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PRIVACY - InSaluteNews, "Ospedali e medici sui social network. Ecco cosa si rischia".

Ospedali e medici sui social network. Ecco cosa si rischia. In crescita segnalazioni, commenti, foto e video postati all’insaputa di pazienti e sanitari. Gruppi per la segnalazione di disservizi dei nosocomi: ne nascono 10 al giorno, ma attenzione alle denunce.

(da insalutenews.it, 28 febbraio 2017, di Nicoletta Cocco

Roma, 20 febbraio 2017 – La vicenda dell’ospedale di Nola arrivata su tutti i giornali, in cui una persona ha fotografato pazienti curati per terra per mancanza di posti letto ha scoperchiato un vaso di Pandora: denunce, interviste e la scoperta dell’esistenza di decine di gruppi sui principali social. Sono gruppi segreti o chiusi che hanno lo scopo di raccogliere le segnalazioni sui disservizi delle varie strutture sanitarie italiane.

Sono già decine, vi si accede su invito e sono difficili da individuare ma si stima che ne nascano circa 10 al giorno. Più che una moda, un desiderio di denuncia, una valvola di sfogo, un luogo dove canalizzare commenti rabbiosi. Tanto praticamente tutti hanno in tasca un tablet o uno smartphone con cui riprendere la visita medica del parente o registrare l’audio della propria, spiare cosa accade in corsia e raccogliere documentazione per eventuali denunce di disservizi. Il passo successivo è postare il video su un social network e raccogliere la solidarietà degli altri membri, oppure collezionare testimonianze analoghe. Peccato che si rischi di commettere un illecito, se non addirittura un reato, come spiega l’avvocato Salvatore Frattallone, del Foro di Padova. 

“I numerosi casi di malpractice non sempre danno luogo ad una denuncia, spesso le persone si limitano a lamentarsene su un social, grazie alla possibilità di documentare facilmente una situazione. Ma non è detto che usare video o foto su Facebook sia lecito. Il paziente che riprenda un’operazione sanitaria o che scatti delle fotografie di luoghi o persone impiegate all’interno di una struttura sanitaria rischia di violare il Decreto Legislativo n° 196/03 e d’incorrere nella commissione di un reato. L’art. 5 del Codice per la tutela dei dati personali privacy prevede che l’acquisizione di immagini di persone in un luogo soggiace alle ferree regole dettate per la tutela della riservatezza se i dati siano destinati ‘a una comunicazione sistematica o alla diffusione’. Quindi immagini, video o voce possono essere raccolti liberamente, di regola senza problemi se sono destinati a restare nella sfera personale di chi li acquisisce, senza che ne venga fatto un altro uso diverso. Ad esempio se voglio essere sicuro di ricordare tutto quello che mi ha detto il medico e l’uso è di riascoltare la registrazione a casa. Mentre si parla di ‘diffusione’ quando si dà conoscenza reiterata dei dati personali altrui (ad esempio l’immagine del volto che può svelare l’identità del soggetto ripreso, peggio ancora se a sua insaputa) se la trasmissione coinvolge un numero indeterminato di soggetti oppure se è rivolta a persone dall’identità incerta”.

Alla diffusione è equiparata, per la legge sulla privacy, la ‘comunicazione sistematica’, che si verifica quando l’invio di un post con foto o registrazioni di voce altrui è ripetuto: l’uso non è più personale e quindi diventano obbligatorie una serie di regole che tutelano i diretti interessati, i cui dati sono stati registrati senza previo consenso. Tipico uso personale, che rende lecita la raccolta di immagini e video, è quello finalizzato a conservare memoria di accadimenti che riguardano la propria storia, la propria sfera intima; un altro uso legittimo è quello volto all’acquisizione di prove da utilizzare per sporgere una querela o per promuovere una causa civile a tutela di un proprio diritto.

Il Garante per la privacy ha chiarito che se le informazioni sono caricate online e risultano visibili in rete in modo libero, da parte di chiunque si connetta al web, allora operano le più stringenti regole della privacy. Dunque, bisogna prestare attenzione alle regole sulla privacy del proprio account sui social: rendere il post visibile a tutti o solo agli amici fa una bella differenza! I social network devono essere considerati dei mezzi divulgativi di informazioni verso una quantità indeterminata di soggetti e quindi potenzialmente devastanti.

Il fatto di caricare foto altrui su di un profilo facebook (o un gruppo), purché ‘chiuso’, non comporta, di per sé, l’applicazione del Codice della Privacy ma può aprire la strada del penale. Può essere commesso, infatti, il reato di diffamazione quando si verifica una lesione dell’altrui reputazione (purché la comunicazione avvenga fra almeno tre persone). Per essere colpevoli del delitto, basta un commento offensivo o un LIKE ad un commento offensivo della dignità del soggetto ripreso; peraltro, nel processo penale, si può innestare una causa civile se la vittima intende ottenere un risarcimento per la reputazione che gli è stata lesa. In questi casi, infatti, opera l’art. 595 c.p. perché è fuori discussione che il binomio ‘immagine+didascalia’ è sicuramente idoneo a ledere la professionalità o l’immagine dell’ospedale, al pari di quella delle persone riprese in video e dileggiate. Per la Cassazione, il post su facebook, se offensivo, comporta l’aggravante ex art. 595, co. 3, c.p. perché il reato è stato consumato attraverso un mezzo di pubblicità, che fa scattare la pena da 6 mesi a 3 anni (Cass. Pen., Sent. n° 4873/17).

“Se una persona scatta una foto o gira un video e la tiene per sé, non c’è alcuna violazione, ammesso che il documento non contenga ad esempio informazioni sullo stato di salute di un soggetto riconoscibile, perché sono dati considerati sensibili e soggetti alla riservatezza. Quindi in questo caso, social network o no, prima di effettuare la ripresa è necessario sia dare l’informativa (art. 13), che ottenere il consenso scritto dell’interessato, sennò il trattamento è illecito. Anzi, in alcuni peculiari casi è stato persino ritenuto integrato il reato di ‘interferenze illecite nella vita privata’” prosegue l’avvocato Frattallone. Se sono il familiare della persona ricoverata, posso riprendere il parente per uso personale, senza postarlo, qualora mi serva la prova di una responsabilità medica, ad esempio. Ma se la ripresa è destinata ad essere postata sui social, ho bisogno anche del consenso scritto delle altre persone riprese nella stanza d’ospedale.

Mentre nel caso sia fotografato un operatore sanitario da parte di un paziente entra in gioco l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, per il quale v’è il divieto assoluto di controllo del lavoratore tramite impianti audiovisivi o altre apparecchiature simili, salvo siano state ottenute le prescritte autorizzazioni. In questo senso, la tutela del lavoratore deve ritenersi trasversale. Se, facciamo un esempio, un infermiere gioca al pc mentre è di turno al lavoro, la condotta può essere fotografata da un paziente ma solo per allegarla ad una denuncia da consegnare alle autorità che per accertare l’illecito dovranno comunque eseguire delle indagini su mandato di un giudice. Quindi non ogni impiego delle risorse tecnologiche è di default lecito e consentito.

Ricapitolando, nel caso in cui si vogliano scattare delle foto o riprendere degli operatori sanitari mentre lavorano, va richiesto preventivamente il consenso. E se si riprendono, anche accidentalmente, degli altri pazienti (ad esempio allettati nella camera in cui sono ricoverati) a loro va chiesto il consenso scritto (o va documentato che il permesso è stato chiesto e concesso) e i volti vanno oscurati, a loro tutela.

(sul punto, cfr. anche Askanews

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