MINORI - L'induzione a mostrare i genitali è violenza sessuale sul minore.
La compromissione della sfera sessuale della persona offesa minorenne si verifica anche nell'ipotesi in cui quest'ultima sia costretta o indotta solo a mostrare gli organi genitali per soddisfare un impulso sessuale dell'autore della condotta che commette l'abuso.
Questa interpretazione è molto rigorosa e trae origine dalla nozione di "atto avente rilevanza sessuale" in materia di pedopornografia. In tale ipotesi, infatti, è ricompresa, alla stregua degli artt. 600-ter e 600-quater c.p., anche la mera esposizione degli organi genitali dei bambini a fini sessuali.
L'orientamento è volto a conferire una più ampia salvaguardia alla sfera sessuale dei minori, in particolare di quelli in tenera età: il compimento di abusi sessuali in danno del bambino può infatti influire negativamente sul suo processo formativo.
Quindi anche la semplice induzione d'una bambina a esibire i suoi genitali, per trarne l'appagamento di un impulso sessuale, assurge a tentativo di compiere atti sessuali con minore.
Cass. Pen., Sez. III, Sent. 28.06/29.08.2012 n° 33362
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETTI Ciro, Presidente
Dott. LOMBARDI Alfredo M., Rel. Consigliere
Dott. FIALE Aldo, Consigliere
Dott. FRANCO Amedeo, Consigliere
Dott. SAVINO Maria Pia, Consigliere
ha pronunciato la seguente:
Sentenza
sul Ricorso proposto da: M.E., nato a (omissis); D.M., nata in (omissis);
avverso l'Ordinanza in data 14.03.2012 del Tribunale di Bolzano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il Ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alfredo Maria Lombardi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, dott. Alfredo Montagna, che ha concluso chiedendo il rigetto del Ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con la impugnata Ordinanza il Tribunale di Bolzano ha confermato parzialmente il provvedimento del G.I.P. del medesimo Tribunale in data 29.02.2012, con il quale era stata applicata a M.E. la misura cautelare della custodia in carcere e a D.M. quella degli arresti domiciliari. Il Tribunale del Riesame ha sostituito per il M.E. l'indicata misura con quella meno affittiva degli arresti domiciliari, mentre ha confermato il provvedimento impugnato nel confronti della D.M.
I predetti sono indagati, il M.E. di tentata violenza sessuale, di violenza sessuale ed entrambi di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti.
In sintesi, l'Ordinanza ha rigettato i motivi di gravame con i quali il D.M. aveva eccepito l'inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche e ambientali disposte nei suoi confronti per insussistenza dei requisiti richiesti dall'art. 266 c.p.p.
Per chiarezza si rileva in punto di fatto che il sovrintendente della Polizia di Stato B.S., con una relazione di servizio, aveva riferito di avere appreso dalle minori X e Y che una loro piccola amica era stata invitata dal D.M. nella sua abitazione con la promessa che le avrebbe dato delle figurine e qui la aveva indotto a togliersi le mutandine. Le predette X e Y avevano anche dichiarato di essere state a loro volta invitate dal D.M. a seguirlo nella sua abitazione, ma si erano rifiutate.
Il Tribunale ha ravvisato nel fatto così descritto il reato di tentata violenza sessuale ex artt. 56 e 609-quater c.p., la cui notizia giustificava l'adozione del provvedimento con il quale erano state disposte le intercettazioni.
Si rileva inoltre nell'Ordinanza che il divieto di cui all'art. 195 c.p.p., co. 4, non opera con riferimento al provvedimento con il quale si dispongono le intercettazioni e che nel caso in esame sussisteva anche il requisito dell'indispensabilità di tale mezzo di indagine.
L'Ordinanza, infine, ha affermato l'esistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico del D.M., con riferimento a ulteriori episodi di abuso sessuale in danno del figlio, e di entrambi gli indagati, con riferimento al reato di cui al D.P.R. n° 309/1990, art. 73, nonché la sussistenza delle esigenze cautelari derivanti dal pericolo di reiterazione criminosa in relazione a tutti i reati oggetto di indagine.
2. Avverso l'Ordinanza ha proposto Ricorso il difensore degli indagati che la denuncia per violazione di legge e vizi di motivazione, deducendo:
2.1 Insussistenza del tentativo di violenza sessuale nel fatto così come descritto nella relazione di servizio del sovrintendente della Polizia di Stato, dovendo eventualmente ravvisarsi un'ipotesi di desistenza volontaria ex art. 56 c.p., co. 3, nel caso in esame non punibile. Il D.M. non ha posto in essere alcun atto sessuale nei confronti della bambina, che avrebbe invitato presso la sua abitazione e avrebbe desistito volontariamente dalla condotta posta in essere.
2.2 In ogni caso il tentativo doveva essere ricondotto all'ipotesi di reato di minore gravità, con la conseguenza che anche tale fattispecie non consentiva l'adozione dei provvedimento in materia di intercettazioni.
2.3 Il provvedimento che ha disposto le intercettazioni si basa su informazioni apprese de relato dal sovrintendente della Polizia di Stato da bambine che, a loro volta, avrebbero appreso i fatti da un'altra bambina, non compiutamente identificata, con conseguente violazione dell'art. 195, co. 7, c.p.p.
2.4 Insussistenza nel fatto descritto nell'informativa di polizia giudiziaria dei gravi indizi di reato e assenza del requisito della indispensabilità delle intercettazioni, non essendo state neppure sentite a sommarie informazioni le minori.
2.5 Carenza di motivazione in relazione alle prospettazioni difensive riferite ai singoli episodi criminosi, disattese senza argomentazioni adeguate. La difesa del D.M. aveva anche prodotto l'Ordinanza del G.I.P. con la quale era stata disposta la revoca della misura cautelare con riferimento al reato di cui al D.P.R. n° 309/1990, art. 73, sicché il Tribunale avrebbe dovuto dare atto che erano venute meno le esigenze cautelari per detto reato.
Con motivi aggiunti depositati il 26.04.2012 i ricorrenti hanno dichiarato di avere interesse alla decisione del Ricorso.
Motivi della decisione
1. Il Ricorso non è fondato.
2.1 È stato già affermato da questa Corte, in relazione al primo motivo di gravame, che ai fini dell'integrazione del tentativo ai reati a sfondo sessuale sono necessarie, sul piano soggettivo, l'intenzione dell'agente di raggiungere l'appagamento dei propri istinti sessuali e, sul piano oggettivo, l'idoneità della condotta a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale, anche, eventualmente, ma non necessariamente, attraverso contatti fisici, sia pure di tipo superficiale e/o fugace, non indirizzati verso zone c.d. erogene, (cfr. Cass. Pen., Sez. III, Sent. 17.02.2011 n° 21840, rv. 249993).
A tali rilievi aggiunge la Corte che, in materia di atti sessuali commessi in danno di minore, si deve soprattutto tener conto della idoneità dell'atto richiesto o imposto alla vittima a soddisfare l'impulso sessuale di chi commette l'abuso e che la compromissione della sfera sessuale della persona offesa si verifica anche nell'ipotesi in cui quest'ultima sia costretta o indotta solo a mostrare gli organi genitali per soddisfare un impulso sessuale dell'autore della condotta.
A tale interpretazione, improntata a criteri di maggior rigore, con riferimento all'ipotesi di atti sessuali commessi in danno di minore, si perviene tenendo conto della particolare ampiezza che assume la nozione di atto avente rilevanza sessuale in materia di pedopornografia, nella quale è compresa ex artt. 600-ter e 600-quater c.p., che si richiamano alla Decisione Quadro del Consiglio Europeo n. 2004/68/GAI del 22.12.2003 e al precedente Protocollo Opzionale alla Convezione sui Diritti dell'Infanzia stipulato a New York il 06.09.2000, anche la sola esposizione degli organi genitali dei bambini a fini sessuali e, per l'effetto, è punita, oltre alla produzione, anche la diffusione o la mera detenzione di materiale che ne riproduca le immagini.
Si palesa evidente, infatti, la maggior tutela che il legislatore ha inteso attribuire alla sfera sessuale dei minori, in particolare se di tenera età, la cui violazione può influire negativamente sul processo formativo del bambino.
Può rientrare, quindi, nella nozione di abuso sessuale, in relazione alle specifiche modalità del fatto, l'indurre una bambina ad esibire i propri genitali per trarne l'appagamento di un impulso sessuale.
Correttamente, pertanto, l'Ordinanza impugnata ha, quanto meno, inquadrato il fatto oggetto di indagine, così come descritto in narrativa, anche mediante il riferimento ad altri precedenti giurisprudenziali di questa Corte, nell'ipotesi del tentativo di compiere atti sessuali con minore, mentre non potevano ritenersi sussistenti allo stato delle indagini elementi per configurare l'ipotesi della desistenza volontaria ovvero della minore gravità del fatto di cui al secondo motivo di Ricorso.
2.2 Osserva, poi, la Corte in relazione al terzo motivo di gravame, che la comunicazione della notizia di reato o la relazione di servizio di un agente o ufficiale di polizia giudiziaria non costituiscono testimonianza, sicché non trova applicazione in relazione a detti atti il disposto di cui all'art. 195, co. 7, c.p.p. che riguarda le ipotesi di testimonianza indiretta.
Nel caso in esame inoltre la bambina cui si riferivano le minori che hanno parlato con il sovrintendente della Polizia di Stato era stata indicata mediante la precisazione di sufficienti elementi (nome e cognome, sia pure approssimativo, e luogo di abitazione) per effettuarne la identificazione.
2.3 Il quarto motivo di gravame è meramente reiterativo delle precedenti deduzioni, nonché del tutto generico, oltre a risolversi in censure di merito.
2.4 Per quanto riguarda l'Ordinanza del G.I.P. di revoca della misura cautelare con riferimento ai reato di cui al D.P.R. n° 309/1990, art. 73, vi è carenza di interesse al motivo di Ricorso con riferimento all'omesso esame della stessa da parte del Tribunale, avendo tale provvedimento superato anche quello impugnato che si riferisce esclusivamente all'Ordinanza genetica della misura cautelare.
2.5 Va infine conclusivamente osservato che i ricorrenti non hanno dato neanche conto della correlazione tra le censure formulate in Ricorso avverso quella che evidentemente è stata la fase iniziale delle indagini e la validità e rilevanza del materiale indiziarlo su quale poggiano le gravi ipotesi delittuose poste a fondamento delle misure cautelari adottate nei loro confronti.
Il Ricorso, pertanto, deve essere rigettato con le conseguenze di legge.
P.Q.M.
Rigetta il Ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati significativi a norma del D.L.vo n° 196/2003, art. 53, in quanto imposto dalla legge.