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PRIVACY - Vanity Fair, «Ho spiato il cellulare di mia figlia, e lei mi ha beccato».

da vanityfair.it, News / Storie, 27.05.2016, di Monica Coviello

Rosa è riuscita a mettere sotto controllo l'account WhatsApp della figlia e a entrare nel suo profilo Facebook, ma è stata scoperta: «Quello che ho fatto è ingiusto». Ma è anche illegale, come ci spiega l'Avvocato

(da vanityfair.it, News / Storie, 27.05.2016, di Monica Coviello)

«Ero riuscita a tenere sotto controllo tutti i messaggi che mia figlia Amanda, 15 anni, scambiava su WhatsApp. “Rubandole” il telefono per qualche minuto, mentre faceva la doccia, sul mio computer avevo attivato WhatsApp Web. Non avevo avuto modo di accedere a Facebook, fino a quando non è entrata nel suo profilo dal mio computer: le credenziali sono state salvate e, fino al cambio password, ho potuto controllare che non ricevesse messaggi inopportuni». Rosa è una madre, come tante, che ha bisogno di controllare la figlia per sentirsi tranquilla e per sapere che Amanda è al sicuro.

Una volta c'erano i diari segreti con lucchetti da aprire, oggi ci sono cellulari, computer, tablet. Quello che non aveva calcolato è che la ragazza, cresciuta nell’era dello smartphone, fosse in grado di accorgersi presto dello «sguardo» indagatore della mamma.  E non aveva messo in conto la legge che parla chiaro: anche se hanno meno di 18 anni, la privacy degli adolescenti deve essere tutelata. Il codice, infatti, vieta ai genitori di spiare il telefono e i social dei figli, a meno che non ci siano gravi motivi (tutti da dimostrare, eventualmente anche davanti al giudice) per farlo. «Avevo intercettato uno scambio di messaggi su WhatsApp non troppo chiaro: un’amica parlava ad Amanda di una festa in un paese vicino, e cercavano insieme strategie per arrivarci senza chiedere un passaggio ai genitori. Salire in auto con l’amico maggiorenne, appena patentato, o andarci in motorino con i compagni di classe. Ho cominciato ad avere il terrore che potesse cacciarsi nei guai, fare un incidente, salire in macchina con persone che potessero farle del male». Rosa si è lasciata scappare una frase con la figlia: «Tu lo sai, vero, che se hai bisogno di un passaggio, lo puoi chiedere a me o a tuo padre, vero?». E Amanda ha mangiato la foglia. Le è bastato controllare le impostazioni di WhatsApp per scoprire che la mamma aveva collegato il computer al suo smartphone. Ed è diventata una furia. «Credo di averla ferita profondamente e di avere compromesso la fiducia che avevo instaurato con lei – spiega Rosa -. D’altra parte, non avevo mai scoperto nessun messaggio allarmante, prima di questo, e forse non avevo il diritto di intrufolarmi tanto nella vita di mia figlia. L’ho fatto per il suo bene. O forse anche per egoismo. Quello che so è che è stato ingiusto». Ingiusto e, appunto, anche illegale. «I genitori hanno l'obbligo della responsabilità genitoriale - spiega l'Avvocato penalista Salvatore Frattallone – ma anche del rispetto della personalità e delle libertà costituzionali riconosciute al minore, anche a livello internazionale: l'articolo 16 della Convenzione di New York del 1989, tutela della sua riservatezza». Lo fa anche la legge italiana: «Se il genitore ascolta le telefonate effettuate o ricevute dal figlio senza una necessità effettiva di controllo, allora commette il delitto – dice Frattallone - di cognizione, interruzione o impedimento illeciti di comunicazioni, punito dall'articolo 617 del codice penale. Per la Corte di Cassazione è plausibile l'interferenza del genitore, ma solo quando c’è un’oggettiva situazione di necessità. Ma il genitore deve poi essere in grado di fornire, se si va in giudizio, la prova delle ragioni che lo hanno spinto a quel tipo di controllo». Vietati anche gli «spyphone» o le app per localizzare i telefoni. «Il diritto alla riservatezza – dice l’Avvocato – non è una questione d'età». 

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