiste sempre che dalla rivelazione del segreto possa derivare una danno alla pubblica amministrazione o a un terzo.
Si è rimarcato che il delitto si configura come reato di pericolo effettivo e non meramente presunto, tanto è vero che la rivelazione del segreto è punibile, non già in sè e per sè, ma in quanto suscettibile di produrre un qualche nocumento agli interessi tutelati a mezzo della notizia da tenere segreta.
Si è altresì rilevato (cfr Cass. Pen., Sez. VI, Sent. n° 36357/04) che l'elemento distintivo del reato in disamina per differenziarlo da altre condotte che si concretano comunque in una rivelazione di notizie riservate, va identificato in base alla ratio incriminatrice, id est la tutela della pubblica amministrazione: il segreto, di cui è interdetta la divulgazione, preso in considerazione dall'art. 326 c.p., deve riguardare notizie "di ufficio", concernenti, dunque un atto o un fatto della pubblica amministrazione in senso lato nei diversi aspetti delle funzioni legislativa, giudiziaria o amministrativa stricto iure.
Ciò precisato va poi rimarcato che quello legato alle comunicazioni mantiene i connotati propri del servizio di pubblico interesse, essendo indifferente che allo svolgimento dello stesso concorrano, anche in via non esclusiva, enti ed imprese concessionarie aventi natura privata; ed ancora che i dipendenti di un ente o di una società concessionaria, anche in via non esclusiva, di un servizio di interesse pubblico, vanno considerati incaricati di un pubblico servizio, in quanto concorrono allo svolgimento dell'attività ad esso connessa, a nulla rilevando la natura pubblica o privata dell'ente o dell'imprenditore al quale questa attività sia riferibile (da ultimo Sez. VI, Sent. n° 37099 del 19.07.2012, rv. 253477).
Ciò che rileva al fine è che gli stessi, agendo nell'ambito di una funzione comunque colorata da interessi pubblici, svolgano una attività di carattere intellettivo (con esclusione dunque delle semplici mansioni d'ordine e delle prestazioni d'opera meramente materiale) priva tuttavia dei poteri autoritativi e certificativi propri della pubblica funzione in relazione alla quale si pongono in termini di complementarietà e accessorietà.
Tanto premesso, va evidenziato al fine che sia la S.C. che la F.M. erano all'epoca dei fatti dipendenti di due diverse società di gestione di servizi telefonici; è stato poi accertato (secondo valutazioni di merito estranee al controllo di legittimità laddove dotate come nella specie di congruità logica) che le stesse avevano la possibilità di accesso ad informazioni riservate, non altrimenti trattabili se non con il consenso esplicitato degli interessati, quali quelle, per quel che qui immediatamente interessa, afferenti le generalità dei titolari delle utenze mobili gestite dalle società presso le quali lavoravano (si vedano al fine gli artt. 30 e 123 D.L.vo n° 196/2003, sugli operatori abilitati all'accesso ai dati in questione); e questo basta per escludere che le mansioni espletate nella specie fossero meramente materiali o solo d'ordine, nell'ottica della ascritta qualifica di incaricate di pubblico servizio.
Fermi dunque la funzione di interesse pubblico correlata al servizio espletato e la qualifica ascritta alle ricorrenti S.C. e F.M. siccome ricondotta all'egida dell'art. 358 c.p., ritiene poi la Corte che le notizie rivelate, proprio in ragione della natura degli interessi sottesi al servizio legato alla comunicazione, siano state correttamente ritenute dalla Corte distrettuale coperte dal segreto tutelato e sanzionato, quanto alla indebita propalazione delle stesse, dall'art. 326 c.p.
In particolare, di certo le generalità e i riferimenti personali identificativi del titolare di una utenza mobile costituiscono dato non conoscibile all'esterno se non grazie al consenso in tal senso prestato dall'interessato.
Rientrano poi, altrettanto pacificamente, tra i dati, personali e identificativi, riservati ex lege per quanto sancito dalla normativa sulla privacy (art 4, co. 1, lett. b) e  c) del D.L.vo n° 196/2003), la cui comunicazione o diffusione, sempre se il fatto non costituisce reato più grave ed in presenza del dolo specifico (il fine di trarne per se o altri profitto e recare ad altri un danno) è esplicitamente sanzionato penalmente in virtù della legge sopra citata, all'art 167.
L'ipotesi di reato da ultimo citata copre, tuttavia, le condotte di comunicazione e divulgazione indebita ascrivibili a tutti i soggetti - anche se estranei al trattamento dei dati e pur se a conoscenza degli stessi in modo esclusivamente casuale (cfr Cass. Pen., Sez. III, Sent. n° 21839/11 proprio con riferimento alla diffusione del numero relativo ad una utenza telefonica mobile resa da un soggetto estraneo al trattamento del dato) - diversi da quelli che tale conoscenza hanno in ragione del servizio pubblico legato alla gestione delle comunicazioni.
Se nel caso regolato dalla normativa sulla privacy la posizione soggettiva tutelata e violata attiene alla riservatezza, per contro, laddove la propalazione indebita si intersechi come nella specie con lo svolgimento del servizio pubblico in ragione del quale si è a conoscenza di dati (non solo riservati ma) altrimenti coperti dal segreto, entra in gioco la diversa fattispecie sanzionatoria prevista dall'art. 326 c.p.
Che nella specie, i dati in questione, gestiti per ragioni inerenti il servizio pubblico di riferimento, siano coperti dal segreto è considerazione che trova sponda costituzionale nell'art. 15 Cost., norma che colora in sè tutto il settore delle comunicazioni. Tant'è che l'accesso ai dati identificativi dell'utente, al pari di quelli afferenti il traffico (principalmente i tabulati) e di quelli inerenti la stessa ubicazione per la localizzazione degli apparecchi di trasmissione e ricezione - pur se con una regolamentazione meno pregnante di quanto attiene al contenuto delle comunicazioni, soggetto alla disciplina codicistica dettata per le intercettazioni - vedono esclusivamente limitata la possibilità di accesso ad un intervento dell'autorità giudiziaria (il decreto motivato del PM di cui al D.L.vo n° 196/2003, art. 132), solo in esito al quale il gestore chiamato al trattamento degli stessi è legittimato alla comunicazione.
Trattasi dunque di dati coperti dal segreto conosciuti solo in forza dell'attività legata al servizio pubblico;
dati la cui segretezza, pur se subordinata al consenso liberatorio e dunque alla disponibilità del soggetto interessato, esonda gli argini della sfera privata del soggetto di riferimento, perchè si lega indissolubilmente al buon andamento della pubblica amministrazione in ragione degli interessi costituzionalmente protetti sottesi al settore della comunicazione.
La propalazione indebita di tali dati, dunque, concreta in sè sia il pericolo effettivo di lesione al buon andamento del servizio pubblico affidato al gestore sia la violazione del dovere di segretezza gravante sui soggetti chiamati a gestire il dato.
Di qui l'infondatezza dei motivi in parte qua segnalati dalle difese di ricorrenti.
13. L'esame degli ulteriori motivi di Ricorso singolarmente prospettati dai tre diversi ricorrenti impone una ulteriore premessa comunemente riferibile alla disamina sottesa a tutte le diverse doglianze.
La sentenza impugnata, nel ricostruire le vicende in fatto ascritte agli odierni ricorrenti ai capi da m), o), p) della rubrica segue un percorso logico immune da manifeste incongruenze così da apparire estraneo a censure prospettabili in parte qua in sede di controllo di legittimità.
13.1 E così guardando ai capi m) ed o), riferibili al D.A.A. ed alla F.M. (motivi sub 4 del Ricorso D.A.A. e sub 2 del Ricorso della F.M.), la motivazione della Corte, secondo una linea espositiva priva di vuoti logici e coerente al dato probatorio segnalato, si muove primariamente evidenziando lo scambio progressivo di sms - captati grazie al fatto che il D.A.A. era all'epoca sottoposto ad intercettazioni - tra i due concorrenti; scambio tramite il quale venne inequivocabilmente a concretarsi la propalazione indebita (riferita ad una utenza (omissis) della quale il D.A.A. intendeva conoscere la titolarità).
E nel tracciato della motivazione impugnata, viene data dovuta considerazione alle obiezioni solevate dalle difese, ribadite anche in questo grado sul versante della logicità del motivare, superandone il tenore secondo linee logiche condivise da questa Corte: così quanto agli errori materiali in cui era incorso il primo giudice (quanto alle utenze in contatto, pacificamente ricostruite siccome riferibili ai due concorrenti); ed ancora con riferimento alle incongruenze orarie nel raffronto tra i dati emergenti dalla disamina dei contatti tra le utenze dei due ricorrenti e del soggetto terzo che, nell'assunto accusatorio, essendo nel frangente la F.M. non in servizio, sempre dall'interno del gestore telefonico in questione ebbe a comunicare a quest'ultima il dato di poi immediatamente veicolato al D. A.
Su tale ultimo punto si concentra peraltro la difesa del D.A.A. nell'articolare il motivo di doglianza sub 4, ribadito con la Memoria depositata il 14.11.12: secondo la difesa le incongruenze orarie sopra segnalate sarebbero state risolte dalla Corte distrettuale avvalendosi al fine di un dato probatorio (i tabulati riferibili alla utenza della F.M.) mai acquisito ritualmente in atti.
Il lamentato, conseguente, travisamento probatorio, tuttavia, sempre se sussistente (la disamina degli atti, favorita dal dedotto error in procedendo, da riscontro di un cd allegato alla nota dei CC del 30.04.07, per forza di cose contenete i tabulati utilizzati dal Giudice, di fatto poi riscontrati nella versione cartacea dalla stessa difesa per come evidenziato nella memoria difensiva sopra citata), non assume tuttavia alcuna rilevanza decisiva nella specie giacchè non scardina il complessivo portato logico della motivazione in contestazione.
La Corte distrettuale, nel chiudere la valutazione in fatto afferente l'episodio in questione, ha infatti ritenuto determinante al fine del reso giudizio di responsabilità i riscontrati contatti diretti tra i due concorrenti, nella specie incontroversi, nella certa riferibilità all'agire della F.M. della notizia segreta propalata al D.A.A.
Dato questo presupposto, non può che ritenersi, in linea con il ritenere del giudice di secondo grado, l'indifferenza al tema della circostanza in forza alla quale la F.M., in quel momento, non era in servizio nè assume rilievo attraverso chi e come ebbe a procurarsi la notizia coperta dal segreto, trattandosi di informazione che la stessa poteva conoscere e riferire solo accedendo anche indirettamente agli archivi della (omissis).
Di qui l'insensibilità della tenuta della motivazione contestata rispetto al dedotto travisamento (sub specie della utilizzazione di prova non acquisita in atti), al più caduto su un dato comunque superato dal tenore complessivo dell'argomentare sotteso alla decisione contestata.
13.2 Del pari immune da vizi logici deve ritenersi la ricostruzione operata dalla Corte quanto alla contestazione mossa ai danni del D.A.A. in concorso con la S.C. (capi M e P).
In modo completo, puntuale e lineare sul piano della consecuzione logica del ritenere, la Corte evidenzia che erano tre le utenze pacificamente di interesse del D.A.A. di pertinenza della (omissis), gestore alle cui dipendenze lavorava all'epoca la S.C.;
che il D.A.A. ottenne le informazioni chieste per il tramite di un non meglio identificato Si.;
che tutte e tre le utenze in questione furono oggetto, nell'arco della medesima giornata, di ricerche operate tramite i terminali (omissis);
che tutte e tre le ricerche (in alternativa per la user-Id, per la postazione, per la password) erano riconducibili all'operato della S.C.;
che deve ritenersi irrilevante l'assenza di contatti diretti tra i due imputati, giacchè, per la S.C., ciò che rileva piuttosto è la propalazione all'esterno della notizia segreta, quale che sia il destinatario finale della notizia mentre per il D.A.A. assume rilievo l'attività di istigazione volta ad attivare un canale illecito che per forza di cose aveva possibilità di accesso agli archivi (omissis), essendo poi indifferente che la notizia gli fosse consegnata direttamente dall'intraneo o da un intermediario.
Questo l'argomentare della Corte distrettuale. Va evidenziata l'inammissibilità dei motivi di ricorso in parte qua sollevati dal D.A.A. (seconda parte del motivo sub 4) che, lungi dal segnalare effettive fratture logiche nel percorso tracciato dal giudice di secondo grado, si risolvono in prospettazioni in fatto alternative nella ricostruzione della vicenda sottesa al giudizio di responsabilità in parte qua; parimenti, per la genericità dello stesso, va ritenuta l'inammissibilità del motivo di Ricorso sollevato per secondo dalla S.C. (lett. b) sub specie della violazione di legge avuto riguardo al disposto di cui all'art. 192 c.p., avendo la difesa omesso di indicare con la dovuta precisione, ovviata da un inadeguato riferimento al tenore dell'appello, le doglianze pretermesse dalla Corte distrettuale nel valutare il materiale probatorio a sua disposizione, segnalandone al contempo la incisività sulla decisione finale all'uopo assunta.
14. L'ultimo motivo di Ricorso formulato dal D.A.A. risulta nella specie assorbito dall'annullamento della decisione impugnata quanto ai capi I) e L), da cui consegue la necessità di disporre il rinvio al Giudice di secondo grado per rideterminare la pena.
15. Infine, è manifestamente infondato il motivo sub 4 (rectius sub lett. D) articolato dalla S.C.
Coerentemente e con valutazione sintetica ma adeguata, la Corte distrettuale, a fronte della analitica ricostruzione operata per giungere alla conclusione del coinvolgimento della ricorrente nella fattispecie in contestazione, ha giudicato siccome inverosimili le prospettazioni difensive volte a ricondurre il relativo apporto partecipativo nei termini della mera agevolazione colposa; prospettazioni anche qui non ribadite con il Ricorso tanto da porsi in limine con la inammissibilità in radice della relativa doglianza.
Il riferimento alla omessa motivazione in ordine alla mancata applicazione alla specie del disposto dell'attenuante di cui all'art. 62, n° 4, c.p. è poi superato, tanto adeguatamente quanto radicalmente, dalla valutazione resa in termini di inconciliabilità logica tra la natura del reato contestato e l'attenuante invocata.

P.Q.M.

Annulla la Sentenza impugnata nei confronti di D.A.A. limitatamente ai capi I) ed L), perchè il fatto non costituisce reato.
Rigetta nel resto il Ricorso del D.A.A.
Rigetta i ricorsi di S.C. e F.M. che condanna al pagamento delle spese processuali.
Rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia per la rideterminazione della pena nei confronti del D.A.A.
Così deciso in Roma, il 05.12.2012.
Depositato in Cancelleria il 14.02.2013

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