Written by Avv. Salvatore Frattallone. Posted in RESPONSABILITÀ SANITARIA
Ci si chiede se sia possibile, per il genitore che usufruisca del c.d. "congedo parentale", espletare un'attività lavorativa ulteriore e diversa rispetto a quella da cui è legittimamente assente. E, inoltre, se il datore di lavoro possa apprestare dei controlli sulla "bontà" dell'assenza dal lavoro, che è comunque retribuita, ancorché nel minor importo di legge.
La risposta al quesito presuppone l'esame della natura del nuovo istituto. Il congedo parentale è il diritto, spettante sia alla madre che al padre d'un minore, di godere di un periodo di astensione dal lavoro, sino a dieci mesi, da ripartire tra i due genitori e da fruire nei primi dodici anni di vita del bambino, a norma del D.L.vo n° 80/2015 (il c.d.jobs act). La funzione dell’istituto è quella di consentire la presenza del genitore accanto al bambino proprio nei primi anni della sua vita, al fine di soddisfare i suoi "bisogni affettivi" e "relazionali". La normativa di riferimento (il D.L.vo n° 151/2001 e il D.L.vo n° 119/2011) riguarda i genitori che siano lavoratori dipendenti nonché le lavoratrici madri che svolgano lavoro autonome e per un massimo di tre mesi. La legge stabilisce, in particolare, che al lavoratore spetti, durante l'assenza dal posto di lavoro, un trattamento economico pari al 30% della retribuzione fino al sesto anno di età del bambino e per un periodo massimo di sei mesi complessivo tra i due genitori; invece, dal sesto all’ottavo anno del bambino, il 30% della retribuzione spetterà al genitore esclusivamente nel caso in cui il reddito del genitore sia inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione; diversamente, dal sesto al dodicesimo anno di età del figlio, il congedo parentale non sarà retribuito.
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Written by Avv. Salvatore Frattallone. Posted in RESPONSABILITÀ SANITARIA
Il caso è quello della richiesta di rilascio dell'immobile dato in comodato al figlio, ma successivamente assegnato, quale casa familiare, in godimento alla di lui consorte separata, affidataria di prole minore o non autosufficiente convivente. La fattispecie è riconducibile, secondo le SS.UU., all’art. 1809 c.c., anziché al comodato c.d. precario, talché al (genitore) comodante non spetta il rilascio dell'immobile a semplice richiesta ai sensi dell'art. 1810 c.c., se la casa fu concessa al discendente allo scopo di soddisfare le esigenze abitative della famiglia del comodatario, a prescindere dall’eventuale evenienza d’una crisi coniugale della coppia. Le Sezioni Unite della S.C., nel caso in esame, hanno ribadito l’impianto argomentativo risalente a una precedente pronuncia (Sent. n° 13603/2004; conformi Cass. n° 13592/2011 e n° 16769/2012), specificando meglio la casistica. Da un lato, si è precisato che il coniuge separato è gravato dall’onere di provare che la casa familiare era stata data in comodato senza che vi fosse un termine prefissato per l’esercizio del diritto personale di godimento, legittimante la prosecuzione – dopo la separazione – dell'utilizzazione.
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