Penale

PENALE - D.L.vo n° 231/01, liquidazione e cancellazione dal registro imprese.

morte del reo

Con innovativa pronuncia il Tribunale meneghino, in composizione collegiale, ha stabilito che si applica l'art. 129 C.P.P. al caso in cui si debba dichiarare estinto l'illecito per intervenuta cessazione della società nei cui confronti si procede penalmente. Il D.L.vo n° 231/01 non contempla il caso d'imputazioni elevate a carico della società prima della sua volontaria messa in liquidazione e cancellazione. Con la riforma delle società di capitali e cooperative (D.L.vo 17.01.03 n° 6), invero, le cancellazioni iscritte nel registro delle imprese ex art. 2495, co. 2, C.C., hanno assunto natura costitutiva, comportando l'estinzione irreversibile della società, anche in presenza di rapporti giuridici non definiti, e ciò è stato confermato anche dalle Sez. Un. della Cassazione nel 2010. Ma alla lacuna normativa non può rimediarsi in via interpretativa.

Conseguentemente, le norme relative alla vicende modificative dell'ente devono ritenersi di stretta applicazione, con preclusione d'ogni forma di analogia in malam partem: pertanto, ai fini penali l'estinzione societaria per liquidazione e cancellazione dal registro imprese determina estinzione dell'illecito, talché l'azione penale diviene improcedibile, come per morte dell'imputato persona fisica.
Ciò considerato anche che le conclusioni resterebbero identiche anche se la liquidazione della società e la sua cancellazione dal registro delle imprese, dopo che la medesima era stata rinviata a giudizio, fosse ascrivibile a dolo o colpa dei liquidatori, atteso che difetta un'esplicita incriminazione di tal fatta, cosicché della violazione commessa dalla società non potrebbero essere chiamati a rispondere costoro, stante il principio di tassatività e quello di personalità delle responsabilità amministrative e penali.
Altro è che il P.M. attivi anche in via preventiva il sequestro anche conservativo ex art. 54 D.L.vo n° 231/01, come pure che i terzi facciano valere in sede civilistica ex art. 2495 C.C. il loro credito risarcitorio maturato verso la società anteriormente alla sua estinzione o, ancora, che dell'eventuale falso sostanziale in bilancio commesso da coloro che l'abbiano posta in liquidazione rispondano solo questi ultimi per aver omesso, pur consci dell'esercizio dell'azione penale e della fissazione dell'udienza preliminare, d'apprestare la voce "fondi per rischi e oneri", con irregolarità del bilancio finale di liquidazione e del piano di riparto.

 

Tribunale di Milano, 20.10.2011

Motivi della decisione
In data 28.07.10 il P.M. in Sede avanzava richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di A.M., M.I., A.I. e T.M.B. per reati contro la P.A. (corruzione e altro), nonché nei confronti delle società W. S.r.l., K. S.p.a. e T. S.r.l., per gli illeciti amministrativi derivanti da reato di cui D.L.vo n° 231/01 in relazione ai reati commessi dalle predette persone fisiche.
In particolare, alla società T. S.r.l. veniva contestato l'illecito amministrativo di cui all'art. 25 D.L.vo n° 231/01.
Il 28.09.10 alla società T. S.r.l. veniva notificato l'avviso di fissazione dell'udienza preliminare, con la richiesta di rinvio a giudizio.
In data 25.10.10 la società T. S.r.l. veniva cancellata dal registro delle imprese a seguito dell'approvazione del bilancio finale di liquidazione.
All'udienza preliminare gli imputati M.I., A.I., T.M.B. e le società W. S.r.l. e K. S.p.a. definivano la propria posizione con sentenza di applicazione pena ai sensi degli artt. 444 ss. C.P.P., mentre l'imputato A.M. veniva ammesso al rito abbreviato, a seguito del quale riportava condanna, confermata in appello con sentenza del 25.01.11.
La società T. S.r.l., invece, veniva rinviata a giudizio dinanzi a questo Tribunale in composizione collegiale con decreto del G.U.P. emesso l'11.01.11.
In data 11.03.11 la difesa della società T. S.r.l. depositava istanza ex art. 129 C.P.P., con la quale, rilevata la cancellazione della società dal registro delle imprese, richiedeva pronunciarsi sentenza di proscioglimento, sostenendo che tale vicenda estintiva della società fosse equiparabile, per analogia, agli effetti prodotti dalla morte del reo nel processo penale.
Il P.M., in data 09.09.11, depositava memoria ex art. 121 C.P.P., opponendosi alla richiesta difensiva.
La Pubblica Accusa rilevava, anzitutto, che la cancellazione della società T. S.r.l. era avvenuta senza che ne esistessero le condizioni ex art. 2191 C.C.: la comunicazione dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare (avvenuta il 28.09.10) aveva preceduto, infatti, tanto la delibera di liquidazione della società quanto la cancellazione della società dal registro delle imprese (avvenuta circa un mese dopo, cfr. punto c] della Memoria del P.M.).
Il P.M. aggiungeva che, in ogni caso, la cancellazione della società era da considerarsi priva di effetti giudici in quanto eseguita fraudolentemente, al solo scopo di eludere la normativa di cui al D.L.vo n° 231/01. Lo stesso P.M. si riservava, in sede civile, di chiedere la revoca della cancellazione dal registro delle imprese della società medesima (cfr. punto d] della Memoria del PM).
In fase predibattimentale, il Tribunale, all'udienza del 13.10.11, respingeva l'istanza della difesa, rilevando che l'opposizione del P.M., ai sensi dell'art. 469 C.P.P., era ostativa alla pronuncia di una sentenza di proscioglimento.
La difesa, pertanto, una volta dichiarato aperto il dibattimento, riproponeva, ai sensi dell'art. 129 C.P.P. la richiesta di declaratoria di improcedibilità.
Il P.M. si è opposto, richiamandosi alle osservazioni già espresse nella Memoria del 09.09.11.
La questione demandata al Tribunale è dunque la seguente: se possa farsi luogo a sentenza di non doversi procedere nei confronti dell'ente per essersi estinto l'illecito amministrativo da reato a seguito della cessazione della società, conseguente alla liquidazione volontaria ed alla cancellazione dal registro delle imprese della stessa, analogamente a quanto avviene, per le persone fisiche, nel caso di estinzione del reato per morte del reo.
Sotto il profilo civilistico, fino alla riforma delle società di capitali e cooperative di cui al D.L.vo 17.01.03 n° 6, la giurisprudenza di legittimità era unanime nel ritenere che la cancellazione dal registro delle imprese di una società commerciale, di persone o di capitali, avesse un effetto di pubblicità meramente dichiarativa, senza produrre l'estinzione della società stessa, almeno fino a quando fossero rimasti in essere residui rapporti giuridici facenti capo alla società medesima prima della sua cancellazione. Permaneva, pertanto, la legittimazione processuale (attiva o passiva) della società anche dopo la sua cancellazione dal registro delle imprese ed il processo poteva proseguire nei suoi confronti, nelle varie fasi del processo di merito e di esecuzione.
La giurisprudenza, dunque, a tutela delle ragioni dei creditori teorizzava il permanere di una "soggettività attenuata" e di una limitata prosecuzione della capacità processuale della società cancellata dal registro delle imprese, tanto da ammettere l'assoggettabilità della stessa alla procedura concorsuale del fallimento anche oltre il termine di un anno dal compimento delle formalità di cancellazione.
Nell'ambito di tale contesto interveniva la riforma delle società di capitali e cooperative di cui al D.L.vo 17.01.03 n° 6, che ha previsto espressamente la natura costitutiva degli effetti delle cancellazioni iscritte nel registro delle imprese ai sensi dell'art. 2495, co. 2, C.C., natura confermata di recente anche dalle sentenze delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione n° 4060, 4061 e 4062 del 22.02.10: attualmente, pertanto, la cancellazione dal registro delle imprese produce l'effetto costitutivo dell'estinzione irreversibile della società, anche in presenza di rapporti non definiti.
Da quanto sopra esposto emerge pacificamente l'estinzione della società T. S.r.l. a seguito della sua cancellazione dal registro delle imprese avvenuta in data 25.10.10.
Il mutato quadro normativo, sul versante civilistico, produce, inevitabilmente, dei riflessi sul piano della responsabilità amministrativa da reato degli enti societari.
Come è noto, il D.L.vo n° 231/01, che pur si occupa, al capo II (artt. 28-33), delle conseguenze sul piano penale delle vicende modificative dell'ente (trasformazione, fusione, scissione e cessione d'azienda), nulla prevede in ordine alle vicende che determinano l'estinzione dell'ente, come - per l'appunto - la cancellazione della società dal registro delle imprese.
Tale lacuna normativa già era stata oggetto di segnalazione nella relazione che accompagnava il D.L.vo n° 231/01 (c.d. progetto "Grosso"), la quale prendeva atto che il problema dello scioglimento della persona giuridica era "rimasto scoperto", non avendo "la Commissione [...] individuato soluzioni idonee su tale versante".
In realtà, la lacuna normativa, prima della riforma del diritto societario attuata con il D.L.vo 17.01.03 n° 6, non aveva determinato grossi problemi interpretativi, alla luce della giurisprudenza già citata: con l'immediato corollario, sul piano penale, che la società, qualora formalmente imputata mediante la richiesta di rinvio a giudizio e passibile, pertanto, di sanzione pecuniaria, non poteva considerarsi estinta solamente in quanto cancellata, successivamente, dal registro delle imprese.
Con la riforma dell'art. 2495 C.C. il quadro, come si è scritto, inevitabilmente cambia.
È innegabile, infatti, che con la cancellazione dal registro delle imprese la società cessa di esistere.
A fronte dell'estinzione della società, il D.L.vo n° 231/01 nulla prevede in ordine alle imputazioni che sono state elevate a carico della società prima della sua volontaria messa in liquidazione e della sua cancellazione.
Occorre, dunque, verificare se sia possibile colmare la lacuna sul piano interpretativo.
Anzitutto, si tratta di verificare se sia possibile per il giudice penale - incidenter tantum - dichiarare la cancellazione della società dal registro delle imprese priva di effetti nel processo penale a carico della società stessa, in quanto eseguita in frode alla legge: nel dichiarato intento di eludere le conseguenze della responsabilità amministrativa da reato dell'ente.
A prescindere dalla natura di tale responsabilità (che, secondo Cass., 18.02/16.07.10 n° 27735, costituisce un tertium genus di responsabilità rispetto a quella penale e a quella amministrativa: "... Il D.L.vo n° 231/01 ha introdotto un tertium genus di responsabilità rispetto ai sistemi tradizionali di responsabilità penale e di responsabilità amministrativa, prevedendo un'autonoma responsabilità amministrativa dell'ente in caso di commissione, nel suo interesse o a suo vantaggio, di uno dei reati espressamente elencati nella sezione 3^ da parte un soggetto che riveste una posizione apicale, sul presupposto che il fatto-reato è fatto della società, di cui essa deve rispondere"), appare certo che anche ad essa si applichino i principi di cui all'art. 27 Cost.
Nella citata sentenza n° 27735 della Cassazione con chiarezza si afferma che tale forma di disciplina è conforme ai principi di responsabilità personale e di colpevolezza che costituiscono il precipitato della norma costituzionale: "...Conclusivamente, in forza del citato rapporto di immedesimazione organica con il suo dirigente apicale, l'ente risponde per fatto proprio, senza coinvolgere il principio costituzionale del divieto di responsabilità penale per fatto altrui (art. 27 Cost.). Nè il D.L.vo n° 231/01 delinea un'ipotesi di responsabilità oggettiva, prevedendo, al contrario, la necessità che sussista la c.d. "colpa di organizzazione" dell'ente, il non avere cioè predisposto un insieme di accorgimenti preventivi idonei ad evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato; il riscontro di un tale deficit organizzativo consente una piana e agevole imputazione all'ente dell'illecito penale realizzato nel suo ambito operativo...".
Inquadrando, dunque, la responsabilità amministrativa da reato dell'ente nell'ambito dei principi di cui all'art. 27 Cost, ne consegue, sul piano punitivo, che le sanzioni devono assolvere alle tradizionale funzione retributiva e rieducativa prevista dalla norma costituzionale.
Sul piano pratico, le eventuali sanzioni (cfr. art. 9 del D.L.vo n° 231/01) applicate alla società cancellata dal registro delle imprese, e dunque inesistente sotto il profilo civilistico, risulterebbero inflitte inutilmente e, in ogni caso, non assolverebbero ad alcuna delle funzioni cui sono preordinate.
Quanto alle sanzioni interdittive (e alla sanzione della pubblicazione della sentenza, che si applica in conseguenza dell'irrogazione di sanzioni interdittive - cfr. art. 18 del D.L.vo n° 231/01), esse mirano a porre dei limiti alla specifica attività svolta dall'ente, allo scopo di infliggere una punizione e, nel contempo, di favorirne l'emenda attraverso il suo adeguamento ai canoni dell'agire legittimo.
Questo tipo di sanzione presuppone, dunque, che l'ente sia ancora in essere e che possa proseguire nell'attività cui si riferisce l'illecito (in tal senso è inequivoca la dizione dell'art. 14 D.L.vo n° 231/01: "Le sanzioni interdittive hanno ad oggetto la specifica attività alla quale si riferisce l'illecito dell'ente").
Se l'ente è stato posto in liquidazione ed è stato cancellato dal registro delle imprese è evidente che ne è venuta meno l'operatività; l'irrogazione di sanzioni interdittive sarebbe dunque inutilmente data.
Quanto alle sanzioni pecuniarie e alla confisca (cfr. art. 10 ss. e art. 19 D.L.vo n° 231/01) esse mirano a colpire il patrimonio dell'ente, costituendo a suo carico un obbligo di pagamento a favore dello Stato ovvero privandolo del prezzo e del profitto del reato (o dell'equivalente in denaro, beni o altra utilità).
Anche in questo caso evidente è la finalità della sanzione di colpire l'ente nella disponibilità economica necessaria per la sua operatività.
Se il suo patrimonio è stato liquidato e la società, conseguentemente, è stata cancellata dal registro delle imprese, le eventuali sanzioni pecuniarie e la confisca sarebbero inutiliter datae, in quanto non sussisterebbe un patrimonio su cui fare valere tale pretesa, anche tenuto conto che, per principio generale, ai sensi dell'art. 27 del D.L.vo n° 231/01, il patrimonio dell'ente è l'unico su cui può essere fatto valere il credito dello Stato derivante dagli illeciti amministrativi dell'ente stesso.
Né vale obiettare che, ai sensi del novellato art. 2495 C.C., l'eventuale credito dello Stato derivante dagli illeciti amministrativi dell'ente (accertato con la sentenza di condanna), dopo la cancellazione della società, potrebbe, in ogni caso, essere fatto valere, in sede esecutiva, nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, ovvero nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento sia dipeso da colpa di costoro.
Se, infatti, il credito sanzionatorio fosse fatto valere nei confronti dei soci ovvero dei liquidatori in buona fede, dell'obbligazione per il pagamento della sanzione pecuniaria irrogata all'ente finirebbero per rispondere, con il loro patrimonio, terzi in buona fede in violazione del principio di responsabilità personale e del principio di colpevolezza, postulati dall'art. 27 Cost.
Le conclusioni non muterebbero neppure nel caso in cui la liquidazione sia stato operata con dolo o con colpa dai liquidatori: in mancanza di un'esplicita previsione incriminatrice, infatti, della violazione commessa dalla società non possono rispondere i liquidatori, pena violazione dei principi di tassatività e di personalità delle responsabilità amministrative e penali.
Occorre, peraltro, rilevare che, ove l'illecito contestato alla società riguardasse reati commessi dai soci o dai liquidatori, concreto sarebbe il rischio di una duplicazione della sanzione a carico di costoro in pendenza del medesimo fatto: da una parte, infatti, essi potrebbero rispondere a titolo personale per il reato agli stessi imputato quali persone fisiche; dall'altra, a seguito della liquidazione e della cancellazione della società, potrebbero essere chiamati a rispondere, oltretutto in sede esecutiva, per le sanzioni pecuniarie irrogate alla società per l'illecito connesso al medesimo fatto di reato.
In definitiva, dunque, l'eventuale "sopravvivenza" della società cancellata dal registro delle imprese ai limitati effetti penali condurrebbe all'applicazione di sanzioni che non sarebbero attuabili oppure finirebbero per gravare, in sede esecutiva, su soggetti "terzi" rispetto all'ente responsabile della violazione, con il rischio, per di più, di una duplicazione di sanzioni a carico di questi ultimi.
Rimane da verificare se, una volta cancellata dal registro delle imprese la società che in precedenza sia stata rinviata a giudizio per illeciti di cui al D.L.vo n° 231/01, possano succedere alla stessa, nell'ambito del processo penale, soggetti terzi, che eventualmente abbiano beneficiato della liquidazione della società.
L'opzione di estendere a soggetti terzi la responsabilità per il credito dello Stato derivante dagli illeciti amministrativi è stata seguita dal legislatore del 2001 con riguardo alle vicende modificative degli enti (cfr. artt. 28 ss. D.L.vo n° 231/01).
Sul punto occorre rilevare che, in tema di vicende modificative, il legislatore si è trovato a regolare due distinte esigenze, tra loro contrapposte, che vengono in rilievo anche nel caso di liquidazione e successiva cancellazione della società dal registro delle imprese: da una parte, infatti, vi è l'esigenza di evitare che, con un semplice atto deliberativo o negoziale, l'ente responsabile riesca ad eludere le sanzioni approntate dal D.L.vo n° 231/01; dall'altra vi è la necessità di non restringere eccessivamente l'autonomia negoziale e la libertà economica, precludendo all'ente la possibilità di riorganizzarsi e/o modificare il proprio assetto sociale ovvero di cessare la propria attività.
Per contemperare queste opposte esigenze, il principio generale seguito dal legislatore con riguardo a tutte le vicende modificative dell'ente è stato quello di estendere la responsabilità al soggetto subentrante soltanto qualora il nuovo ente rappresenti una prosecuzione, sotto diverse forme giuridiche, del precedente soggetto giuridico (come nel caso della trasformazione o fusione - cfr. artt. 28 e 29 D.L.vo n° 231/01) ovvero qualora il nuovo ente oppure il soggetto terzo siano i beneficiari, in termini economici e patrimoniali, della vicenda modificativa del precedente soggetto giuridico (come nel caso della scissione - cfr. art. 30 - ovvero nel caso di cessione d'azienda - cfr. art. 33; quest'ultima norma, in particolare, estende la responsabilità per le obbligazioni nascenti dalla sentenza di condanna al cessionario d'azienda, anche nell'ipotesi che costui sia soggetto estraneo alle vicende che hanno determinato la contestazione dell'illecito in capo alla società; sui criteri seguiti dal legislatore per l'imputazione della responsabilità in conseguenza di vicende modificative dell'ente, cfr., in generale, l'Ordinanza del G.U.P. di Palermo, 22.01.07, prodotta dalla difesa).
Seppure la liquidazione e successiva cancellazione della società dal registro delle imprese costituisca un vicenda estintiva che presenta degli importanti punti di contatto con le vicende modificative dell'ente, oggetto di specifica normazione, non si ritiene che, in via interpretativa, i principi ivi statuiti possano essere estesi alle vicende estintive.
A ciò osta, anzitutto, il principio consacrato all'art. 27, co. 1, del D.L.vo n° 231/01, il quale sancisce che "dell'obbligazione per il pagamento della sanzione pecuniaria risponde soltanto l'ente con il suo patrimonio o fondo comune", rispetto al quale l'estensione a soggetti terzi della responsabilità è un'evidente eccezione.
Le norme relative alla vicende modificative dell'ente sono, pertanto, di stretta applicazione e una loro estensione al di fuori dei casi espressamente disciplinati si tradurrebbe in una inammissibile analogia in malam partem.
Mediante un'applicazione analogica di tale norme, inoltre, si introdurrebbe, in via surrettizia, una forma di responsabilità per fatto altrui che si porrebbe in evidente contrasto con i principi di responsabilità personale e di colpevolezza (art. 27 Cost.).
La lacuna normativa non potrebbe essere colmata neppure mediante una regolamentazione "costituzionalmente orientata" della vicenda estintiva dell'ente, poiché plurime sono le soluzioni ipotizzabili (divieto di liquidazione dell'ente o successione di altri soggetti in luogo dell'ente, ad esempio) e tutte implicherebbero valutazioni discrezionali, per loro natura, riservate al legislatore.
Né può essere adita la Corte Costituzionale, cui non può esser chiesta una pronuncia additiva in malam partem.
De jure condito, dunque, si deve concludere che l'estinzione della società a seguito della sua liquidazione e della sua cancellazione dal registro delle imprese comporta, ai fini penali, l'estinzione dell'illecito e la conseguente improcedibilità dell'azione penale, analogamente a quanto avviene nel caso di morte della persona fisica cui sia imputato un reato.
Tale soluzione interpretativa, peraltro, a ben vedere, non determina un irreparabile vulnus di tutela.
Da una parte, infatti, si può osservare che, in via preventiva, il P.M. potrebbe ostacolare la liquidazione e la cancellazione fraudolenta della società mediante l'istituto del sequestro, anche conservativo ex art. 54 D.L.vo n° 231/01, funzionale proprio ad evitare che si disperdano "le garanzie per il pagamento della sanzione pecuniaria, delle spese del procedimento e di ogni altra somma dovuta all'erario dello Stato".
D'altro canto la soluzione qui adottata non pregiudica neppure eventuali diritti di terzi danneggiati dal reato.
Come di recente sottolineato dalla Suprema Corte, infatti (cfr. Cass., 05.10.10/22.01.11 n° 2251), nel processo instaurato per l'accertamento della responsabilità da reato dell'ente, non è ammissibile la costituzione di parte civile.
L'eventuale estinzione del processo, pertanto, non preclude la possibilità per i terzi di far valere autonomamente in sede civilistica il credito risarcitorio maturato nei confronti dell'ente, prima della sua estinzione, ai sensi dell'art. 2495 C.C.
Alla luce di quanto esposto non appare dunque percorribile la soluzione tracciata dalla Procura della Repubblica nella Memoria depositata in data 09.09.11, secondo la quale la cancellazione della società T. S.r.l. sarebbe, ai fini penali, inefficace in quanto avvenuta in violazione delle condizioni richieste dalla legge ex art. 2191 C.C.
In particolare, il P.M. rileva che il bilancio in base al quale si sarebbe pervenuti alla liquidazione della società sarebbe sostanzialmente falso: i liquidatori infatti, pur essendo a conoscenza dell'esercizio dell'azione penale e della fissazione dell'udienza preliminare, nulla avrebbero previsto alla voce "fondi per rischi e oneri", determinando l'irregolarità del bilancio finale di liquidazione e del piano di riparto. Ove venisse accertata la responsabilità da reato della società cancellata dal registro delle imprese si acquisirebbe, pertanto, la prova del carattere fraudolento della liquidazione e sarebbe possibile, per il P.M., chiedere la revoca della cancellazione dal registro delle imprese.
La tesi del P.M., pur suggestiva, non può trovare accoglimento.
Anzitutto, in assenza di una norma che estenda la responsabilità da reato dell'ente ai liquidatori, i liquidatori non possono essere chiamati a rispondere per l'illecito della società, come già scritto.
Né appare possibile confondere il piano dell'illecito attribuito alla società con quello dell'eventuale falso in bilancio commesso da coloro che l'abbiano posta in liquidazione: trattasi di fattispecie distinte, riconducibili a diversi soggetti, che devono formare oggetto di separate contestazioni e giudizi.
Non si ritiene, inoltre, che questo Tribunale possa pronunciare, a seguito del dibattimento, una sentenza di condanna eseguibile solo subordinatamente alla revoca della cancellazione della società, in base a tutto quanto già scritto in ordine alla attuale natura di tale cancellazione.
Alla mancanza di una norma specifica in ordine alla formula della sentenza relativamente all'ipotesi di estinzione dell'ente, supplisce l'art. 34 D.L.vo n° 231/01 che consente l'applicazione delle disposizioni del codice di procedura penale in quanto compatibili.
Nessun dubbio vi è sulla compatibilità dell'art. 129 C.P.P.

P.Q.M.

letto l'art. 129 C.P.P. dichiara non doversi procedere nei confronti di T. S.r.l. per essersi estinto l'illecito per intervenuta cessazione della società.
Milano, 20.10.11
Nicoletta Gandus, Presidente
Caterina Interlandi, Giudice
Marco Formentin, Giudice

Stampa Email

I più letti