Penale

PENALE - Sentenza, risarcimento danni alla parte civile e debenza d'interessi e rivalutazione.

interessi e svalutazione monetaria

Gli interessi legali e la rivalutazione monetaria sulla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno, dal Giudice Penale con la Sentenza definitiva, sono dovuti alla Parte Civile soltanto dalla pronuncia e non dalla data in cui si è verificato il fatto illecito costituente la fonte della responsabilità aquiliana.
La Suprema Corte di Cassazione, con la Sentenza qui di seguito riportata, ha confermato l'orientamento secondo il quale "le obbligazioni di valore si trasformano in obbligazioni di valuta a seguito del passaggio in giudicato della Sentenza che decide sulla loro liquidazione, con la conseguenza che

da tale momento esse restano assoggettate alla disciplina dettata dall'art. 1224 C.C. per le obbligazioni di valuta e quindi danno diritto agli interessi corrispettivi con decorrenza dalla liquidazione (e non dalla data in cui è intervenuto il fatto generatore del debito) nonchè al risarcimento del danno per la mancata tempestiva disponibilità della somma di denaro qualora, anche con presunzioni semplici, ne sia fornita la prova".
Pertanto - in forza dell'orientamento giurisprudenziale ormai costante - qualora la pronuncia del giudice penale non contenga alcun riferimento agli interessi e alla rivalutazione, questi non potranno formare oggetto di una nuova domanda da proporre avanti al giudice civile, con la quale si chieda che si proceda alla liquidazionia anche di queste due voci di "danno, a far data dal momento generatore della responsabilità da reato, ovverosia dal giorno dell'illecito extracontrattuale avente rilevanza penale.
Viceversa, sarà comunque possibile chiedere sia gli interessi sia la rivalutazione delle somme liquidate dal giudice penale, a partire dal giorno della decisione e sino al saldo effettivo.

Cass. Civ., Sez. III, Sent. 28.01/08.03.05, n° 5008

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NICASTRO Gaetano, Presidente
Dott. SABATINI Francesco, Consigliere
Dott. MAZZA Fabio, Consigliere
Dott. TRIFONE Francesco, Rel. Consigliere
Dott. CALABRESE Donato, Consigliere
ha pronunciato la seguente:

Sentenza

sul 1° Ricorso proposto da:
(omissis), elettivamente domiciliato in Roma (omissis) presso lo studio dell'Avvocato (omissis), difeso dall'Avvocato (omissis), giusta delega in atti, ricorrente;
contro
Regione (omissis), in persona del Presidente della Giunta (omissis), elettivamente domiciliata in Roma (omissis), presso lo Studio dell'Avvocato (omissis), difesa dall'Avvocato (omissis), giusta delega in atti, controricorrente;
e sul 2° Ricorso n° 30603/01 proposto da:
(omissis), elettivamente domiciliato in Roma (omissis), presso lo studio dell'Avvocato (omissis), difeso dall'Avvocato (omissis), giusta delega in atti, ricorrente;
e contro
Regione (omissis), in persona del Presidente della Giunta (omissis), elettivamente domiciliata in Roma (omissis), presso lo studio dell'Avvocato (omissis), difesa dall'Avvocato (omissis), giusta delega in atti, controricorrente al ricorso incidentale;
avverso la Sentenza n° 2393/00 della Corte d'Appello di (omissis), I Sezione Civile, emessa il 05.10.00, depositata il 18.10.00; RG. 2456/97 e 2704/97. udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28.01.05 dal Consigliere Dott. Francesco Trifone;
udito l'Avvocato (omissis) (per delega dell'Avvocato omissis);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Rosario Russo che ha concluso per previa riunione dei Ricorsi, accoglimento p.q.r. di entrambi.

Svolgimento del processo

Con rituale citazione innanzi al Tribunale di (omissis), notificata nel novembre 1988, la Regione (omissis) conveniva in giudizio (omissis) per ottenerne la condanna in solido al pagamento della complessiva somma di lire 2.049.501.000.
Esponeva che i convenuti erano stati condannati, in Sentenza penale definitiva, a risarcire i danni, liquidati in lire 252.500.000, ad essa Regione, costituita parte civile nel procedimento a loro carico, imputati di indebita riscossione di contributi per la gestione di corsi di istruzione professionale in realtà non tenuti.
Reclamava dagli stessi, in aggiunta alla predetta somma, l'ulteriore risarcimento per l'intervenuta svalutazione monetaria, che non era stata riconosciuta nella sede penale, nonchè gli interessi legali sulle somme rivalutate con decorrenza dalla data degli illeciti.
I convenuti (omissis) contrastavano la domanda, che l'adito Tribunale in parte accoglieva, condannando i convenuti a pagare la somme di lire 260.132.671, oltre gli interessi legali dalla data della pronuncia al saldo.
Il Tribunale considerava che il giudicato formatosi a seguito della decisione sulla domanda civile proposta nel processo penale copriva ogni pretesa accessoria della Regione, cui nulla poteva essere riconosciuto in aggiunta a quanto liquidato sino al momento della pronuncia.
Rilevava, comunque, che, dopo che l'obbligazione di valore si era convertita in obbligazione di valuta, la somma liquidata era divenuta, a sua volta, produttiva degli interessi e del maggior danno da inadempimento, ai sensi dell'art. 1224 C.C., co. 2, C.C., per cui la domanda poteva essere accolta in rapporto al maggior danno prodottosi dal 19.12.80 in poi, in termini di differenza tra svalutazione monetaria (intervenuta da quel momento a quello della decisione) ed interessi legali nel medesimo periodo.
La Sentenza era impugnata da (omissis) e la Corte d'appello di (omissis)i, con Sentenza pubblicata il 18.10.00, rigettava entrambe le impugnazioni.
I giudici d'appello consideravano che non sussisteva per la Sentenza di primo grado il vizio di ultrapetizione, poichè il Tribunale aveva accolto la domanda, proposta dalla Regione, relativa all'attribuzione degli interessi e del maggior danno sull'importo di lire 253.500.000 per il periodo successivo alla liquidazione di esso.
Rilevavano che non era stato violato neppure il giudicato sull'entità del danno, quale formatosi a seguito della Sentenza che in sede penale lo aveva liquidato alla parte civile, poichè la somma riconosciuta a detto titolo alla Regione, se doveva ritenersi comprensiva degli interessi e della svalutazione maturati sino al momento di detta pronuncia, non poteva escludere gli interessi e la svalutazione per le vicende ed il periodo successivi, per cui non era censurabile la decisione del Tribunale che si era pronunciato su una ragione di credito distinta e successiva rispetto a quella considerata nel giudizio penale.
Ritenevano, infine, infondate le eccezioni di prescrizione, in proposito osservando che la prescrizione decennale dell'actio iudicati era cominciata a decorrere dal 15.02.85 ed era stata interrotta dalla domanda giudiziale notificata nel novembre 1988, con effetto sospensivo sino al momento in cui la Sentenza di primo grado aveva rigettato la domanda che tendeva ad una inammissibile duplicazione del titolo giudiziale del credito derivante dal giudicato formatosi nella sede penale.
Precisavano che anche per gli interessi il termine di prescrizione era quello decennale e non quello quinquennale, non trovando applicazione nella specie la norma di cui art. 2948, n° 4, C.C.
Per la cassazione della Sentenza hanno proposto distinti Ricorsi (omissis), i quali hanno affidato l'impugnazione, rispettivamente, a tre ed a due motivi, articolati in diversi profili.
Ad entrambi i Ricorsi resiste con controricorso la Regione (omissis).

Motivi della decisione

I Ricorsi, impugnazioni distinte della medesima Sentenza, sono riuniti (art. 335 C.P.P.).
Con il primo motivo dell'impugnazione - deducendo la violazione delle norme di cui agli artt. 99 e 112 C.P.C. nonchè l'omessa motivazione sul punto - (omissis) denuncia che il giudice del merito non avrebbe potuto accogliere la domanda della Regione in ordine alla rivalutazione del credito in quanto detta istanza non era stata avanzata dalla parte civile nel giudizio penale e, pertanto, sul punto si sarebbe formato il giudicato.
Con il secondo motivo dell'impugnazione - deducendo la violazione del principio ne bis in idem e della norma di cui all'art. 1224 C.C., nonchè l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto lo stesso (omissis) assume che la Sentenza di secondo grado sarebbe incorsa in errore nel ritenere che la somma di lire 253.500.000, riconosciuta alla Regione quale parte civile, fosse comprensiva anche di interessi e rivalutazione, sicchè, non avendo il giudicato in sede penale attribuito alcunchè a titolo di interessi e rivalutazione, la relativa istanza non poteva formare oggetto di successiva domanda nè si giustificava come richiesta del danno futuro, che non sussisteva e non era stato reclamato.
Aggiunge che, comunque, la Regione non avrebbe offerto alcuna prova del maggior danno reclamato ai sensi art. 1224 C.C., onde anche per tale ragione la domanda non poteva essere accolta.
Con il primo motivo dell'impugnazione - deducendo l'illogicità e la contraddittorietà dell'impugnata Sentenza in ordine alla riconosciuta rivalutazione del credito della Regione nonchè la violazione della disciplina del giudicato - (omissis) critica l'impugnata Sentenza perchè sarebbe stata accolta una domanda mai proposta; perchè il debito di valuta, nel quale si converte il debito di valore per danni dopo che ne è avvenuta la liquidazione, non sarebbe suscettibile ex se di ulteriore rivalutazione; perchè il giudice del merito aveva pronunciato sulla domanda diretta ad ottenere il danno da ulteriore svalutazione del credito, danno del quale non sarebbe stata fornita la prova.
Con il secondo motivo dell'impugnazione - deducendo l'insufficiente e contraddittoria motivazione nonchè l'error in procedendo - (omissis) censura la decisione di secondo grado perchè la Corte (omissis) avrebbe omesso di rilevare che la Regione non aveva fornito la dimostrazione del maggior danno e perchè, avendo affermato che la costituzione in mora era avvenuta con la citazione, aveva invece fatto decorrere la liquidazione del maggior danno dal momento anteriore del passaggio in giudicato della sentenza penale.
Con il terzo mezzo di doglianza - deducendo la violazione della norma di cui all'art. 112 C.P.C. e l'error in procedendo - (omissis) denuncia che la Corte territoriale avrebbe omesso di pronunciarsi sull'espresso suo mezzo di gravame con il quale si censurava la Sentenza di primo grado in ordine al riconoscimento della sussistenza del danno derivato alla Regione dalla mancata disponibilità della somma liquidata dal giudice penale.
La censura circa il preteso vizio di ultrapetizione, oggetto specifico di uno dei profili di doglianza prospettato da (omissis) con il primo motivo d'impugnazione, non può essere accolta.
Premesso, infatti, che nell'esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, il giudice di merito non è condizionato dalla formula adottata dalla parte, ma deve tener conto del contenuto sostanziale della pretesa come desumibile dalla situazione dedotta in giudizio e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del medesimo, nonchè del provvedimento in concreto richiesto (Cass., Sez. Un., n° 27/2000) e che il principio secondo cui l'interpretazione della domanda dà luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice del merito, non trova applicazione quando si assuma che tale interpretazione abbia determinato un vizio riconducibile nell'ambito dell'error in procedendo, nel qual caso la Corte di Cassazione, giudice del fatto, ha il potere-dovere di procedere direttamente all'esame ed all'interpretazione degli atti processuali, tenendo conto della situazione dedotta in causa, della volontà effettiva della parte e delle finalità perseguite (ex plurimis: Cass., n° 1097/2003), osserva questa Corte che con l'atto introduttivo del giudizio di primo grado la Regione aveva agito per ottenere, in aggiunta all'importo liquidatole come parte civile nel processo penale, l'ulteriore risarcimento per l'intervenuta svalutazione monetaria, che non era stata riconosciuta nella sede penale, nonchè gli interessi legali sulle somme rivalutate con decorrenza dalla data degli illeciti.
La Regione aveva in citazione esposto il computo analitico delle somme reclamate ed aveva reclamato non solo la svalutazione e gli interessi maturati sino alla definizione del giudizio penale, ma anche gli interessi ed il maggior danno da svalutazione sull'importo liquidatole come parte civile nel giudizio penale nel periodo successivo alla liquidazione medesima.
Il Tribunale, che pure ha negato di potere attribuire somme in aggiunta a quella riconosciuta dal giudice penale a titolo di interessi e svalutazione riferiti al periodo antecedente al giudicato formatosi nel giudizio penale a favore della parte civile, ha preso in considerazione proprio la domanda relativa agli interessi ed al maggior danno successivi al predetto giudicato penale, accogliendo in tal modo la indicata pretesa della Regione, quale desumibile in modo inequivoco dalla situazione dedotta in giudizio, sicchè il giudice di primo grado non è incorso nel vizio di ultrapetizione.
Si assume, tuttavia, da parte dei ricorrenti (con censura comune ad entrambi, formulata nel primo motivo del ricorso di (omissis) e nel primo e nel secondo motivo del ricorso di (omissis), onde i relativi profili dei suddetti motivi vanno esaminati congiuntamente) che la domanda, diretta ad ottenere gli interessi ed il maggior danno da svalutazione per il periodo successivo alla pronuncia del giudice penale, sarebbe preclusa dal giudicato formatosi con la Sentenza di riconoscimento dell'importo di lire 252.500.000.
La censura non può essere accolta.
E' pacifico nella giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis: Cass., n° 5908/98; Cass., n° 6356/96; Cass., n 8465/94) il principio a mente del quale le obbligazioni di valore si trasformano in obbligazioni di valuta a seguito del passaggio in giudicato della Sentenza che decide sulla loro liquidazione, con la conseguenza che da tale momento esse restano assoggettate alla disciplina dettata dall'art. 1224 C.C. C.C. per le obbligazioni di valuta e danno diritto agli interessi corrispettivi con decorrenza dalla liquidazione (e non dalla data in cui è intervenuto il fatto generatore del debito) nonchè al risarcimento del danno per la mancata tempestiva disponibilità della somma di denaro qualora, anche con presunzioni semplici, ne sia fornita la prova.
Della suddetta regola di diritto il giudice del merito ha fatto esatta applicazione, precisando che la pronuncia definitiva di condanna a favore della parte civile, preclusiva degli interessi e del maggior danno da svalutazione monetaria non richiesti per il periodo sino alla pubblicazione della Sentenza medesima, non impediva che il credito di valuta, nel quale la liquidazione aveva operato la trasformazione del credito di valore, producesse gli effetti di cui alla norma dell'art. 1224 C.C. nel periodo successivo alla liquidazione.
Si denuncia, tuttavia, da parte dei ricorrenti (secondo doglianza comune ad entrambi, prospettata da (omissis) con il primo motivo del ricorso e da (omissis) con il secondo motivo dell'impugnazione) che il giudice del merito avrebbe riconosciuto a favore della Regione l'ulteriore maggior danno, di cui all'art. 1224 C.C., co. 2, C.C., senza che da parte dell'ente pubblico territoriale di esso fosse stata data la prova.
(omissis), inoltre, con il terzo motivo deduce anche che il giudice di secondo grado aveva omesso la pronuncia sul suo motivo di appello, con cui si censurava per vizio di motivazione la decisione del giudice di primo grado in ordine al riconoscimento della sussistenza del maggior danno derivato alla Regione dalla mancata disponibilità della somma liquidata dal giudice penale.
Anche dette censure non possono essere accolte.
La prima, comune ai ricorrenti e relativa al preteso difetto di prova del maggior danno ex art. 1224 C.C., co. 2, C.C., costituisce motivo nuovo, che non risulta che gli stessi abbiano ritualmente devoluto già con l'appello, ed è, perciò, inammissibile in questa sede.
Invero, nell'atto di appello (omissis), in ordine ai riconosciuti danni ulteriori da svalutazione monetaria, aveva dedotto che la domanda era preclusa per effetto del giudicato formatosi in sede penale e che il credito reclamato doveva ritenersi prescritto, ma nessun rilievo aveva mosso alla Sentenza di primo grado circa la mancata prova del relativo pregiudizio derivatone alla Regione.
(omissis), a sua volta, con l'appello aveva criticato la Sentenza di primo grado relativamente al riconosciuto maggior danno alla Regione assumendo, anzitutto, che per detta pronuncia "oltre ad evidenziarsi un'evidente carenza di motivazione" vi sarebbe stata la preclusione derivante dal pregresso giudicato formatosi a seguito del procedimento penale.
A fronte della motivazione di primo grado, che aveva ritenuto provato il maggior danno in termini di differenza tra la svalutazione monetaria e gli interessi maturati nel periodo preso in esame, la censura formulata di "evidente carenza di motivazione" era del tutto generica, in quanto non indicava le ragioni concrete per cui si richiedeva il riesame, con un supporto argomentativo idoneo a contrastare la motivazione della Sentenza impugnata, contrapponendo alle argomentazioni ivi svolte quelle dell'appellante, dirette a contestare l'adottata ratio decidendi.
L'inammissibilità del motivo per mancata sua specificità esonerava il giudice d'appello dall'indicare le ragioni della conferma della decisione sul punto, per cui non è fondata neppure la censura di omessa pronuncia.
Infine, per quel che concerne le doglianze di (omissis) circa la decorrenza del maggior danno da un momento anteriore alla Sentenza penale (in base al profilo del secondo motivo del ricorso, in cui prospetta l'ipotesi della contraddittorietà della decisione per il fatto che, pur avendo fissato la costituzione in mora nel momento della notificazione della citazione, il giudice del merito aveva poi fatto decorrere la liquidazione del maggior danno dal momento ad essa anteriore), osserva questa Corte che trattasi di censura non proposta già con l'appello e, quindi, anch'essa inammissibile.
Infatti sul punto anche la Sentenza di secondo grado - pur rilevando, proprio per la ragione che il ricorrente ha assunto a base della sua censura in questa sede, che il Tribunale "era caduto in errore nella fase di liquidazione del maggior danno" da svalutazione monetaria - aveva significato che l'errore non poteva essere eliminato con pronuncia officiosa, non essendo stato denunciato con specifico mezzo di gravame.
I Ricorsi, pertanto, sono rigettati ed i soccombenti ricorrenti sono condannati in solido alla rifusione a favore della Regione delle spese del presente giudizio di Cassazione, determinate nella misura di cui in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i Ricorsi e li rigetta. Condanna i ricorrenti in solido al rimborso delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi € 4.100 (quattromilacento), di cui € 4.000 (quattromila) per onorari, oltre spese generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 28.01.05.
Depositato in Cancelleria il 08.03.05

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