Penale

PENALE - Accesso abusivo a sistema informatico e attività d'impresa di gestore telefonico.

phone credit


Il fatto concerne l'abusiva introduzione nel sistema informatico di un noto gestore di telefonia, finalizzata a procedere all'attribuzione di crediti telefonici su svariate utenze telefoniche: la Cassazione, nell'annullare con rinvio la sentenza d'appello, in punto sussistenza dell'aggravante dell'avere agito su di un sistema informatico d'interesse pubblico, con connessa perseguibilità d'ufficio ex art. 615-ter comma 3 c.p., ha analizzato la questione della natura della rete telefonica di diffusione internazionale.

La S.C. ha così imposto  - anche in sede penale - l'orientamento (ormai dominante nel diritto amministrativo) secondo cui, per stabilire se un servizio sia pubblico, occorre avere di mira la natura e il regime del servizio, che devono emergere dall'interesse dell'attività, indipendentemente dal soggetto che la espleta

o al quale l'attività stessa è istituzionalmente collegata, affondando definitivamente la concezione soggettiva, prima in voga.
Muovendo da questa premessa, poi, la Cassazione ha anche precisato che se il concreto esercizio di un servizio pubblico ben può ritrovarsi in capo a soggetti e organismi privati che ne siano soltanto i concessionari (agendo in modo indiretto per un interesse afferente alla funzione istituzionale della P.A.), non sempre le attività di costoro, ove volte a perseguire un fine di lucro, hanno rilievo pubblicistico: in tutte le ipotesi, infatti, in cui si tratti di mere attività imprenditoriali, la rafforzata tutela penalistica non trova giustificazione. Cosicché, la diffusività della rete non è, come nel caso di specie, necessariamente sintomo della sua riferibilità a un interesse pubblico.
Ciò è tanto più vero quanto si consideri che se
attinta dalla condotta dell'imputato non è stata la rete di fonia, ma i sistemi informatici aziendali atti a consentire l'accredito di minuti di conversazione telefonica (una rete "parallela" a quella di fonia, predisposta per la sola gestione del credito),  non sarebbe ravvisabile l'aggravante de qua, che presuppone che la rete persegua un pubblico interesse.  Viceversa, la diffusività della rete é solo un sintomo, significativo ma non determinante, della sua riferibilità a un interesse pubblico.

 

Cassazione penale, Sez. V, 13.12.2010/21.01.2011, n° 1934

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                    
Dott. GRASSI      Aldo, Presidente
Dott. DUBOLINO    Pietro, Consigliere
Dott. PALLA       Stefano, Consigliere
Dott. FUMO        Maurizio, rel. Consigliere
Dott. VESSICHELLI Maria, Consigliere
ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da: 1) G.A. n. il (omissis);
avverso la sentenza n° 3982/2008 Corte d'Appello di Napoli, del 13.11.2009;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in Pubblica udienza del 13.12.2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. Maurizio Fumo;
udito il PG in persona del sost. proc. gen. dott. Galati G., che ha concluso per il rigetto del ricorso.
OSSERVA
quanto segue:
La C.d.A. di Napoli, con sentenza del 13.11.2009, ha confermato la pronunzia di primo grado con la quale G.A. fu condannato alla pena di anni 2 e mesi 8 di reclusione e € 12.000 di multa (ritenute le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti).
Il G.A. è imputato del reato ex artt. 81 cpv. e 110 c.p., art. 61, n° 5, c.p., art. 615-ter, commi 1 e 3, c.p., perché, con più azioni esecutive di medesimo disegno criminoso, in tempi diversi, in concorso con altri, abusivamente si introduceva nel sistema informatico della gestore di telefonia (omissis), per procedere all'attribuzione di crediti telefonici del valore unitario di € 80 e € 300 mensili per n° 3.846 numerazioni telefoniche (omissis), per un valore complessivo di area 2 milioni di Euro; con l'aggravante di avere agito su di un sistema informatico (rete telefonica di diffusione internazionale) di interesse pubblico e nelle ore notturne, al fine di ostacolare la pubblica e privata difesa.
Ricorre per cassazione l'imputato e deduce:
1) violazione dell'art. 615-ter c.p. per essere stato ritenuto il reato perseguibile di ufficio ai sensi del comma 3 del predetto articolo. Il concetto di interesse pubblico va elaborato in accordo con i recenti orientamenti del diritto amministrativo; esso sussiste tutte le volte in cui l'azione sia volta al perseguimento di interessi collettivi, beve dunque trattarsi di un interesse afferente alla funzione istituzionale della PA. Orbene l'art. 615-ter c.p., comma 3, prevede la procedibilità di ufficio quando l'agente rivolga la sua condotta a reti di interesse militare, ovvero rilevanti per l'ordine pubblico, o ancora alla sicurezza pubblica o infine alla sanità o anche alla protezione civile. Vi è poi una "formula di chiusura" che recita "... o comunque di interesse pubblico". L'uso della parola "comunque" non è casuale perché vuole indicare omogeneità tra gli interessi esplicitamente individuati e quelli ricavati in funzione della predetta formula. Per altro, è la rete in sé considerata che deve essere afferente al perseguimento di un interesse della PA e non ogni rete a diffusività nazionale può, per ciò solo, dirsi di interesse pubblico. Perché la rete abbia tale caratteristica deve essere riservata al perseguimento di uno scopo della PA. Dunque la diffusività della rete non è necessariamente sintomo della sua riferibilità a un interesse pubblico. Secondo la CdA, va riconosciuta la sussistenza dell'interesse pubblico perché la (omissis) agisce in regime autorizzatorio, come concessionaria del competente Ministero. Ma, a ben vedere, non è la rete di fonia a essere stata aggredita dalla condotta del ricorrente, ma l'insieme dei sistemi informatici predisposti dall'azienda per l'accredito di minuti di conversazione, da utilizzare successivamente con la rete GSM ovvero UMTS.
2) violazione dell'art. 133 c.p., in quanto i coimputati patteggianti sono stati condannati a pena più lieve. Non si comprende per qual motivo la medesima condotta debba avere risposte sanzionatorie tanto diverse.
3) illogicità e mera apparenza di motivazione, atteso che gli episodi di cui ai giorni (omissis) sono stati addebitati al G.A. semplicemente perché sulla persona del coimputato C. furono rinvenuti elenchi delle utenze per le quali erano state attivate promozioni nei giorni precedenti all'arresto. C. era l'unico perito informatico del gruppo e dunque solo a lui gli altri potevano fare capo per l'utilizzo delle key logger per estrarre la password da uno degli account esistenti.
In data (omissis) il G.A ha fatto pervenire memoria a sua firma con la quale ribadisce, amplia e illustra la censura sub 1).
La prima censura è fondata; le altre restano assorbite.
Conseguentemente la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della C.d.A. di Napoli per nuovo giudizio.
L'art. 615-ter (accesso abusivo a un sistema informatico o telematico) prevede e punisce la condotta di chi, appunto abusivamente, si introduce in tal tipo di sistema, protetto da misure di sicurezza. E' punita anche la condotta di chi in tale sistema si trattiene contro la volontà - espressa o tacita - di chi ha lo jus excludendi.
La fattispecie prevede, poi, varie ipotesi aggravate, cui consegue la procedibilità di ufficio; la forma non aggravata, viceversa, è perseguibile a querela.
Nel caso in esame, è contestata la aggravante di cui al comma 3 in quanto il sistema è stato ritenuto "comunque di interesse pubblico".
E' dunque tale concetto che deve essere messo a fuoco e correttamente individuato, atteso che, come si è premesso, ciò costituisce il contenuto della prima (e decisiva) censura.
Secondo la CdA, la sussistenza dell'interesse pubblico si desume dalla circostanza che (omissis) agisce in luogo della pubblica amministrazione (Ministero dello sviluppo economico), in qualità di concessionaria di pubblico servizio.
La circostanza tuttavia non appare determinante.
Al proposito si deve rammentare che la dottrina ha lungamente dibattuto circa i criteri identificativi della natura pubblica di un servizio. Invero a una concezione soggettiva, se ne è contrapposta una oggettiva.
Per la prima, è 'pubblicò il servizio assunto da un soggetto qualificabile come ente pubblico, quando - ovviamente - le finalità del servizio rispondano a esigenze della collettività.
Per il secondo orientamento, invece, la natura e il regime del servizio pubblico devono emergere dall'interesse dell'attività, indipendentemente dal soggetto che la espleta o al quale l'attività stessa è istituzionalmente collegata.
Orbene, anche sulla scorta delle indicazioni di fonte comunitaria, è ormai pacifico che è tale seconda concezione quella che, attualmente, deve ritenersi dominante.
Dunque, nel caso di specie, è certamente corretto definire l'attività di (omissis) come svolgimento di un pubblico servizio, in quanto volta alla cura di un pubblico interesse.
Sul punto, tuttavia, deve precisarsi che la fonte primaria del "servizio pubblico" è comunque da ricercarsi nello Stato o in altro ente pubblico, mentre il concreto esercizio ben può essere attribuito - come nel caso di specie (concessione) - a soggetti e organismi privati.
Il concessionario, insomma, resta un soggetto privato, il quale svolge pur sempre la sua attività per il perseguimento di un fine di lucro.
Dovranno distinguersi, pertanto - questo è il punto centrale della questione che occupa - all'interno della complessiva attività del concessionario, le attività di rilievo pubblicistico dalle attività imprenditoriali.
Invero, l'applicazione di regole e principi pubblicistici (e quindi la rafforzata tutela penalistica), connessi alla cura del pubblico interesse, si giustifica solo per quella parte di attività che si concreta nello svolgimento di una pubblica funzione, che il privato svolge quale "organo indiretto" della PA. Per quel che riguarda l'attività imprenditoriale, viceversa, il concessionario resta un soggetto privato e non trovano (non possono trovare) giustificazione deviazioni dalla disciplina che regola i rapporti tra privati.
Tale distinzione, per altro, riceve significativa conferma dalla giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte cost. sent. 204/2004), relativa al riparto di giurisdizione in materia di servizi pubblici, che distingue, appunto ai fini del riparto, l'attività che rappresenta effettivamente l'esercizio di un servizio pubblico - riservata, ovviamente, alla giurisdizione esclusiva del GA - dalla attività imprenditoriale e di organizzazione per lo svolgimento del servizio da parte del gestore, riservata alla giurisdizione del GO. Non è dunque sufficiente, a integrare l'esercizio di un pubblico servizio, il contatto da parte del soggetto privato con i singoli utenti, in quanto occorre chiarire se ci si trovi, oppure no, di fronte ad attività direttamente rivolte al soddisfacimento di bisogni generali della collettività.
Tanto premesso, quel che occorre chiarire, nel caso in scrutinio, è se l'attività espletata da (omissis), attraverso la rete informatica violata, comprenda sia attività coinvolgenti il pubblico interesse, che giustificano l'applicazione della ipotesi aggravata (e, dunque, della perseguibilità d'ufficio), sia ordinarie attività d'impresa preordinate al raggiungimento dello scopo di lucro, rispetto alle quali non si giustifica il rafforzamento della tutela penale .
Occorre poi anche chiarire, in fatto, quale dei due "settori" (se tecnicamente separabili) sia stato interessato dalla illecita attività dell'imputato, ricordando che, come correttamente si afferma nel ricorso, è la rete in sé considerata che deve essere afferente al perseguimento di un interesse della PA, ma che, non per questo, ogni rete a diffusività nazionale può, per ciò solo, dirsi di interesse pubblico. perché possa riscontrarsi tale caratteristica, infatti, la rete deve essere volta al perseguimento di un pubblico interesse. Dunque,la diffusività della rete può essere sintomo significativo, ma non determinante della sua riferibilità a un interesse pubblico.
Il ricorrente sostiene di non avere aggredito la rete di fonia, ma solo la "parallela" rete predisposta per la gestione del credito.
E sul punto la sentenza non ha fornito soddisfacente risposta, pur trattandosi, per le ragioni sopra esposte, di questione decisiva ai fini della perseguibilità di ufficio. In sintesi, se solo (omissis) ha subito danno (economico) dalla condotta illecita di G.A. e dei suoi concorrenti, se non è stata danneggiata la rete o se non sono stati pregiudicati (in qualsiasi modo) i diritti degli utenti, non può dirsi intaccato "l'interesse pubblico" e il reato deve ritenersi perseguibile a querela.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio.
Così deciso in Roma, il 13.12.2010.
Depositato in Cancelleria il 21.01.2011

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