Penale

PENALE - Internet, giornale telematico e presunzione di astratta leggibilità dell'articolo diffamatorio.

giornale telematico
La Corte d'Appello di Palermo, nel giugno 2012, è tornata sullo spinoso tema della responsabilità penale per la pubblicazione d'un giornale telematico.
Come stabilito, ancora nel 2008, dalla Cassazione, «ai fini dell'integrazione del delitto di diffamazione, si deve presumere la sussistenza del requisito della comunicazione con più persone qualora il messaggio diffamatorio sia inserito in un sito internet per sua natura destinato ad essere normalmente visitato in tempi assai ravvicinati da un numero indeterminato di soggetti, quale è il caso del giornale telematico, analogamente a quanto si presume nel caso di un tradizionale giornale a stampa, a nulla rilevando l'astratta e teorica possibilità che esso non sia acquistato e letto da alcuno» (la S.C., nella fattispecie,  annullò in parte e senza rinvio la Sentenza resa il 08.01.2007 dalla Corte d'Appello di Bari: Cass. Pen., Sez. V Sent., 04.04.2008, n° 16262, rv. 239832).

Ritenne infatti la Corte, nell'esercizio della funzione nomofilattica attribuitale dall'Ordinamento, che per le espressioni diffamatorie inserite in un sito internet il requisito della comunicazione con più persone si presume, per il solo fatto della pubblicazione on-line.
Nel contempo, in caso di articolo non firmato, gestito dal direttore del periodico on-line, quest'ultimo non risponde del reato di omesso controllo, quanto piuttosto del delitto di cui all'art. 595 C.P. (cfr. Cass. Pen., Sez. V, 19.01/21.04.2011, n° 16073), poiché  «quanto alla doglianza sulla mancata qualificazione del fatto, ex art. 57 C.P., va rilevato che dottrina e giurisprudenza concordemente ritengono l'inapplicabilità di questa ipotesi di reato - prevista in ordine a fatti di diffamazione commessi a mezzo della stampa periodici, in caso di fatto commesso con giornale telematico, per un duplice ordine di motivi: a causa della impossibilità di estendere, sul piano tecnico, il concetto di stampa a questo mezzo di comunicazione e a causa dell'impossibilità di effettuare, sul piano giuridico, un' interpretazione analogica, stante il divieto dell'analogia in malampartem» (Cass. Pen., Sez. V, 16.07.2010 n° 35511). 
Inoltre - quanto alla responsabilità penale del direttore del giornale telematico - si è acclarato che questi risponde a titolo di concorso (doloso) nel delitto di diffamazione (e non già ex art. 77 C.P.), laddove sia d'accordo con l'autore della lettera o dell'articolo giornalistico lesivi dell'altrui reputazione, e a maggior ragione se lo scritto risulti anonimo» (così Cass. Pen., Sez. V, 16.07.2010, n° 35511).

Per altro verso, s'è di recente statuito che «un messaggio diffuso attraverso la rete telematica non è assimilabile ad una comunicazione effettuata tramite stampa. Come la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di affermare (rv. 243085), le comunicazioni che hanno luogo tramite "la rete" non rientrano nella nozione di "stampato" (o "di prodotto editoriale", cui è estesa, ai sensi della L. n° 62/2001, art. 1, la disciplina della legge sulla stampa). Invero la L. n° 47/1948, art. 1, definisce "stampe o stampati" le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione. Sul punto va ricordata, in senso conforme, anche la sentenza (non massimata) n° 24018 di questa Sezione, ric. P.C. O. c/L., 15.05/12.06.2008). Per tale ragione, oltretutto, è stato ritenuto (rv. 248507) che l'art. 57 C.P., non sia applicabile al direttore di un giornale telematico, non potendosi, con detto mezzo di comunicazione, commettere reati di stampa» (Cass. Pen., Sez. V, Sent. 27.04/14.06.2012, n° 23624).

Per ciò che attiene alla registrazione della testata telematica, del resto, gli ermellini hanno statuito (Cass. Pen., Sez. II, Sent. 10.05/13.06.2012, n° 23230) - definitivamente decidendo su un noto caso di cronaca giudiziaria (con pronuncia assolutoria in ordine al reato di cui all’art. 16 della legge n° 47/1948) - che «il giornale telematico non rispecchia le due condizioni ritenute essenziali ai fini della sussistenza del prodotto stampa come definito dall’art. 1 L. n° 47/1948 ed ossia: a) un’attività di riproduzione tipografica; b) la destinazione alla pubblicazione del risultato di tale attività. La normativa di cui alla L. 07.03.2001 n° 62 (inerente alla disciplina sull’editoria e sui prodotti editoriali, con modifiche alla L. 05.08.1981 n° 416) ha introdotto la registrazione dei giornali on line soltanto per ragioni amministrative ed esclusivamente ai fini della possibilità di usufruire delle provvidenze economiche previste per l’editoria. Detta disciplina è stata ribadita dalla successiva normativa di cui al D.L.vo 09.04.2003 n° 70, che esplicitamente ha prescritto, con la disposizione di cui all’art. 7, co. 3, che la registrazione della testata editoriale telematica è obbligatoria esclusivamente per le attività per le quali i prestatori di servizio intendono avvalersi delle provvidenze previste dalla L. 07.03.2001 n° 62. L’estensione dell’obbligo di registrazione per il giornale on line – previsto dalla citata L. n° 62/2001, ripetesi, ai soli fini delle provvidenze economiche – anche in riferimento alla norma di cui all’art. 5 L. n° 47/1948, con conseguente applicabilità (in caso di omessa registrazione) della sanzione penale di cui all’art. 16 citata legge sulla stampa, costituisce interpretazione analogica in “malam partem” non consentita ai sensi dell’art. 25, co. 2, Cost. e 14 delle Disposizioni sulla legge generale (vedi sulla materia de qua, Cass. Pen., Sez. III, Sent. 11.12.2008/10.03.2009 n° 10535; id., Sez. V, Sent. 16.07.2010 n° 35511).

Quanto al diverso profilo del locus commissi delicti, infine, è assai interessante la sintesi effettuata sul punto da Cass. Pen., Sez. I, Sent. 21.12.2010/26.01.2011, n° 2739, per la quale, proprio in riferimento ad un articolo diffamatorio stato pubblicato su un giornale telematico: «il reato di diffamazione è un reato di evento, inteso quest'ultimo come avvenimento esterno all'agente e causalmente collegato al comportamento di costui. Si tratta di evento non fisico, ma, per così dire, psicologico, consistente nella percezione da parte del terzo (rectius dei terzi) della espressione offensiva, che si consuma non al momento della diffusione del messaggio offensivo, ma al momento della percezione dello stesso da parte di soggetti che siano "terzi" rispetto all'agente ed alla persona offesa. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare (Cass. Pen., Sez. V, 17.11.2000 n° 4741), l'immissione di scritti lesivi dell'altrui reputazione nel sistema internet integra il reato di diffamazione aggravata (art. 595, co. 3, C.P.P.). Esso si consuma anche se la comunicazione con più persone e/o la percezione da parte di costoro del messaggio non siano contemporanee (alla trasmissione) e contestuali (tra di loro), ben potendo i destinatari trovarsi persino a grande distanza gli uni dagli altri ovvero dall'agente. Ma, mentre, nel caso, di diffamazione commesso, ad esempio, a mezzo posta, telegramma o e-mail, è necessario che l'agente compili e spedisca una serie di messaggi a più destinatari, nel caso in cui egli crei a utilizzi uno spazio web, la comunicazione deve intendersi effettuata potenzialmente erga omnes, sia pure nel ristretto - ma non troppo - ambito di tutti coloro che abbiano gli strumenti, la capacità tecnica e, nel caso di siti a pagamento, la legittimazione, a connettersi (Cass. Pen., Sez. V, 21.06.2006 n° 25875; id., Sez. V, 17.11.2000 n° 4741). Occorre, in proposito, precisare che il provider mette a disposizione dell'utilizzatore (nel caso in esame la testata editoriale o giornalistica) uno spazio web allocato presso un server (che può trovarsi ovunque); peraltro, l'inserimento dei dati in questo spazio non comporta alcuna ulteriore attività da parte del fornitore di servizi internet nè di altro soggetto. Una volta inserite le informazioni, non si verifica alcuna "diffusione" delle stesse; infatti i dati inseriti non partono dal server verso alcuna destinazione, ma rimangono immagazzinati a disposizione dei singoli utenti che vi possono accedere, attingendo dal server e leggendoli al proprio terminale. Ne consegue che, quand'anche esista un preciso luogo di partenza (il server) delle informazioni, lo stesso non coincide con quello di percezione delle espressioni offensive e, quindi, di verificazione dell'evento lesivo, da individuare nel luogo in cui il collegamento viene attivato. Il sito web sul quale viene effettuata l'immissione è, per sua natura, destinato ad essere normalmente visitato da un numero indeterminato di soggetti; pertanto nell'ipotesi (come nella fattispecie sottoposta all'esame della Corte) in cui un giornale sia redatto in forma telematica, deve necessariamente presumersi che all'immissione faccia seguito, in tempi assai ravvicinati, il collegamento da parte di lettori, non diversamente da quanto deve presumersi nel caso di un tradizionale giornale a stampa. Pertanto, quando una notizia risulti immessa sul sito web - da ricomprendere nella nozione di "mezzo di comunicazione di massa" al pari degli strumenti cartacei, radiofonici, televisivi, ecc. - la diffusione della stessa, secondo un criterio che la nozione stessa di pubblicazione impone, deve presumersi, fino a prova del contrario. Il principio non può soffrire eccezione per quanto riguarda i siti web, atteso che l'accesso ad essi è solitamente libero e, in genere, frequente (sia esso di elezione o meramente casuale), sicchè l'immissione di notizie o immagini in rete integra la ipotesi di offerta delle stesse in incertam personam e, dunque, implica la fruibilità da parte di un numero solitamente elevato (ma difficilmente accettabile) di utenti (cfr., in tal senso, Cass. Pen., Sez. V, 04.04.2008, n° 16262). Sulla base di tali premesse può, quindi, riaffermarsi che il locus commissi delicti della diffamazione telematica è da individuare in quello in cui le offese e le denigrazioni sono percepite da più fruitori della rete e, dunque, nel luogo in cui il collegamento viene attivato e ciò anche nel caso in cui il sito web sia stato registrato all'estero, purchè l'offesa sia stata percepita da più fruitori che si trovano in Italia. Sulla base di quanto sinora esposto, è possibile affermare, in armonia con i principi già espressi da questa Corte (Sez. Un. civ., 13.10.2009, n° 21661), che rispetto all'offesa della reputazione altrui realizzata via internet, ai fini dell'individuazione della competenza, sono inutilizzabili, in quanto di difficilissima, se non impossibile individuazione, criteri oggettivi unici, quali, ad esempio, quelli di prima pubblicazione, di immissione della notizia nella rete, di accesso del primo visitatore. Per entrambe le ragioni esposte non è neppure utilizzabile quello del luogo in cui è situato il server (che può trovarsi in qualsiasi parte del mondo), in cui il provider alloca la notizia. Ne consegue che non possono trovare applicazione nè la regola stabilita dall'art. 8 C.P.P., nè quella fissata dall'art. 9, co. 1, C.P.P. Attesa le peculiari modalità di diffusione di notizie lesive dell'altrui reputazione allocate in un sito web, secondo quanto meglio precisato [omissis] non può neppure sostenersi l'automatica trasposizione dei criteri fissati per i reati di diffamazione commessi con il mezzo della stampa impropriamente valorizzando, al riguardo, le indicazioni in ordine al "luogo di stampa" e a quello di "registrazione" della testata giornalistica contenute sul portale "Hkw" di "YWJ S.r.l.". In tale articolato contesto è, quindi, imprescindibile fare ricorso ai criteri suppletivi fissati dal predetto art. 9, comma 2, C.P.P. ossia al luogo di domicilio dell'imputato che, nel caso di specie, è Roma. Per tutte le ragioni sin qui esposte deve, quindi, essere dichiarata la competenza del gup del Tribunale di Roma cui gli atti devono essere trasmessi.».

Che poi, considerato che la Corte territoriale palermitana ha valorizzato la presunzione stabilita dalla Cassazione, si riesca a dimostrare, in concreto, che un certo giornale telematico ha avuto zero accessi, beh... questa è un'altra storia.

Corte d'Appello di Palermo, Sez. III Pen., Sent., 12.06.2012

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte di Appello del distretto di Palermo, III Sezione Penale

Composta dai Signori:
1. Dott. RAIMONDO LOFORTI, Presidente,
2. Dott. DANIELA TROJA, Consigliere
3. Dott. MARIO CONTE, Consigliere Relatore

il 06.06.2012 con l'intervento del P.M., rappresentato dal Sostituto Procuratore Generale della Repubblica, Dott. U. De Giglio, e con l'assistenza del Cancelliere F.D.G., ha emesso e pubblicato la seguente:

SENTENZA

Nel procedimento penale contro: A.A., nato a (omissis), difeso dall'Avv. (omissis);
parte civile costituita F.A., difesa dall'Avv. (omissis).
con Sentenza in data 10.01.2011, il Tribunale di Agrigento, in composizione monocratica, condannava A.A. alla pena (sospesa ai sensi dell'art. 163 c.p.) di mesi quattro di reclusione in ordine al reato di cui all'art. 595, commi 1 e 3, c.p.
La pronuncia di primo grado fondava l'affermazione di responsabilità sull'esito delle risultanze istruttorie, rappresentate dal contenuto delle e-mail inviate dall'odierno imputato A.A. al blog "XYZ.com" in data 08.05.2006.
Proponeva impugnazione la difesa lamentando l'erronea lettura degli elementi di fatto da parte del giudice di primo grado, atteso che lo stesso avrebbe dovuto assolvere l'impugnante, in cui mancherebbe, nel caso in esame, sia l'elemento soggettivo che quello oggettivo del reato, e chiedendo, pertanto, l'assoluzione dell'imputato o, in via subordinata, la riduzione della pena, previa riqualificazione del fatto ai sensi dell'art. 56 c.p.
All'odierna udienza, svolta la relazione e nella contumacia dell'odierno imputato, regolarmente citato e non comparso, le parti concludevano come da separato verbale di causa in atti.

Motivi della decisione

Ritiene la Corte che il gravame sia infondato e non possa, pertanto, essere accolto.
Con il primo motivo d'impugnazione la difesa ha sostenuto la non punibilità dell'odierno imputato per mancanza sia dell'elemento soggettivo che di quello oggettivo del reato.
La responsabilità dell'imputato, ad avviso di questo Collegio, si desume, in modo chiaro, proprio dal contenuto delle e-mail inviate dall'odierno imputato al blog "XYZ.com" in data 08.05.2006. Tali e-mail, invero, per le motivazioni che verranno spiegate di qui a breve, appare dal contenuto assolutamente inequivocabile e sicuramente connotata dal dolo del reato in contestazione.
Va, ad ogni modo, in via preliminare, brevemente tracciato il quadro della giurisprudenza di legittimità sul punto.
Secondo l'orientamento giurisprudenziale ormai pacifico, invero, in tema di diffamazione, il limite della continenza nel diritto di critica è superato in presenza di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato.
Pertanto, il contesto nel quale la condotta si colloca può essere valutato ai limitati fini del giudizio di stretta riferibilità delle espressioni potenzialmente diffamatorie al comportamento del soggetto passivo oggetto di critica, ma non può in alcun modo scriminare l'uso di espressioni che si risolvano nella denigrazione della persona di quest'ultimo in quanto tale (così Cass. Pen., 23.02.2011, n° 15060, imp. D.).
Sono, pertanto, vietate espressioni che trasmodino in un'incontrollata aggressione verbale del soggetto criticato e si concretizzino nell'utilizzo di termini gravemente infamanti e inutilmente umilianti superano il limite della continenza nell'esercizio del diritto di critica (v. Cass. Pen., 04.05.2010, n° 29730, imp. A.).
Con specifico riferimento all'elemento soggettivo, va ricordato che in tema di delitti contro l'onore, non è richiesta la presenza di un "animus iniuriandi vel diffamandi", ma appare sufficiente il dolo generico, che può anche assumere la forma del dolo eventuale, in quanto basta che l'agente, consapevolmente, faccia uso di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive, cioè adoperate in base al significato che esse vengono oggettivamente ad assumere, senza un diretto riferimento alle intenzioni dell'agente (v. Cass. Pen., 11.05.1999, n° 7597, imp. B.R.).
Con particolare riferimento alla diffamazione posta in essere via internet, la Suprema Corte ha osservato che ai fini dell'integrazione del delitto di diffamazione (art. 595 c.p.), si deve presumere la sussistenza del requisito della comunicazione con più persone qualora il messaggio diffamatorio sia inserito in un sito internet per sua natura destinato ad essere normalmente visitato in tempi assai ravvicinati da un numero indeterminato di soggetti, quale è il caso del giornale telematico, analogamente a quanto si presume nel caso di un tradizionale giornale a stampa, nulla rilevando l'astratta e teorica possibilità che esso non sia acquistato e letto da alcuno (v. Cass. Pen., Sez. V, Sent. 04.04.2008, n° 16262, rv. 239832, imp. T.E.).
Orbene, nel caso in questione, appare fuori discussione che le espressioni utilizzate nelle e-mail in questione nulla abbiano a che vedere con un legittimo esercizio del diritto di critica, concretandosi, piuttosto, in una vera e propria aggressione nei confronti della persona offesa.
La semplice lettura del testo delle stesse evidenzia come non contengano alcuna critica all'operato del F.A., ma soltanto una deliberata aggressione al medesimo, paventando un suo stato di totale follia ("Sono argomenti che F. non capisce. Perché non sa capire (pazzo furioso) perché non può capire (se no, come campa) ? Parola di malfattore che di pubblica carità. Pubblica carità probabilmente pelosa .. Mi chiedo: A.F. c'è oppure ci fa ? Intendo: è pazzo furioso bisognevole di cure mediche oppure fa il pazzo per ingraziarsi chi lo sussida").
Non può, invero, in altro modo interpretarsi il passo delle e-mail incriminate ("Intendo: è pazzo furioso bisognevole di cure mediche oppure fa il pazzo per ingraziarsi chi lo sussida"), atteso che nello stesso non viene indicata alcuna critica al F.A., mettendosi soltanto in evidenza la circostanza che lo stesso non era normale da un punto di vista psichico.
Non risulta, invero, in discussione, ad avviso di questo Collegio, come l'espressione in questione abbia un significato assolutamente inequivocabile e certamente non riconducibile ad alcuna critica, così come chiaramente delineato dalla Suprema Corte nelle recentissime sentenze sopra citate.
Con riguardo al secondo motivo di gravame, relativo alla riduzione della pena previa riqualificazione del fatto ai sensi dell'art. 56 c.p., ritiene questo Collegio come sia corretta la qualificazione giuridica fornita dal giudice circa la materiale consumazione del fatto.
Alla luce del sopracennato orientamento della Suprema Corte, si deve presumere la sussistenza del requisito della comunicazione con più persone qualora il messaggio diffamatorio sia inserito in un sito internet per sua natura destinato ad essere normalmente visitato in tempi assai ravvicinati da un numero indeterminato di soggetti e, dunque, nel caso in esame, non può discutersi circa la materiale consumazione del reato in questione (v. Cass. Pen., 04.04.2008, n° 16262, imp. T.).
Alla luce delle suesposte considerazioni, pertanto, il gravame deve essere accolto nei limiti sopra indicati e l'imputato condannato alla refusione delle spese processuali sostenute dalla parte civile F.A. e liquidate in € 1.200,00, oltre IVA e CPA come per legge.

P.Q.M.

Visti gli artt. 592 e 605 c.p.p., conferma la sentenza del Tribunale di Agrigento, in composizione monocratica, in data 10.01.2011 appellata da A.A., che condanna al pagamento delle ulteriori spese processuali, nonché alla refusione delle spese processuali sostenute dalla parte civile F.A. e liquidate in € 1.200,00, oltre IVA e CPA come per legge.

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