PENALE - TV7, "Cyberbullismo: di cosa si tratta e come va affrontato?".
Questo il video della trasmissione andata in onda su TV7 Triveneta il 17 ottobre 2016 alle ore 13:00, con gli Avvocati Maria Paola Mastropieri e Salvatore Frattallone, di "View net Legal - The hi-touch lawyers network". Per vedere il video della puntata di "TV7 con Voi", condotta da Elena Cognito, concernente il fenomeno del cyberbullismo (durata di 44' 47") clicca sull'immagine o su questo link. Il «cyberbullismo» è un fenomeno che si è sviluppato a seguito dell’ampio utilizzo dei mezzi di comunicazione online da parte di giovani e preadolescenti. Il termine indica l’atto di bullismo compiuto da un soggetto (cyberbullo) che, prevalentemente mediante i social network, offende o ricatta la vittima mediante la diffusione di materiale denigratorio (testi, foto e immagini) o la creazione di gruppi «contro». Si tratta di un uso inappropriato della rete, realizzato fuori dal controllo degli adulti, con cui i ragazzi si scambiano contenuti violenti, denigratori, discriminatori, rivolti a coetanei considerati «diversi» per aspetto fisico, abbigliamento, orientamento sessuale, classe sociale o perché stranieri.
È percepito come pericolo più grave rispetto al problema della tossicodipendenza (55 per cento), della molestia da parte di un adulto (44 per cento) o del rischio di contrarre una malattia sessualmente trasmissibile (24 per cento). Dalla ricerca realizzata da Ipsos per l’organizzazione Save the Children si evince che i 2/3 dei minori italiani riconoscono nel cyberbullismo la principale minaccia che aleggia sui banchi di scuola, nella propria cameretta, nel campo di calcio, di giorno come di notte. Per tanti di loro, il cyberbullismo arriva a compromettere il rendimento scolastico (38 per cento che sale al 43 per cento nel Nord-Est), riduce il desiderio di frequentazione sociale (65 per cento, con picchi del 70 per cento nelle ragazzine tra i dodici e i quattordici anni) e può comportare una serie di conseguenze psicologiche compresa la depressione (57 per cento, percentuale che sale al 63 per cento nelle ragazze tra i quindici e i diciassette anni, mentre si abbassa al 51 per cento nel Nord-Est). Per il 72 per cento dei ragazzi intervistati (percentuale che sale all’85 per cento per i maschi tra i dodici e i quattordici anni e al 77 per cento nel Sud e nelle Isole) rappresenta la maggior minaccia del nostro tempo.
Il fenomeno è noto da tempo nella sua gravità tanto che la Commissione europea ha istituito la giornata Safer internet day, nonché un tavolo apposito per la promozione di un utilizzo sicuro e responsabile dei nuovi media tra i più giovani, anche ai sensi della decisione 1351/2008/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008. Una recente indagine (svolta nell’ambito dei progetti Nausicaa e Open Eyes: safernet use – a cura degli Osservatori di Milano e Caserta istituiti nell’ambito del Piano nazionale «Più scuola meno mafia» della Direzione generale per lo studente, l’integrazione, la partecipazione e la comunicazione, del Ministero dell’istruzione, dell’università (MIUR) ha evidenziato che il 21,5 per cento dei ragazzi considera i social network come uno strumento per fare nuove conoscenze, ma anche l’occasione in cui si manifestano i rischi maggiori della navigazione in rete. Il 12,5 per cento del campione riconosce di avere utilizzato i social network per diffondere messaggi offensivi o minacciosi nei confronti di coetanei; il 13,6 per cento dei maschi e l’8,1 per cento delle ragazze dichiarano di avere «umiliato» altre persone con la diffusione di materiali offensivi e insinuazioni diffamatorie. Ancor più preoccupanti sono i dati relativi al fenomeno subito o di cui i ragazzi sono testimoni: il 10 per cento degli studenti interpellati dichiara di essere stato vittima di diffusione di informazioni e immagini personali senza il proprio consenso; il 12 per cento dei maschi e il 16 per cento delle femmine dichiara di essere stato vittima di insulti, aggressioni verbali e minacce; il 12 per cento riferisce che altri hanno inviato messaggi e immagini a proprio nome; il 31,4 per cento degli intervistati è stato testimone o è a conoscenza di altri studenti partecipanti a gruppi online a sfondo razzista od omofobo; il 30 per cento è a conoscenza o è stato testimone diretto della diffusione di messaggi di minaccia da parte di altri studenti.
I fatti tragici accaduti nell’ultimo periodo confermano quanto osservato nelle indagini svolte. La tipologia delle vittime mette in evidenza che i criteri di elezione si riferiscono alla «diversità». Giocano un ruolo non secondario: l’aspetto estetico (67 per cento, con picchi del 77 per cento tra le femmine dai dodici ai quattordici anni), la timidezza (67 per cento, che sale al 71 per cento sempre per le ragazze preadolescenti), il supposto orientamento sessuale (56 per cento che arriva al 62 per cento per i preadolescenti maschi), l’essere straniero (43 per cento), l’abbigliamento non convenzionale (48 per cento), la bellezza femminile che «spicca» nel gruppo (42 per cento) e persino la disabilità (31 per cento, che aumenta al 36 per cento tra le femmine dai dodici ai quattordici anni), sono questi i fattori che possono fungere da leva per prendere di mira qualcuno. Di minore importanza, o almeno non abbastanza per attirare l’attenzione dei bulli, sono invece considerati l’orientamento politico o religioso, causa di atti di bullismo rispettivamente per il 22 e il 20 per cento dei ragazzi (Ipsos 2013).
Diverse sono le modalità per mezzo delle quali i ragazzi raccontano di poter mettere in atto i comportamenti aggressivi una volta individuata la vittima: si rubano e-mail, profili, o messaggi privati per poi renderli pubblici (48 per cento), si inviano sms/mms/e-mail aggressivi e minacciosi (52 per cento, lo fanno soprattutto le femmine preadolescenti, la cui percentuale raggiunge il 61 per cento), vengono appositamente creati gruppi «contro» su un social network per prendere di mira qualcuno (57 per cento), o ancora vengono diffuse foto e immagini denigratorie o intime senza il consenso della vittima (59 per cento, con picchi del 68 per cento nel Nord-Est), o notizie false sul soggetto da colpire (58 per cento). La modalità d’attacco preferita dai giovani cyberbulli è la persecuzione della vittima attraverso il suo profilo su un social network (61 per cento).
Mediamente viene messa in atto la dinamica del «branco» per cui uno comincia e gli altri convergono con i loro contributi, convinti peraltro di mantenere l’anonimato attraverso i nicknames. A ciò si aggiunge il furto di identità digitale compiuto da ragazzi a danno di altri ragazzi. Il direttore nazionale della Polizia postale ha evidenziato che nei ragazzi manca completamente la consapevolezza degli atti compiuti, anche in virtù della facilità di accesso e di utilizzo della rete, che rende anomini e quindi apparentemente non perseguibili. Egli ha, altresì, richiamato l’attenzione sull’abitudine diffusa di mettere in rete immagini relative alla sfera intima, in tempo reale, senza percepire rischi e i pericoli della pedopornografia online.
E’ essenziale potenziare le azioni di prevenzione e di contrasto del cyberbullismo a causa delle conseguenze gravi che possono prodursi: gli episodi di bullismo «virtuali» possono esser più dolorosi di quelli reali, perché l’offesa e la denigrazione hanno, per chi li subisce, un’amplificazione immediata, che non si cancella nel tempo. La solitudine accompagna frequentemente il percorso doloroso della vittima, che tende a rifiutarsi di continuare la vita sociale, che difficilmente si confida e cade in uno stato di prostrazione psicologica che può condurre a decisioni di assoluta gravità, come il suicidio. Da qui l’esigenza di coinvolgere le famiglie e la scuola.
In questo senso la Relazione al d.d.l. n° 1261 "Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo", già approvato dal Senato della Repubblica.
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