Penale

PENALE - Concorrenza sleale e punibilità dello storno di clientela.

storno di clientela

La Cassazione ha sancito la linea dura contro i casi di c.d. storno di clientela da una società a un'altra.
Stante la diversità dei beni giuridici tutelati, ha stabilito infatti che v'è concorso formale di reati - e non assorbimento negli altri reati contestati - tra il delitto di turbata libertà dell'industria o del commercio e quelli di cui agli artt. artt. 615-ter e 646 C.P.
Infatti, l'art. 513 C.P. è norma diretta a garantire il diritto individuale al libero svolgimento di un'attività industriale o commerciale, siccome disposizione posta a salvaguardia dell'ordine economico di un soggetto che svolga attività imprenditoriale.

Invece, l'accesso abusivo a un sistema informatico, che tutela la privacy e l'inviolabilità del domicilio informatico di una persona e la riservatezza dei dati personali e, rispettivamente, l'appropriazione indebita è prevista dal codice penale a salvaguardia del diritto di proprietà, altrimenti pregiudicato dal possessore di cosa altrui.
Invero, si tratta di reati oggettivamente diversi, poiché l'eventuale uso dei mezzi fraudolenti, volti ad assicurare all'agente un profitto, non concretizza di per sè soltanto un'ipotesi di concorrenza sleale, civilisticamente rilevante ai sensi dell'art. 2598, co. 3., C.C.
Conseguentemente, la turbativa dell'attività svolta da una società, se attuata da persone riconducibili a una ditta concorrente che agiscano tramite condotte fraudolente tali da provocare lo storno di clientela dalla prima alla seconda, va ascritta - ricorrendo gli altri elementi della fattispecie, tra cui il dolo specifico (è necessario che il reo abbia agito col fine di cagionare l'impedimento o il turbamento del normale esercizio di un'attivita industriale o commerciale) - all'ipotesi penale di cui all'art. 513 C.P.
Per la giurisprudenza più risalente peraltro (cfr. Cass. Pen, 05.03.1970) l'uso di mezzi fraudolenti volti ad assicurare all'agente solo un utile economico, senza il fine di danneggiare l'azienda concorrente, assurge solo a concorrenza sleale. 
In ogni caso, l'art. 513 C.P. contempla un reato di mero pericolo, quale delitto a c.d. consumazione anticipata (che non ammette il tentativo), dato che la condotta d'impiego di mezzi fraudolenti o concretanti una violenza sulle cose, se idonei allo scopo, prescinde dal pieno successo dell'azione delittuosa e anche dal verificarsi in concreto di un qualche turbamento (alterazione del regolare svolgimento) o impedimento (paralisi del funzionamento) dell'altrui attività d'impresa organizzata per la produzione o lo scambio di beni o servizi. 

 

Corte di Cassazione, Sez. III Pen., Sentenza 05.10.2010 n° 35731

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ONORATO Pierluigi, Presidente
Dott. CORDOVA Agostino, Consigliere
Dott. GENTILE Mario, Consigliere
Dott. AMORESANO Silvio, Rel. Consigliere
Dott. GAZZARA Santi, Consigliere
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul Ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino e il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Torino;
Avverso la Sentenza resa dal G.U.P. del Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di: M.S., nato a (omissis);
Visti gli atti, la Ordinanza ed il Ricorso;
Udita la relazione svolta in udienza dal consigliere Dott. Santi Gazzara;
Udito il pubblico ministero, in persona del sostituto Procuratore Generale, dott. Guglielmo Passacantando, il quale ha concluso per l'annullamento con rinvio;
Udito il difensore del ricorrente.

Osserva
Ritenuto in fatto

Il G.U.P. presso il Tribunale di Torino, con Sentenza del 06.10.09, ha dichiarato non luogo a procedere in relazione al reato di cui all'art. 513 C.P., ascritto a M.S. perché il fatto non costituisce reato.
Il M.S. era imputato, in concorso con S.C. e G.M., nei cui confronti si è proceduto separatamente, per avere, a mezzo delle condotte fraudolente di cui agli altri capi di imputazione (reati di cui agli artt. 615-ter e 646 C.P.), turbato l'attività della "(omissis) e c. s.a.s.", in particolare, ponendo in essere le condizioni per uno storno di clientela da quest'ultima società alla M.S. S.n.c.
Il decidente è pervenuto a tale conclusione per due ordini di ragioni:
- la prima è la presenza della clausola di salvezza "salvo che il fatto non costituisca più grave reato", nel disposto normativo in questione, che renderebbe la fattispecie di reato di cui all'art. 513 C.P. assorbita dai reati più gravi contestati (art. 110 C.P., art. 615-ter, co. 1 e 2, n. 1 ultima ipotesi; art. 167, co. 1, D.L.vo n° 196/2003; art. 646, co. 1, C.P.) per i quali è stato pronunciato il Decreto che dispone il giudizio;
- la seconda ragione è la mancanza di dolo specifico, necessario per configurare la fattispecie di reato di turbativa della libertà della industria o del commercio.
Propongono autonomi Ricorsi per Cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino ed il Procuratore Generale sede, con gli stessi motivi:
- gli articoli di legge nei quali risulterebbe assorbito il reato di cui all'art. 513 C.P. tutelano interessi del tutto differenti rispetto alla norma in questione, per cui è pienamente configurabile un concorso formale di norme;
- ha errato il Giudice nell'escludere la sussistenza del dolo specifico, richiesto per la configurazione del reato di cui all'art. 513 C.P., in quanto la volontà di turbare il mercato e il commercio della società "(omissis) e c. s.a.s." da parte dei tre imputati è provata dalla stessa condanna per gli altri reati inflitta al G.M. e al S.C. e dal Decreto che dispone il giudizio nei confronti del M.S. per i reati di cui agli artt. 615-ter e 646 C.P. e D.L.vo n° 196/2003, art. 167.
La difesa del prevenuto ha inoltrato in atti Memoria nella quale evidenzia la correttezza del decisum e rileva che i Ricorsi avanzati si rivelano privi di fondamento, in quanto il decidente, con motivazione chiara e convincente ha ritenuto che nel complesso capo di imputazione, elevato nei confronti del M.S., il capo E) non avesse alcuna autonomia in concreto, in quanto la condotta in detto capo contestata era la medesima di quella di cui ai capi precedenti (sotto la forma di più gravi reati) per i quali l'imputato è già stato rinviato a giudizio.

Rilevato

In diritto
I Ricorsi si palesano fondati e meritano accoglimento.
Le censure evidenziano che sia l'art. 615 C.P., come l'art. 646 C.P., tutelano beni giuridici diversi da quelli per cui risulta apprestato l'art. 513 C.P.:
il primo tutela la privacy e, soprattutto, la inviolabilità del domicilio informatico di una persona e la riservatezza dei dati personali;
l'art. 646 c.p. è posto a salvaguardia del diritto di proprietà, che verrebbe violato dal possessore di cosa altrui.
I ricorrenti, di poi, rilevano che elemento essenziale per la sussistenza del delitto ex art. 513 C.P. è l'uso di mezzi fraudolenti tesi all'impedimento o alla turbativa dell'esercizio di un industria o di un commercio;
occorre perciò un nesso teleologico tra i mezzi fraudolenti e la turbativa suddetta e la norma è diretta a garantire il diritto individuale al libero svolgimento della attività industriale o commerciale.
La previsione normativa di cui all'art. 513 C.P., pertanto, diversamente dalle precedenti norme citate, è posta a salvaguardia dell'ordine economico di un soggetto che svolge attività imprenditoriale, cioè il diritto individuale al libero svolgimento delle attività industriali e commerciali.
La condotta, richiesta per la concretizzazione di tale fattispecie consiste nel fare uso di violenza sulle cose o di mezzi fraudolenti per impedire o turbare l'esercizio di una industria o di un commercio.
Ne consegue che, come osservato nei ricorsi, è pienamente configurabile un concorso formale di norme, in quanto trattasi di reati, con nettezza, oggettivamente diversi, e non, come ritenuto dal Giudice per la udienza preliminare che ha affermato l'esclusione di detto concorso, col considerare che l'uso dei mezzi fraudolenti, volti ad assicurare all'agente un profitto, concretizzi solo una ipotesi di concorrenza sleale, ex art. 2598, co. 3., C.C.
Peraltro, come rilevato nei motivi d'impugnazione, appare fondato il rilievo sulla sussistenza del dolo specifico in capo al prevenuto, con richiamo agli stessi atti posti in essere dai coimputati del M.S., già condannati per gli altri reati, visto che costoro hanno svolto, in maniera preordinata, una attività finalizzata a bloccare, turbare e, in ogni caso, pregiudicare l'attività commerciale della "(omissis) e c. s.a.s." a favore del M.S., ben consapevole quest'ultimo che i risultati dell'attività di S.C. e G.M. avrebbe arrecato danno alla società concorrente e determinato, contestualmente, un evidente utile per sè.
In dipendenza di quanto osservato questo Collegio ritiene che la sentenza impugnata debba essere annullata con rinvio, affinché il giudice ad quem proceda, facendo buon governo dei principi richiamati.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione annulla la Sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Torino.
Così deciso in Roma, il 22.06.2010.
Depositato in Cancelleria il 05.10.2010

La Cassazione ha sancito la linea dura contro i casi di c.d. storno di clientela da una società a un'altra.
Stante la diversità dei beni giuridici tutelati, ha stabilito infatti che v'è concorso formale di reati - e non

assorbimento negli altri reati contestati - tra il delitto di turbata libertà dell'industria o del commercio e

quelli di cui agli artt. artt. 615-ter e 646 C.P.
Infatti, l'art. 513 C.P. è norma diretta a garantire il diritto individuale al libero svolgimento di un'attività

industriale o commerciale, siccome disposizione posta a salvaguardia dell'ordine economico di un soggetto che

svolga attività imprenditoriale, mentre l'accesso abusivo a un sistema informatico, che tutela la privacy e

l'inviolabilità del domicilio informatico di una persona e la riservatezza dei dati personali e, rispettivamente,

l'appropriazione indebita è invece prevista dal codice penale a salvaguardia del diritto di proprietà, altrimenti

pregiudicato dal possessore di cosa altrui.
Invero, si tratta di reati oggettivamente diversi, poiché l'eventuale uso dei mezzi fraudolenti, volti ad

assicurare all'agente un profitto, non concretizza di per sè soltanto un'ipotesi di concorrenza sleale,

civilisticamente rilevante ai sensi dell'art. 2598, co. 3., C.C.
Conseguentemente, la turbativa dell'attività svolta da una società, se attuata da persone riconducibili a una ditta

concorrente che agiscano tramite condotte fraudolente tali da provocare lo storno di clientela dalla prima alla

seconda, va ascritta - ricorrendo gli altri elementi della fattispecie, tra cui il dolo specifico (è necessario che

il reo abbia agito col fine di cagionare l'impedimento o il turbamento del normale esercizio di un'attivita

industriale o commerciale) - all'ipotesi penale di cui all'art. 513 C.P.
Per la giurisprudenza più risalente peraltro (cfr. Cass. Pen, 05.03.1970) l'uso di mezzi fraudolenti volti ad assicurare all'agente solo un utile economico, senza il fine di danneggiare l'azienda concorrente, assurge solo a concorrenza sleale.  
In ogni caso, l'art. 513 C.P. contempla un reato di mero pericolo, quale delitto a c.d. consumazione anticipata (che non ammette il tentativo), dato che la condotta d'impiego di mezzi fraudolenti o concretanti una violenza sulle cose, se idonei allo scopo, prescinde dal pieno successo dell'azione delittuosa e anche dal verificarsi in concreto di un qualche turbamento (alterazione del regolare svolgimento) o impedimento (paralisi del funzionamento) dell'altrui attività d'impresa organizzata per la produzione o lo scambio di beni o servizi.  

Corte di Cassazione, Sez. III Pen., Sentenza 05.10.2010 n° 35731

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ONORATO Pierluigi, Presidente
Dott. CORDOVA Agostino, Consigliere
Dott. GENTILE Mario, Consigliere
Dott. AMORESANO Silvio, Rel. Consigliere
Dott. GAZZARA Santi, Consigliere
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul Ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino e il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di

Torino;
avverso la Sentenza resa dal G.U.P. del Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di: M.S., nato a

(omissis);
Visti gli atti, la Ordinanza ed il Ricorso;
Udita la relazione svolta in udienza dal consigliere Dott. Santi Gazzara;
Udito il pubblico ministero, in persona del sostituto Procuratore Generale, dott. Guglielmo Passacantando, il quale

ha concluso per l'annullamento con rinvio;
Udito il difensore del ricorrente.

Osserva
Ritenuto in fatto
Il G.U.P. presso il Tribunale di Torino, con Sentenza del 06.10.09, ha dichiarato non luogo a procedere in

relazione al reato di cui all'art. 513 C.P., ascritto a M.S. perché il fatto non costituisce reato.
Il M.S. era imputato, in concorso con S.C. e G.M., nei cui confronti si è proceduto separatamente, per avere, a

mezzo delle condotte fraudolente di cui agli altri capi di imputazione (reati di cui agli artt. 615-ter e 646

C.P.), turbato l'attività della "(omissis) e c. s.a.s.", in particolare, ponendo in essere le condizioni per uno

storno di clientela da quest'ultima società alla M.S. S.n.c.
Il decidente è pervenuto a tale conclusione per due ordini di ragioni:
- la prima è la presenza della clausola di salvezza "salvo che il fatto non costituisca più grave reato", nel

disposto normativo in questione, che renderebbe la fattispecie di reato di cui all'art. 513 C.P. assorbita dai

reati più gravi contestati (art. 110 C.P., art. 615-ter, co. 1 e 2, n. 1 ultima ipotesi; art. 167, co. 1, D.L.vo n°

196/2003; art. 646, co. 1, C.P.) per i quali è stato pronunciato il Decreto che dispone il giudizio;
- la seconda ragione è la mancanza di dolo specifico, necessario per configurare la fattispecie di reato di

turbativa della libertà della industria o del commercio.
Propongono autonomi Ricorsi per Cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino ed il

Procuratore Generale sede, con gli stessi motivi:
- gli articoli di legge nei quali risulterebbe assorbito il reato di cui all'art. 513 C.P. tutelano interessi del

tutto differenti rispetto alla norma in questione, per cui è pienamente configurabile un concorso formale di norme;
- ha errato il Giudice nell'escludere la sussistenza del dolo specifico, richiesto per la configurazione del reato

di cui all'art. 513 C.P., in quanto la volontà di turbare il mercato e il commercio della società "(omissis) e c.

s.a.s." da parte dei tre imputati è provata dalla stessa condanna per gli altri reati inflitta al G.M. e al S.C. e

dal Decreto che dispone il giudizio nei confronti del M.S. per i reati di cui agli artt. 615-ter e 646 C.P. e

D.L.vo n° 196/2003, art. 167.
La difesa del prevenuto ha inoltrato in atti Memoria nella quale evidenzia la correttezza del decisum e rileva che

i Ricorsi avanzati si rivelano privi di fondamento, in quanto il decidente, con motivazione chiara e convincente ha

ritenuto che nel complesso capo di imputazione, elevato nei confronti del M.S., il capo E) non avesse alcuna

autonomia in concreto, in quanto la condotta in detto capo contestata era la medesima di quella di cui ai capi

precedenti (sotto la forma di più gravi reati) per i quali l'imputato è già stato rinviato a giudizio.

RILEVATO
In diritto
I Ricorsi si palesano fondati e meritano accoglimento.
Le censure evidenziano che sia l'art. 615 C.P., come l'art. 646 C.P., tutelano beni giuridici diversi da quelli per

cui risulta apprestato l'art. 513 C.P.:
il primo tutela la privacy e, soprattutto, la inviolabilità del domicilio informatico di una persona e la

riservatezza dei dati personali;
l'art. 646 c.p. è posto a salvaguardia del diritto di proprietà, che verrebbe violato dal possessore di cosa

altrui.
I ricorrenti, di poi, rilevano che elemento essenziale per la sussistenza del delitto ex art. 513 C.P. è l'uso di

mezzi fraudolenti tesi all'impedimento o alla turbativa dell'esercizio di un industria o di un commercio;
occorre perciò un nesso teleologico tra i mezzi fraudolenti e la turbativa suddetta e la norma è diretta a

garantire il diritto individuale al libero svolgimento della attività industriale o commerciale.
La previsione normativa di cui all'art. 513 C.P., pertanto, diversamente dalle precedenti norme citate, è posta a

salvaguardia dell'ordine economico di un soggetto che svolge attività imprenditoriale, cioè il diritto individuale

al libero svolgimento delle attività industriali e commerciali.
La condotta, richiesta per la concretizzazione di tale fattispecie consiste nel fare uso di violenza sulle cose o

di mezzi fraudolenti per impedire o turbare l'esercizio di una industria o di un commercio.
Ne consegue che, come osservato nei ricorsi, è pienamente configurabile un concorso formale di norme, in quanto

trattasi di reati, con nettezza, oggettivamente diversi, e non, come ritenuto dal Giudice per la udienza

preliminare che ha affermato l'esclusione di detto concorso, col considerare che l'uso dei mezzi fraudolenti, volti

ad assicurare all'agente un profitto, concretizzi solo una ipotesi di concorrenza sleale, ex art. 2598, co. 3.,

C.C.
Peraltro, come rilevato nei motivi d'impugnazione, appare fondato il rilievo sulla sussistenza del dolo specifico

in capo al prevenuto, con richiamo agli stessi atti posti in essere dai coimputati del M.S., già condannati per gli

altri reati, visto che costoro hanno svolto, in maniera preordinata, una attività finalizzata a bloccare, turbare

e, in ogni caso, pregiudicare l'attività commerciale della "(omissis) e c. s.a.s." a favore del M.S., ben

consapevole quest'ultimo che i risultati dell'attività di S.C. e G.M. avrebbe arrecato danno alla società

concorrente e determinato, contestualmente, un evidente utile per sè.
In dipendenza di quanto osservato questo Collegio ritiene che la sentenza impugnata debba essere annullata con

rinvio, affinché il giudice ad quem proceda, facendo buon governo dei principi richiamati.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione annulla la Sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Torino.
Così deciso in Roma, il 22.06.2010.
Depositato in Cancelleria il 05.10.2010

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