Penale

PENALE - Registrazioni di colloqui da parte di privato.

voce recorder

Gli ermellini hanno recentemente confermato l'orientamento espresso anche dalle Sezioni Unite nel 2006, già riportato in questo sito, secondo il quale le registrazioni di colloqui tra privati sono perfettamente legittime e utilizzabili nel procedimento penale, siccome "documenti" ex art. 234 C.P.P.
Infatti, tali "captazioni", ove compiute di propria iniziativa da uno degli interlocutori, non rientrano affatto nel concetto d'intercettazione in senso tecnico.

Il supremo Collegio ha osservato, infatti, che se la registrazione del colloquio avvenga ad opera di una delle persone che vi partecipi attivamente o che sia comunque ammessa ad assistervi, allora difettano la compromissione del diritto alla segretezza della comunicazione (il cui contenuto viene, appunto, legittimamente appreso), nonchè la "terzietà" del captante.
I Giudici del Palazzaccio hanno ora rimarcato la diffrenza - peraltro già evidenziata dalla Corte Costituzionale nella nota Sentenza n° 320/09 - tra la registrazione fonografica eseguita d'iinziativa dal privato e quella, simile solo all'apparenza, che venga occultamente eseguita da uno degli interlocutori ma d'intesa con la polizia giudiziaria e addirittura con apparecchiature da questa fornite.
Solo in quest'ultimo caso, invero, ci si trova di fronte ad una attività propriamente investigativa, la quale incide sul diritto alla segretezza delle conversazioni e delle comunicazioni, che è tutelato dall'art. 15 Cost., e che perciò, a differenza della registrazione effettuata di mera iniziativa di un privato, richiede un controllo dell'autorità giudiziaria. Ovviamente, se il privato consente anche che la P.G. ascolti in diretta la conversazione da lui nel contempo registrata, allora occorrerà, più che il decreto autorizzatorio del P.M., un vero e proprio nulla-osta del Giudice per le Indagini Preliminari.

 

Cass. Pen., II Sez., 14.10.10/04.01.11, n° 7/2011

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Antonio      -  Presidente,
Dott. PAGANO   Filiberto       -  Consigliere,
Dott. TADDEI   Margherita    -  Consigliere,
Dott. BRONZINI Giuseppe     -  Consigliere,
Dott. CHINDEMI Domenico    -  Consigliere,
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Avv. Giorgio Pietramala nell'interesse di B.L., nato a (omissis); avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia del 30.11.2009;
Sentita  la  relazione  della causa fatta, in pubblica  udienza, dal Consigliere Dott. Giuseppe Bronzini;
Udita  la  requisitoria  del  Sostituto  Procuratore  Generale, Dr. Antonio Gialanella, il quale ha concluso chiedendo  il  rigetto  del ricorso. Osserva:

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di appello di Venezia con sentenza del 30.11.09 confermava la sentenza del Tribunale di Venezia di condanna dell'attuale ricorrente alla pena di anni due e mesi otto di reclusione ed € 2.000,00 di multa per concorso in rapina.
Si contesta al ricorrente di aver concorso con Be. A. nella rapina commessa presso un furgone postale per la somma di L. 118.000.000.
La Corte territoriale, nella sentenza impugnata, ricordava gli elementi emersi a carico del B., in particolare la conversazione avvenuta il (omissis) tra la coppia J. S. e L. G. registrata mediante l'utilizzo di un microfono fornito dalla PG nel corso della quale il L. aveva reso un'informazione dettagliata sulla rapina per cui è processo; il L. aveva riferito di avere ricevuto in consegna dal Be. una parte della refurtiva ed aveva riferito dell'apporto dato dal coimputato alla commissione della rapina; il B. L. aveva aspettato il Be. in loco per consentirgli di cambiare vettura e si era allontanato con lui. Le descrizioni delle modalità della rapina offerta dal L. corrispondevano a quelle della rapina e peraltro apparivano così dettagliate da poter essere riferite solo dall'autore materiale; inoltre il B. aveva, all'epoca della commissione del fatto, acquistato di una motocicletta per sei milioni di lire ed aveva versato la somma di dieci milioni in banca, per il cui possesso l'imputato aveva offerta una giustificazione non plausibile.
La Corte territoriale rilevava che, alla luce della giurisprudenza della Suprema Corte, la registrazione fonografica di una conversazione o di una comunicazione tra presenti non costituiva intercettazione soggetta al regime autorizzativo proprio delle intercettazioni e pertanto, non essendovi preclusioni in ordine alla testimonianza della S. e del J., la bobina era stata acquisita ed utilizzata come fonte documentale del colloquio confermato dalla S.. La Corte rilevava non credibili le dichiarazioni rese dal L. di essersi "inventato tutto" a proposito del B., stante anche la conferma della veridicità del racconto comprovato dall'immediata disponibilità di somme di denaro da parte del B., per il possesso delle quali non erano state offerte credibili giustificazioni.
Ricorre il B. con il primo motivo allega la violazione di legge ed in particolare le norme sulle intercettazioni ambientali, nonchè degli artt. 62 e 63 c.p.p. La coppia S. J. non erano altro che la longa manus della polizia giudiziaria che li aveva incaricati di eseguire la registrazione.
Con il secondo motivo si allega la violazione dell'art. 266 c.p.p., e ss., in relazione all'avvenuta acquisizione del nastro registrato.
L'ipotesi di registrazione in esame era ulteriore e diverso rispetto a quelli esaminati nella Sentenza a Sez. Un n° 26747/2003 perchè si trattava di un soggetto incaricato di effettuare la registrazione da parte della polizia giudiziaria cui era stato fornito anche un registratore. Si era trattato in realtà di una intercettazione ambientale effettuata per delega diretta della p.g. e quindi di uno strumento di indagine. Concretandosi in una intromissione illegittima nella sfera privata del soggetto, l'intercettazione doveva essere autorizzata nei modi previsti.
Con il terzo motivo si allega la carenza di motivazione della sentenza appellata in merito all'esame delle dichiarazioni del L. che aveva riferito di essersi inventato tutto.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I primi due motivi di ricorso, di oggetto analogo e quindi da valutare congiuntamente appaiono fondati.
Va ricordato sul punto la più recente e meditata giurisprudenza di questa Corte nella sentenza n°. 23742/2010 emessa il 7.4.2010: "deve premettersi che, in via di principio, la giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere che le registrazioni di conversazioni tra presenti, compiute di propria iniziativa da uno degli interlocutori, non necessitano dell'autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, ai sensi dell'art. 267 c.p.p., in quanto non rientrano nel concetto di intercettazione in senso tecnico, ma si risolvono in una particolare forma di documentazione, che non è sottoposta alle limitazioni ed alle formalità proprie delle intercettazioni (Sez. I, 14.4.1999, Iacovone; Sez. I, 14.2.1994, Pino; Sez. VI, 8.4.1994, Giannola). Al riguardo, è stato acutamente evidenziato dalle Sezioni Unite che, in caso di registrazione di un colloquio ad opera di una delle persone che vi partecipi attivamente o che sia comunque ammessa ad assistervi, "difettano la compromissione del diritto alla segretezza della comunicazione, il cui contenuto viene legittimamente appreso soltanto da chi palesemente vi partecipa o vi assiste, e la "terzietà" del captante.
La comunicazione, una volta che si è liberamente e legittimamente esaurita, senza alcuna intrusione da parte di soggetti ad essa estranei, entra a far parte del patrimonio di conoscenza degli interlocutori e di chi vi ha non occultamente assistito, con l'effetto che ognuno di essi ne può disporre, a meno che, per la particolare qualità rivestita o per lo specifico oggetto della conversazione, non vi siano specifici divieti alla divulgazione (es.: segreto d'ufficio). Ciascuno di tali soggetti è pienamente libero di adottare cautele ed accorgimenti, e tale può essere considerata la registrazione, per acquisire, nella forma più opportuna, documentazione e quindi prova di ciò che, nel corso di una conversazione, direttamente pone in essere o che è posto in essere nei suoi confronti; in altre parole, con la registrazione, il soggetto interessato non fa altro che memorizzare fonicamente le notizie lecitamente apprese dall'altro o dagli altri interlocutori.
L'acquisizione al processo della registrazione del colloquio può legittimamente avvenire attraverso il meccanismo di cui all'art. 234 c.p.p., co. 1, che qualifica documento tutto ciò che rappresenta fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo; il nastro contenente la registrazione non è altro che la documentazione fonografica del colloquio, la quale può integrare quella prova che diversamente potrebbe non essere raggiunta e può rappresentare (si pensi alla vittima di un'estorsione) una forma di autotutela e garanzia per la propria difesa, con l'effetto che una simile pratica finisce col ricevere una legittimazione costituzionale" (Cass. Sez. Un. 28.5.2003 n.°36747).
Diversa è l'ipotesi, ricorrente nel caso di specie, di registrazione eseguita da un privato, su indicazione della polizia giudiziaria ed avvalendosi di strumenti da questa predisposti. In giurisprudenza, a fronte di decisioni che hanno escluso l'esistenza di decisivi elementi differenziali tra la fonoregistrazione effettuata d'iniziativa del privato con apparato nella sua diretta disponibilità e quella ottenuta con un apparecchio fornito dagli inquirenti (Cass. Sez. II, 5.11.2002 n° 42486), in altre occasioni si è ritenuta, invece, l'inutilizzabilità di registrazioni di conversazioni effettuate, in assenza di autorizzazione del giudice, da uno degli interlocutori dotato di strumenti di captazione predisposti dalla polizia giudiziaria; e ciò sul rilievo che, in tal modo, si verrebbe a realizzare un surrettizio aggiramento delle regole che impongono il ricorso a strumenti tipici per comprimere il bene costituzionalmente protetto della segretezza delle comunicazioni (Cass. Sez. VI, 6.11.2008 n° 44128). Ad avviso di questa Corte, per la soluzione della questione, recependo anche il suggerimento offerto dalla Corte Costituzionale nella sentenza n° 320 del 2009, occorre prendere le mosse dalla pronuncia delle Sezioni Unite nella sentenza 28.3.2006 n° 26795, nella quale - con riferimento alla materia delle videoregistrazioni, è stata rimarcata la distinzione esistente tra "documento" e "atto del procedimento" oggetto di documentazione.
In tale decisione è stato chiarito che le norme sui documenti, contenute nel codice di procedura penale, sono state concepite e formulate con esclusivo riferimento ai documenti formati fuori (anche se non necessariamente prima) e, comunque, non in vista e in funzione del processo nel quale si chiede o si dispone che essi facciano ingresso.
Da ciò si è dedotto che solo le videoregistrazioni effettuate fuori dal procedimento possono essere introdotte nel processo come documenti e diventare, quindi, una prova documentale; laddove quelle effettuate dalla Polizia Giudiziaria nel corso delle indagini costituiscono "documentazione dell'attività investigativa", e sono suscettibili di utilizzazione processuale solo se riconducibili a un'altra categoria probatoria, che, in particolare, per le videoriprese, può essere individuata in quella delle c.d. prove atipiche, previste dall'art. 189 c.p.p.
Allo stesso modo, ad avviso di questa Corte, la registrazione fonografica occultamente eseguita da uno degli interlocutori d'intesa con la polizia giudiziaria e con apparecchiature da questa forniti, non costituisce un "documento" formato fuori del procedimento, utilizzabile ai fini di prova ai sensi dell'art. 234 c.p.p., ma rappresenta, piuttosto, la "documentazione di un'attività d'indagine", dato l'uso investigativo dello strumento di captazione che in tal caso viene realizzato. Ne discende che una simile attività, venendo ad incidere sul diritto alla segretezza delle conversazioni e delle comunicazioni, tutelato dall'art. 15 Cost., a differenza della registrazione effettuata d'iniziativa di uno degli interlocutori richiede un controllo dell'autorità giudiziaria. Ma tale controllo non implica la necessità di osservare le disposizioni relative all'intercettazione di conversazioni o comunicazioni di cui all'art. 266 c.p.p., e ss., in quanto le registrazioni fonografiche, per il diverso livello di intrusione nella sfera di riservatezza che ne deriva, non possono essere assimilate, nemmeno nell'ipotesi considerata, alle intercettazioni telefoniche o ambientali e non possono, quindi, ritenersi sottoposte alle limitazioni ed alle formalità proprie di queste ultime. Non par dubbio, infatti, che le intercettazioni si rivelano particolarmente invasive della sfera di segretezza delle comunicazioni; il che determina la necessità dell'autorizzazione del giudice. Le registrazioni fonografiche eseguite da uno degli interlocutori con strumenti di captazione forniti dagli organi investigativi, al contrario, essendo effettuate col pieno consenso di uno dei partecipi alla conversazione, implicano un minor grado di intrusione nella sfera privata; sicchè, ai fini della tutela dell'art. 15 Cost., è sufficiente un livello di garanzia minore, rappresentato da un provvedimento motivato dell'autorità giudiziaria, che può essere costituito anche da un decreto del pubblico ministero. Tale provvedimento, infatti, rappresenta il "livello minimo di garanzie" richiamato in varie pronunce della Corte Costituzionale (Sentenze n° 81 del 1993 e n° 281 del 1998) e al quale la giurisprudenza di legittimità ha fatto riferimento, in mancanza di una specifica normativa, sia in materia di acquisizione dei tabulati contenenti i dati identificativi delle comunicazioni telefoniche (Sez. Un. 23.2.2000 n° 6), sia in tema di videoriprese eseguite in luoghi non riconducibili al concetto di domicilio, ma meritevoli di tutela ai sensi dell'art. 2 Cost., per la riservatezza delle attività che vi si compiono (Cass. Sez. Un. 28.3.2006 n° 26795)".
Questa Corte condivide interamente tale orientamento in quanto la situazione in cui la P.G. sia direttamente collegata al privato all'atto della registrazione e quella in cui il privato sia stato incaricato dalla stessa e sia stato a questi fornito un'apparecchiatura ad hoc vanno assimilate posto che in entrambi i casi sussiste una intromissione nella vita privata del singolo da parte della polizia giudiziaria, senza la mediazione di un provvedimento autorizzativo del Giudice. Peraltro, come osservato nella citata decisione della Suprema Corte, tale interpretazione appare altresì rispondere all'orientamento della Corte di Strasburgo sul punto (cfr. in particolare, per un'ipotesi molto simile a quella in discussione del presente giudizio, la sentenza M.M. contro Paesi Bassi dell'8.4.2003). Nessun interesse costituzionalmente protetto è peraltro di ostacolo all'ingresso di tale giurisprudenza nel nostro ordinamento giuridico posto che la stessa mira a salvaguardare esigenze che già sono protette dalla legislazione interna e osservato che il "rispetto della vita privata e familiare" è altresì previsto all'art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, non applicabile , ex art. 51 della stessa Carta, al caso in esame in quanto non si controverte di una norma dell'Unione o di una disposizione nazionale che abbia con la prima una qualche connessione, ma che, comunque, attesta sul piano generale che ci troviamo in presenza di valori e principi considerati comuni agli stati membri, certamente rilevanti sul piano argomentativo ed orientativo (cfr., sulla rilevanza in chiave ermeneutica della Carta dei diritti Ue anche al di fuori delle ipotesi di diretta applicazione: Corte costituzionale n. 93/2010; Cass. n. 28658/2010; Cass. n. 21697/2010; Cass. n. 2352/2010).
Pertanto le fonoregistrazioni menzionate in sentenza non appaiono utilizzabili perchè effettuate d'intesa con la P.G. e con un'apparecchiatura da questa fornita e; conseguentemente si deve annullare l'impugnata sentenza con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia che dovrà esaminare il residuo materiale probatorio attenendosi al già menzionato principio di diritto.

P.Q.M.

Annulla l'impugnata sentenza con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia per nuovo giudizio.
Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2010.
Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2011

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