Penale

PENALE - Riprese fotografiche e videofilmate di edificazione di muro a confine e interferenze illecite nella vita privata.

edificazione di muro a confine

In ordine ai limiti spaziali in cui può consumarsi il delitto d'interferenze illecite nella vita privata, che è reato contro la libertà individuale, va segnalato il nuovo orientamento giurisprudenziale, secondo cui la sussistenza del reato va esclusa nel caso di riprese fotografiche e videofilmate della costruzione di un muro di confine nella contigua proprietà della persona offesa, poiché si tratta di attività agevolmente osservabile, non sottratta alla normale osservazione dall'esterno.
Infatti, se è vero che il privato, che ritenga di poter subire un pregiudizio dall'iniziativa edificatoria del vicino, può rivolgersi all'Autorità competente e anche chiedere la tutela civilistica delle proprie ragioni (dominicali o possessorie) a prescindere dall'eventuale titolo autorizzatorio rilasciato al vicino in sede amministrativa, è anche vero che egli ha il  diritto di documentare, persino con riprese fotografiche o filmate, l'epoca dell'altrui costruzione: l'avverbio "indebitamente" di cui all'art. 615-bis c.p. implica, infatti, la mancanza di un qualche titolo giustificativo che prevalga rispetto al diritto alla riservatezza.
Va viceversa perseguita e punita la condotta del curioso, ovverosia il comportamento ispirato soltanto dalla finalità di effettuare una "gratuita intrusione" nella vita privata altrui. Così come l'utilizzo a espedienti per vincere le eventuali protezioni che l'avente diritto alla riservatezza abbia appositamente frapposto, a schermo della propria intimità.
Il concetto chiave, dunque, è quello della "normale osservazione dall'esterno" di quanto avvenga in luoghi di privata dimora, in condizioni tali da renderlo tendenzialmente non visibile ad estranei.
Sussistendo tali requisiti (normale osservabilità, titolo giustificativo che prevalga rispetto al diritto all'altrui riservatezza, assenza di particolari accorgimenti per superare ostacoli frapposti dall'interessato) bisogna ritenere lecita la ripresa fotografica di quanto si compia in luoghi di privata dimora, talché il titolare del domicilio non potrà vantare alcuna pretesa al rispetto della propria privacy.

Cass. Pen., Sez. V, Sent. 18.04/24.06.2011 n° 25453

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CALABRESE Renato Luigi, Presidente
Dott. BEVERE Antonio, Consigliere
Dott. MARASCA Gennaro, Consigliere
Dott. BRUNO Paolo Antonio, Consigliere
Dott. VESSICHELLI Maria, Consigliere
ha pronunciato la seguente:

Sentenza

sul Ricorso proposto in data 08.04.2010 dall'Avv. R. Monfellotto, difensore di R.P., nato a (omissis), e di R.A., nata a (omissis);
avverso la Sentenza della Corte di Appello di Roma del 12.01.2010;
Sentita la relazione del Consigliere Dott. Paolo Antonio Bruno;
Sentite le conclusioni del P.G. in sede, in persona del Sostituto Dott. Vincenzo Geraci, che ha chiesto l'annullamento con rinvio della Sentenza impugnata;
Sentito, altresì, l'Avv. E. De Magistris, difensore della parte civile, che ha chiesto la conferma della Sentenza impugnata;
Sentito, infine, l'Avv. R. Monfellotto, che ha chiesto l'accoglimento del Ricorso, associandosi alla richiesta del P.G.

Svolgimento del processo
Con la Sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Roma confermava la Sentenza del 22.11.2007, con la quale il Tribunale di Cassino aveva dichiarato R.P. e R.A. colpevoli dei reati di cui all'art. 660 c.p. perchè, con più azioni consecutive di un disegno criminoso, filmando e fotografando l'attività che si svolgeva sulla proprietà di M. e P., per petulanza e comunque per altro biasimevole motivo, recavano a C.E. molestia e disturbo (sub a); ed artt. 110 e 615-bis c.p. perché, in concorso tra loro, mediante l'uso di una telecamera e di una macchinetta fotografica, si procurava indebitamente immagini attinenti alla vita privata di M.M. e dei componenti della sua famiglia, effettuando riprese visive nell'abitazione di loro proprietà e nelle adiacenze della stessa (sub b) e, per l'effetto, assorbita per R.A. nel delitto sub b) la contravvenzione a lei contestata sub a), li aveva condannati - con la concessione delle attenuanti generiche - alla pena di mesi quattro di reclusione ciascuno, con i benefici di legge, nonché al risarcimento dei danni in favore delle persone offese M. e P., costituitesi parte civile, da liquidarsi in separata sede.
Avverso la Sentenza anzidetta il difensore ha proposto Ricorso per Cassazione, affidato alle ragioni di censura indicate in parte motivo.

Motivi della decisione

1. - Il primo motivo d'impugnazione deduce errata e falsa applicazione dell'art. 615-bis c.p. in relazione all'art. 606, lett. b), c.p.p. con riferimento alla ritenuta sussistenza del reato in contestazione, tenuto conto che le riprese erano state effettuate per l'esigenza di documentare un illecito civile commesso in danno degli imputati.
Il secondo motivo lamenta omesso esame dell'istanza di applicazione dell'art. 51 c.p., in relazione all'art. 606, lett. e), c.p.p.
Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di legge, illogicità della motivazione, ai sensi dell'art. 606, lett. b) ed e), c.p.p. con riferimento al preteso ruolo di istigatore attribuito a R.P.
Il quarto motivo deduce, ai sensi dell'art. 192 c.p.p., erronea valutazione delle risultanze processuali; illogicità manifesta;comesso esame delle deduzioni difensive espresse nell'atto di gravame.
Il quinto motivo si duole dell'omesso esame dell'eccezione difensiva relativa alla mancanza del "corpus" e della prova del reato contestato, mancando in atti le riprese in contestazione, ai sensi dell'art. 606, lett. b) ed e), c.p.p.
Il sesto motivo lamenta che siano state confermate le statuizioni civili.
2. - Nella griglia delle censure dedotte rilievo pregiudiziale - per evidenti ragioni di ordine logico-giuridico - assume la doglianza relativa alla sussistenza del reato di cui all'art. 615-bis c.p.
3. - All'esame della "quesito iris" giova, certamente, una sintetica puntualizzazione della fattispecie, in rapporto alla quale deve essere verificata la ritenuta sussumibilità nel paradigma della norma sostanziale anzidetta.
Orbene, risulta accertato in atti che R.A., su sollecitazione del padre P., effettuò riprese fotografiche e videofilmate dell'attività edificatoria in corso nella contigua proprietà della persona offesa, consistente nella realizzazione di un muretto di confine. Secondo la formulazione del capo d'imputazione, siffatta condotta integrerebbe gli estremi del reato di interferenze illecite nella vita privata, di cui all'art. 615-bis c.p., in quanto avrebbe captato immagini della vita privata altrui, nella specie esteriorizzatasi attraverso l'anzidetta iniziativa edificatoria.
4. - Se così è, balza evidente l'insussistenza del fatto-reato in contestazione.
E invero, la perspicua formulazione della norma sostanziale, racchiusa nel com. 1 dell'articolo anzidetto, descrive la condotta di chiunque, mediante l'uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell'art. 614 c.p.
La parola chiave nel tessuto lessicale della previsione normativa è certamente l'avverbio "indebitamente", la cui valenza semantica fa evidente richiamo alla mancanza di un titolo giustificativo potiore rispetto al diritto alla riservatezza che la norma è volta, chiaramente, a tutelare. Ossia, in un astratto bilanciamento di interessi, il legislatore ha inteso privilegiare la privacy a condizione, però, che l'attività di intrusione mediante riprese fotografiche o filmate sia, di per sé, indebita.
Il connotato di indebito implica mancanza di qualsivoglia ragione giustificativa della condotta dell'agente, che, di conseguenza, sia da ritenere ispirata dalla sola finalità di gratuita intrusione nella vita privata altrui; e implica, altresì, mancanza di espedienti di sorta per superare eventuali protezioni che l'avente diritto alla riservatezza abbia, all'uopo, appositamente frapposto, a schermo della propria intimità.
Proprio in quest'ultima prospettiva, questa Corte regolatrice ha statuito che la ripresa fotografica da parte di terzi lede la riservatezza della vita privata e integra il reato di cui all'art. 615-bis c.p., sempre che vengano ripresi comportamenti sottratti alla normale osservazione dall'esterno, essendo la tutela del domicilio limitata a ciò che si compie in luoghi di privata dimora in condizioni tali da renderlo tendenzialmente non visibile ad estranei.
Ne consegue che se l'azione, pur svolgendosi in luoghi di privata dimora, può essere liberamente osservata senza ricorrere a particolari accorgimenti, il titolare del domicilio non può vantare alcuna pretesa al rispetto della riservatezza. (Fattispecie relativa ad una ripresa fotografica dalla strada pubblica di due persone che uscivano di casa e si trovavano in un cortile visibile dall'esterno) (cfr. Cass. sez. 6, 1 ottobre 2008, n. 40577, rv. 241213). La logica della statuizione in parola fa perno sul concetto di agevole osservabilità dall'esterno di quanto si compia in uno degli spazi protetti dall'art. 614 c.p. sull'evidente presupposto, a contrario, che colui che, pur trovandosi in uno di quei luoghi, si esponga, per libera scelta, all'osservazione altrui non può, per ciò solo, invocare la particolare tutela dell'art. 615 bis.
Orbene, la struttura del fatto, come descritta dai giudici di merito, non escludeva certamente l'anzidetta condizione dell'agevole osservabilità.
Sennonché, la fattispecie in esame presentava un altro profilo, che valeva ad escludere il carattere abusivo dell'attività di interferenza, consentendo di individuare un ulteriore connotato utile alla compiuta definizione della nozione di indebito, nell'accezione recepita dal legislatore.
In ultima analisi, non sembra, infatti, revocabile in dubbio che la tutela apprestata dal legislatore postuli la liceità dell'attività svolta in ambito privato, potendo, diversamente, l'intrusione nell'altrui privacy ritenersi comunque contestata, tanto più in presenza di un diritto, il cui esercizio si intenda garantire o la cui violazione si voglia accertare o prevenire.
Ed invero, anche ad ammettere, sia pure con innegabile forzatura linguistica, che l'attività di costruzione di un muro di confine costituisca, davvero, fatto afferente all'imperscrutabile vita privata altrui, la realizzazione del manufatto in prossimità di un confine prediale postula il rispetto delle prescrizioni civilistiche.
Vero è che il privato, che ritenga di poter subire un pregiudizio dall'iniziativa del vicino ha la possibilità di adire l'Autorità competente, ma è pur vero che l'intervento della forza pubblica può rivelarsi, ove davvero possibile, del tutto vano, qualora quell'attività sia legittima sul piano amministrativo (per il possesso di titolo autorizzazione), e nondimeno illecita sul versante civilistica, per l'inosservanza delle anzidette prescrizioni. Nel qual caso, al privato resterebbe solo l'esperimento delle azioni civili previste a tutela della proprietà ed anche del possesso, ma pure in siffatta prospettiva avrebbe innegabile diritto a documentare, con ogni mezzo (non esclusa appunto la ripresa fotografica o filmata), l'epoca dell'altrui costruzione, essendo, peraltro, risaputo che, ai fini dell'ordinaria azione di nunciazione (denuncia di nuova opera) di cui all'art. 1170 c.c., è necessario il rispetto del termine di un anno dall'inizio della nuova opera.
5. - L'insussistenza del reato di cui all'art. 615-bis c.p. va venir meno, come è ovvio, anche il reato di cui all'art. 660 c.p., posto che, nella formulazione dell'addebito, le molestie sono state configurate solo mediante l'attività di ripresa fotografica e filmata per petulanza e comunque per altro biasimevole motivo, che, per quanto si è detto, non è ipotizzabile nel caso di specie e non è neppure, diversamente, ipotizzato.
6. - Per quanto precede, la Sentenza impugnata deve essere annullata, con la formula espressa in dispositivo.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

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